Ex Gkn, cassa integrazione straordinaria dopo 7 mesi, ma è gioia amara

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Campi Bisenzio- Ex Gkn, non c’è molto da gioire. L’unica nota positiva, che comunque è importante, è la fine posta, dalla concessione della cassa integrazione straordinaria (fino a dicembre 2023), a ben sette mesi senza stipendio subiti dai lavoratori. Buona notizia, che che nasce sugli strascichi di profonda sofferenza inflitti ai lavoratori: decine dei quali si sono dovuti licenziare mentre altri sono stati lasciati in preda alla morosità incolpevole, senza reddito in mezzo alla crisi inflattiva più grave degli ultimi trent’anni, senza neppure la possibilità di bloccare i mutui di fronte ai progressivi rincari dei tassi variabili. E oltre a questo, Qf deve ancora pagare tutte le spettanze arretrate.

La Rsu sottolinea come non si tratti di una cassa per cessazione d’attività: “Ci dicevano che la cassa per cessazione d’attività era l’unica compatibile con la liquidazione dell’azienda. Hanno provato implicitamente e sottotraccia a farci accettare il suicidio assistito per fame. Non sono passati. Questa cassa, concessa in regime di liquidazione, non è per cessazione”.
E allora, cos’è questa cassa?  “Questa cassa è in deroga a qualsiasi regola finora conosciuta – sottolinea ancora l’RSU ex Gkn – che dimostra che il Governo poteva tutto e che nulla ha fatto: avrebbero potuto risolvere la questione del reddito in qualsiasi momento, con decretazione d’urgenza, hanno atteso mesi. E quando hanno deciso di intervenire, l’hanno fatto esattamente dando a  Borgomeo quanto Borgomeo chiedeva: una cassa (inserita nell’articolo 30 del decreto lavoro, Gazzetta Ufficiale del 4 maggio, cucita addosso a QF) senza piano industriale, prospettiva, costrutto, retroattiva e senza neppure consultazione sindacale”.
Di fatto, la cassa concessa si regge su un principio, quello che “si può non pagare gli stipendi per mesi, sequestrando contratto nazionale, Cud, permessi, ferie, buste paga”. Tutto ciò avveniva, ricordano dall’Rsu, “mentre l’azienda spariva per mesi dai tavoli e dai propri doveri contrattuali e decine di lavoratori si licenziavano. Questo ha determinato oltre 200 decreti ingiuntivi accolti dal Tribunale e 5 sentenze a favore dei lavoratori: il Governo con la cassa condona retroattivamente il dovere dell’azienda di pagare gli stipendi, cancellando con un gesto di spugna i decreti ingiuntivi”.
Si tratta di una cassa, a pagamento diretto Inps e decisa senza consultazione sindacale, che “viene messa in atto senza alcun accordo a latere, di anticipo, rotazione, gettone a integrazione e in violazione dell’accordo quadro del 19 gennaio 2022, di fatto inapplicato”.
Resta una domanda inevasa, per l’RSU ex Gkn: “Ora che riparte la girandola di tavoli, che valore ha firmare accordi con chi non li rispetta e senza che nessuno agisca per farli rispettare?”.
“Siamo arrivati a due anni di cassa integrazione. Fatto una volta, lo si può fare altre volte – dice  l’RSU – il Governo ha deciso di nazionalizzare di fatto i nostri stipendi, a questo punto chiediamo che lo Stato entri nell’intero processo di reindustrializzazione. Che sostenga con intervento pubblico la reindustrializzazione dal basso e l’unico piano industriale che è in campo oggi, quello elaborato dal comitato tecnico e scientifico solidale del Collettivo di fabbrica”.
Sul capitolo “reindustrializzazione”, la nota dell’Rsu precisa alcuni fatti. Intanto, “la reindustrializzazione ventilata da Borgomeo è stata usata fino ad oggi come un miraggio per prendere e perdere tempo, sostituendo i licenziamenti dichiarati al lento sgocciolio dei licenziamenti di fatto e confondendo l’opinione pubblica. Una situazione che non è specifica per Gkn, basterebbe ricordare Eutelia, Imbraco, Blutech, forse Wartsila. “Gkn/QF è di fatto un caso di deindustrializzazione, di confusione, di delocalizzazione, di assenza di politica industriale, come tutti gli altri” sottolinea l’RSU. “La differenza qua sta nella resistenza che abbiamo opposto a questo processo e nell’esistenza di un piano di reindustrializzazione dal basso”.
Entrando nel merito, “Chi ad ora parla di reindustrializzazione ha il dovere di dire che ad oggi, al di là del piano industriale dal basso del Collettivo di fabbrica e dello scouting pubblico, non c’è nulla”, dice  l’RSU.
Ma occorre anche un altro dovere, da parte di chi pala di reindustrializzazione: “Quello di chiarire con quali mezzi intende farlo. Il mondo solidale attorno al Collettivo di fabbrica ha raccolto 174.000 euro di crowdfunding – dicono i lavoratori –  il mezzo societario con cui i lavoratori possono determinare la propria stessa reindustrializzazione è una forma cooperativa. Chi parla di reindustrializzazione, fornisca risposte puntuali, perché se non sei chiarezza, sei parte della confusione. E la confusione serve a generare divisione, la divisione genera rassegnazione, la rassegnazione è solo il preludio della resa”.
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