Firenze – Una versione inedita di Suite francese di Irène Némirovsky, o meglio, della prima parte, che fu dattiloscritta dal marito, corretta a mano da lei e contenente quattro capitoli nuovi e molti altri, profondamente rimaneggiati, del primo dei cinque movimenti di quella che è stata definita una “grande sinfonia”, rimasta incompiuta, a cui stava lavorando nel luglio del 1942, quando fu arrestata dai nazisti e deportata ad Auschwitz.
Una scoperta filologica richiama nuova attenzione su Irène Némirovsky, scrittrice ebrea la cui vicenda ci tocca oggi particolarmente. Nata a Kiev nel 1903 e morta ad Auschwitz nel 1942, la futura romanziera nel 1918 fugge dalla Russia post rivoluzionaria (dal 1913 la famiglia si era trasferita a San Pietroburgo) e approda in Francia nel 1919. Qui studia alla Sorbona e vive gli anni folli in tutto il loro splendore.
Nel 1929, grazie al romanzo David Golder diventa una scrittrice di grandissimo successo. Negli anni a venire pubblica circa un romanzo all’anno, sempre con editori di grande prestigio, quali Grasset o Albin Michel. Qualcosa cambia con l’approvazione delle leggi razziali, che impediscono a Irène Némirovsky di continuare a pubblicare. Con la consapevolezza che si sarebbe trattato di un’opera postuma, la scrittrice comincia a dedicarsi a quello che considerava il suo capolavoro, Suite francese. L’opera sarebbe dovuta essere composta da cinque parti, ma Némirovsky riuscì a completarne solo due, Tempesta in giugno e Dolce. Della prima, ne realizzò anche una riscrittura, oggi edita per la prima volta in Italia a cura di Teresa Lussone, ricercatrice dell’Università di Bari, e Olivier Philipponnat, biografo della scrittrice e garante dei diritti morale (Tempesta in giugno, Adelphi 2022).
Abbiamo parlato di questo evento letterario con Teresa Lussone
Perché Irene Némirovsky scrisse una seconda versione di Suite francese ?
Come d’abitudine, dopo aver buttato giù una prima stesura dell’opera, Irène Némirovsky intraprese la revisione di quanto scritto. La revisione è intensa, serrata, e diventa una vera e propria riscrittura. L’autrice era ben consapevole del valore del suo romanzo ed è questo che spiega la dedizione, l’acribia, la tenacia con cui portò avanti questo lavoro. Il 13 luglio 1942 l’arresto e poi la deportazione interruppero la revisione ed è per questo che è solo di Tempesta in giugno che esiste un’ultima versione.
Quando fu scritta e come è stata ritrovata ?
I documenti a nostra disposizione non ci permettono di datare con precisione il dattiloscritto che trasmette l’ultima versione del romanzo. Il dattiloscritto fa parte dei documenti che il marito della scrittrice, Michel Epstein, al momento della deportazione, nell’ottobre del 1942, affidò alle figlie. Dopo la pubblicazione di Suite francese tutte le carte dell’autrice sono state depositate in una biblioteca di Caen, ed è lì che io ho potuto consultarlo e analizzarlo. Inizialmente si pensava che questo testo fosse attribuibile a Michel Epstein, poiché era stato lui a batterlo a macchina. Le ricerche filologiche hanno invece dimostrato che esso è certamente attribuibile alla scrittrice.
Cosa distingue questa seconda versione da quella più conosciuta ?
L’opera è sottoposta a un importante rimaneggiamento stilistico, è come il tono del racconto prendesse accenti diversi. Il destino di alcuni personaggi cambia completamente, tra cui quello di Adrien Péricand e di suo figlio Philippe. Nella prima versione, non si sa più nulla di Adrien Péricand dopo che la sua famiglia lascia Parigi. Nell’ultima versione, invece, è protagonista di uno degli episodi più riusciti del romanzo, in cui comico e tragico si mescolano con effetti del tutto inediti rispetto alla prima versione.
Possiamo allora considerarle e leggerle come due opere distinte?
Sì, secondo me questa è la scelta più giusta. Suite française ormai è un classico e sarebbe scorretto pensare di sostituire la versione che tutti abbiamo letto. È una riscrittura, per capire il valore e il senso pensiamo a Tasso, alla Gerusalemme liberata e alla Gerusalemme conquistata. O a Manzoni, a Fermo e Lucia e a I Promessi sposi.
Ma l’aspetto unificante è proprio quella “Tempesta in giugno” il grande affresco delle Francia nel momento della disfatta…
Siamo nel giugno del 1940. I tedeschi sono alle porte della capitale e i parigini si rendono conto che devono abbandonare la città. Prima scettici, increduli, sono travolti loro malgrado dalla tempesta della storia. Tempesta di giugno è il racconto di quell’esodo. E soprattutto delle paure che accompagnarono quell’esodo. La più stretta attualità fa sì che il racconto di quella fuga ci sembri particolarmente toccante, tanto più che l’esodo da Parigi nel giugno del 1940 rievoca nella scrittrice la fuga dalla Rivoluzione russa che aveva vissuto in prima persona circa vent’anni addietro.
Alcuni suoi saggi studiano a fondo i temi del comico in Suite francese. Qual è il loro ruolo, quanto sono importanti ?
Némirovsky aveva la leggerezza dei grandi scrittori. Nel suo grande affresco della Francia del tempo rappresenta vizi e virtù di una società da cui si sente ogni giorno più estranea. I vizi prevalgono e a questi viene riservato un trattamento talvolta ironico, talvolta satirico. È sulla giustapposizione di questi aspetti alla tragedia della storia che si fonda la cifra stilistica di Tempesta in giugno.
Lei ha scritto anche il saggio “ Vie de l’impératrice Joséphine, un inédit d’Irène Némirovsky”. Perché Némirovsky si interessò di Joséphine Beauharnais ?
Nelle note preparatorie Irène Némirovsky si propone di scrivere una biografia di Joséphine Beauharnais composta da otto scene, di cui realizzò solo la prima. Si tratta di un testo misterioso, di cui non sappiamo molto, anche la datazione è incerta. Il testo risale forse al 1939 e va messo in relazione con un altro sceneggiato, quello dedicato a Émilie Plater, patriota della Rivoluzione polacca. Queste opere fanno parte di una stagione letteraria che si apre dopo l’Anschluss, nel marzo del 1938. Si tratta di un evento che colpì molto Némirovsky e in seguito al quale la scrittrice cominciò a riflettere su come la Storia trasforma le vite individuali in tempo di catastrofe.
Nella foto Teresa Lussone