Firenze – Il linguaggio suggestivo e imitativo proprio delle origini della danza contemporanea e quello “emblematico”, ricco di immagini il cui significato richiede la partecipazione dello spettatore. Il primo suggerisce in modo diretto gli atti, i gesti le emozioni della vita reale, il secondo, vicino alla sensibilità di oggi, chiama lo spettatore a un impegno di interpretazione e di traduzione all’interno del singolo sedimento di esperienze, affetti ed emozioni.
I due spettacoli che hanno aperto la trentesima edizione del Festival Fabbrica Europa “Domani” di Romeo Castellucci e “Isadora Duncan” di Jérôme Bel, hanno offerto un contributo importante alla comprensione della danza, che per molti è la forma di espressione artistica più vicina all’”anima” del terzo millennio. Lo ha spiegato bene la studiosa Marinella Guattarini, nel presentare alla Compagnia lo spettacolo del coreografo francese.
“Domani” ideato da Castellucci, regista e artista, fondatore di un teatro costruito sulla totalità delle arti, (interprete Anna Lucia Barbosa, con la coreografia di Gloria Dorliguzzo e la musica di Scott Gibbons) è un esempio paradigmatico del rapporto fra performer e pubblico. L’azione performativa si è svolta nelle sale della Palazzina Reale della Stazione di Santa Maria Novella, dove la figura imponente dell’interprete procedeva a passi lenti e pesanti, sospingendo un lungo ramo d’albero, nello stesso tempo guida e croce, senza vie né percorsi segnati. L’andare incerto di un non vedente. Il pubblico la segue in piedi.
E’ come un processo di conoscenza angoscioso e instancabile che non trova quiete nell’oggetto della ricerca. Nel corso del suo vano movimento, cresce in consapevolezza, si libera della sua cecità, sembra più vicina a una meta, ma ciò non fa altro che confermare il mistero e l’inutilità dei suoi sforzi. Allora scaglia il suo ramo contro gli ostacoli. Da un silenzio carico di tensione e rotto solo da un cinguettio inquietante e dallo sfregamento di rametti, esplode una musica impietosa, lancinante, ad altissimo volume. Alla fine la viandante si ferma abbracciando il ramo che è l’unico contatto possibile con la realtà.
Questo è quanto può avere letto uno spettatore, magari dopo essersi confrontato con la percezione di altri. Ciascuno avrà messo a punto la sua personale esperienza dell’azione performativa. Ma questa è oggi la danza, un dialogo nello stesso tempo collettivo e individuale.
Diversa, invece, l’esperienza di Isidora Duncan con la quale Jérôme Bel prosegue il progetto pluriennale di ritratti di danzatori e danzatrici celebri. La struttura della performance costruita sull’autobiografia dell’artista: una narratrice-conduttrice, Chiara Gallerani e una danzatrice, Elisabeth Schwartz, che da anni studia la figura dell’artista californiana dell’inizio del secolo scorso, che ha gettato le basi della danza moderna e contemporanea. Il linguaggio della danza di Isadora è “universale” in quanto riproduce in gesti e movimenti emozioni e relazioni che fanno parte del vissuto di tutti. Per esempio l’intensa coreografia della “Madre”. La danzatrice rende danza ciò che connota il legame fra una madre e un figlio, dal momento della sua apertura al mondo, al momento in cui questo legame si scioglie. Qui lo spettatore si unisce agli altri senza parole, tutti hanno compreso il significato e sono stati travolti dalla bellezza della danza.
In foto Elisabeth Schwartz