A volte è quasi come se ci prendesse la sensazione che, dopo essere stati un popolo di poeti, di navigatori e di santi, siamo diventati un popolo di, eh, un attimo, cerchiamo un gentilissimo eufemismo per dirlo, e poi ne riparliamo più avanti in questo stesso articolo. La riflessione ci sorge spontanea nel momento in cui ci rendiamo conto che, lungi dall’avere la capacità, non equamente distribuita e non omogeneamente fruibile, ma sempre utile e sacrosanta, di farci opinioni nostre su cose che sono nel nostro quotidiano o varrebbe la pena ci entrassero, perlopiù siamo qui a dissertare, con toni tanto più illivoriti quanto più è superficiale la conoscenza dei temi, su cose che in fondo impattano in modo molto relativo sulle nostre esistenze.
O sfruculiando le quali non si otterrà che un minimo disturbo alla già scarsa corteccia cerebrale che i più possono sfoggiare. Un comune denominatore per questi argomenti: sono sulle prime pagine dei quotidiani, e di conseguenza, o a causa di, in prima linea sulle bacheche dei social network. Prendiamo ad esempio una cosa come l’Expo. In nessun Paese che nella storia l’abbia ospitata – stiamo parlando dell’Esposizione Universale, The Original, mica pizza e fichi – è stata fatta, a quanto ci risulta, tanta polemica quanto per quella meneghina attuale. Se cercate riscontri, sarà sufficiente digitare sul placido Google – non l’unico motore di ricerca esistente, ma il più usato dal popolino, e pertanto quello più indicato per raccogliere pettegolezzi – i termini “polemica expo 2015” e vedere quante pagine si aprono.
Ce n’è per tutti i gusti: dai riciclaggi di denaro, alle truffe delle Grandi Opere allo zampino della Mafia, dagli appalti truccati ai ladrocini politico servoassistiti di Oscar Farinetti e del suo trionfante, rivoltante Eataly sino alle discriminazioni anti gay, dalle infinite speculazioni mascherate da straordinarie opportunità sino alle velleità culturalpolitik dei sedicenti Movimenti No Expo, ai quali oggi, come a tutti del resto, è dato facilmente avere una voce autorevole: basta pagare 30 Euro per un hosting e metterci su un sito preformattato, due testi e qualche fotografia; ed è subito Verità. E’ indubbio che ognuna di queste tematiche sia di interesse pubblico, come è indubbio che ciascuna di esse, se non importante, contenga importanti parti verificate e condivisibili, o quanto meno foriere di necessarie riflessioni. Quello che lascia abbastanza stupefatti, semmai, è il misto di livore e candidezza con le quali queste vengono affrontate.
E’ assolutamente evidente, o dovrebbe esserlo, anche al più sprovveduto, provincialotto e ingenuo degli osservatori, che l’Esposizione Universale non è che in quanto tale sia latrice di Purezza e Perfezione: al contrario, essa è una enorme, visibilissima e molto illuminata vetrina in cui ciascuno mette quello che ha, ivi comprese le decorazioni. Non esiste, non è mai esistita una Expo che non abbia generato un sacco di polemiche. E non è mai esistita, salvo plateali casi di esagerata e fuori luogo morigeratezza, una Expo che poi, tirando le somme, non abbia lasciato dietro di sé assieme ad un sacco di delusioni un bel po’ di cose belle e stupefacenti, destinate a rimanere, e un sacco di soldi fluiti come per incanto da tutto il mondo verso le tasche dei cittadini dei luoghi che l’hanno ospitata. Un po’ come i Mondiali di Calcio e le Olimpiadi, ma più in grande e con più classe.
L’Acquario di Genova e il suo Porto Antico, il quartiere Eur tutto, la Fiera di Milano ed il Parco Sempione, la Torre Eiffel, la Cartuja, metà Barcellona, tutta la zona moderna di Lisbona, buona parte di Disneyland, le fortune tecnologiche di Seattle, lo Smithsonian di Washington, l’Atomium, il Casino di Montréal, il Royal Exhibition Building di Melbourne, il fu e compianto Crystal Palace londinese: solo alcuni dei pressoché infiniti esempi di cose che oggi sono il perno di un giro di affari e di interessi culturali che prima dei relativi Expo non esistevano. Alcuni di essi sono divenuti il simbolo stesso della città ospitante, se non addirittura del Paese. Controversie? Polemiche? Speculazioni, malaffare, spreco, ipocrisia, tangenti, favori, assassinii politici? Ma certamente. Del resto, come credete si facciano i soldi?
A suon di meravigliose e purissime start-up nate dentro fatiscenti garage? Expo non è il simbolo dell’onestà internazionale e della purezza d’intenti; è una supervetrina capace di mobilitare tutto, ma proprio tutto il tessuto economico e culturale delle Nazioni. A quel punto, scatta la gara a chi più è capace di lucrarci sopra, con ogni mezzo, il più a lungo possibile e per il maggiore introito. Chi può, si unisce alla scorribanda e ne esce come meglio riesce. Chi non può, resta alla sbarra a lanciare strali. Alla fine si tirano le somme e si lucra di nuovo su quello che rimane sul tavolo, sia una catena di negozi, un lancio promozionale politico o un trattato economico internazionale. Chi si sforza di ignorare le logiche di questo Circo Magno e insiste a tirare saette nel nome di qualche immaginario ideale merita tutta la nostra simpatia, ma rischia di diventare una figura, per chiudere il discorso lasciato incompiuto in apertura, di quelle che fanno rima con Orione.