Firenze – Entrare in una tradizione lontana e sconosciuta e cercare di capirne i valori artistici e sociali è un’esperienza sempre raccomandabile se non si vuole restare chiusi nel proprio mondo destinato ad esaurirsi per mancanza dell’ossigeno della critica e della contaminazione delle idee. Prendiamo ad esempio Zap, lo spettacolo che giovedì 7 maggio ha aperto la XXII edizione d Fabbrica Europa alla Stazione Leopolda.
Si tratta di un’azione scenica e musicale basata sul canto Zapga della tradizione vocale della penisola coreana. Zap in lingua coreana significa miscuglio e di fatti lo spettacolo nasce dalla ibridazione di vari generi: suono, vocalità, musica, danza. Tuttavia, come spesso accade in qualunque forma di rappresentazione teatrale, tutto si regge grazie alla straordinaria presenza scenica e alla voce di Lee He-moon, l’artista che dà il nome alla compagnia diretta dalla regista e coreografa Eunme Ahn.
E’ lui che ci tiene sospesi nel racconto di dodici canti frutto tratti da leggende e racconti popolari come quella di Chunhyang, che fa parte del bagaglio culturale del popolo coreano, con l’eroina che non vuole cedere alle voglie dal malvagio governatore e accetta le bastonature pensando all’amato. Nella seconda parte, con più effetto spettacolare, Lee canta la natura che fiorisce, la gita in barca, il desiderio di acchiappare una rondine, per finire con una stupenda cavalcata che ricorda un eroe di antiche guerre civili.
Sono dodici canzoni distinte fra loro, ma che raccontano un’unica storia che è quella dell’amore e della bellezza della natura e dei sentimenti e la regista è riuscita a mantenere questa continuità grazie all’azione scenica degli altri cantanti, ai colori e ai costumi.. Come si esprime l’amore nella cultura popolare coreana? Intanto è qualcosa di strettamente legato con le bellezza della natura, come un continuum di sentimento che viene accompagnato da momenti di sospensione della realtà circostante. Ascoltate la “canzone minore di Chunhyang” : “Tornate dunque all’ora del tramonto! Lui torna indietro, ma quel che ha appena visto gli scioglie l’anima al solo ricordo”.
La stupenda voce di Lee, ultimo sorikkun cioè esecutore maschile di questo genere musicale nella tradizionale veste con il cappello a cono tagliato con le due fasce che scendono sul petto come la stola di un sacerdote, tiene lo spettatore in sospensione: un timbro di voce singolare che riesce nello stesso tempo a narrare e a trasmettere le emozioni e i sentimenti di ciò che canta. Ed è proprio una sorta di rito religioso quello che il cantante rappresenta in una scena di colori forti: il rosso, il bianco, il nero, il fuxia che definiscono il contesto emozionale di ciò che viene narrato.
Lo stesso effetto prodotto dalla musica eseguita sotto la direzione di Jang Young-gyu e Lee Tae-won, che soprattutto nella seconda parte raggiunge sonorità del tutto originali, in una sperimentazione compositiva e strumentale di grande impatto per l’ascoltatore.