Europa Stato federale: la sfida decisiva del futuro

Sergio Fabbrini: “Ripartire dalla lezione di Altiero Spinelli”
Il professor Sergio Fabbrini nel corso dell’intervento presso la Fondazione Circolo Rosselli4

Europa federale. Europa con istituzioni sovranazionali, Europa intergovernativa. Europa stato federale, Europa organizzazione internazionale. Una dicotomia strisciante, quella che potrebbe minare alle basi la costruzione sognata da Altiero Spinelli, ovvero un’Europa che diventi una Federazione, un polo unitario che salvaguardando le sue peculiarità, tuttavia riesca a governare e funzionare secondo l’interesse comune europeo. Uno stato, in definitiva, non un tavolo cui siedono gli stati. Anche perché, secondo quanto ricorda il professor Sergio Fabbrini,docente di Scienze politiche e Relazioni Internazionali e Direttore della Luiss School of Government  L’idea principale da cui nasce l’Unione Europea  è quello di depotenziare e magari riuscire ad espellere dalla storia i nazionalismi responsabili dei più orribili conflitti del ‘900.

“Il fatto di cronaca che vede la possibilità che un nemico acerrimo dell’Unione europea come Viktor Orbàn assuma la presidenza del consiglio europeo, mi consente di dare alcuni elementi per capire il quadro istituzionale dell’unione europea – dice Fabbrini, nell’ambito del Convegno “Europa 2024”, tenutosi il 12 gennaio scorso presso la Fondazione fiorentina Circolo Fratelli Rosselli –   Intanto, le istituzioni dell’’Unione europea non sono mai state pienamente codificate. Non emerge un chiaro disegno, che c’è stato in una fase molto ristretta; sia i politici che gli studiosi hanno sempre avuto una visione processuale dell’Unione europea”.

Il fatto che l’unione europea sia stata e tuttora sia percepita come un “processo in evoluzione, non un sistema politico”, da parte della classe politica europea (a livello di studi l’idea di Unione Europea come sistema politico si affaccia negli anni ’90) ha comportato una grossa debolezza di sistema, ovvero che non si sia mai pensato esattamente al ruolo, bilanciamento, degli stati, che non sono mai stati pensati sulla base di un disegno politico sistemico. In realtà, il momento in cui si pensò in questi termini ci fu, ma fu un passaggio storico, che venne meno molto presto.  “L’unico momento in cui c’è stato questo disegno fu nel ’54, quando,  l’Italia, grazie a De Gasperi, ha avuto un ruolo importantissimo e poi al compimento, nella prima metà degli anni ’50, col primo Trattato sulla Comunità Europea della Difesa”. Ma le pressioni americane sulla sua costituzione e il ripensamento della Francia circa il Ced  svuotarono il progetto e l’idea.

Inevitabile a questo punto ripartire dalla lezione di Altiero Spinelli, per cui la costruzione dell’Europa si poneva in modo molto diverso, rispetto al “processo evolutivo” che prese piede. “Per Spinelli bisognava partire dalle istituzioni (e nel Ced c’è un chiaro disegno federale) e poi, dalle istituzioni, potevano svilupparsi le condizioni e i modi per regolare le politiche. Dopo il 30 agosto del ’54, Spinelli perde e con lui perde la tradizione federalista dentro l’Unione europea, rimanendo una figura retorica senza effettiva capacità culturale di incidere sul funzionamento delle istituzioni. Jean Monnet diventa il vero protagonista della nascita della comunità europea di Difesa e del suo successivo sviluppo. Quindi, l’Europa che prende corpo a Roma nel 1957 è un ‘Europa funzionalista che per sua natura non si preoccupa degli Esteri, il problema dell’Europa diventa il “fare”. Come fare, con quali scopi fare, quali sono le conseguenze del fare, questo è un problema che i funzionalisti, per la loro struttura cognitiva, culturale e teorica non si pongono”.

Un approccio che tuttavia segna grandi risultati, come in particolare la costruzione del Mercato unico, creando le condizioni per smussare piano piano le differenze fra gli stati membri. “Con la presidenza di Jacques Delors alla Commissione europea, un altro campione del funzionalismo, si creano le condizioni per fare il salto verso la moneta unica”. L’occasione, per dare corpo alla soluzione già pronta in un cassetto, parafrasando Delors, fu la caduta del Muro di Berlino e la riunificazione della Germania. La soluzione era la seguente;  la Germania rin5unciava al marco tedesco ed entrava in funzione l’euro.  

Nel 1992, col Trattato di Maastricht, si compie un altro passaggio:  le proposte,  direttive e regolamenti, del pilastro del Mercato unico, che è un pilastro comunitario, fondamentalmente sovranazionale dal momento che la commissione ha monopolio di iniziativa legislativa, vengono approvate dal Consiglio dei ministri a maggioranza qualificata. “Ciò comporta all’ Europa fino ad allora conosciuta, si aggiunge una seconda Europa. Una seconda Europa che in molti hanno faticato a riconoscere, vale a dire un’Europa che si pone con l’idea di governare non con le politiche regolative del mercato, ma con i poteri centrali dello Stato”.

Del resto, spiega Fabbrini, “Dopo la fine della Guerra Fredda, non era più possibile tenere sotto il tappeto politiche come la Difesa, gli Esteri, la sicurezza, l’asilo politico, politiche che vengono portate a Bruxelles a condizione che siano governate da un modello diverso da quello adottato per le politiche regolative del mercato”.

Il problema è “l’altra” Unione. “L’altra Unione che è un’Unione intergovernativa, che non funziona sul voto di maggioranza, (qualificata, semplice) ma vota all’interno del consiglio europeo, esclusivamente con un voto all’unanimità. Emerge perciò una seconda idea logica dell’integrazione che ha finito per rafforzare le sovranità nazionali, in quanto intorno al tavolo del Consiglio europeo, ci sono le sovranità dei singoli stati. Ogni stato ha diritto di veto perché mantiene una sua deadline per cui può dire “per me questa cosa è inaccettabile”. Se per Spinelli le sovranità nazionali dovevano essere ridimensionate, e un’Unione sempre più stretta doveva essere finalizzata a ciò, nel consiglio europeo abbiamo riportato le sovranità nazionali al centro del processo decisionale”. E questo perché, come spiega il professore, mentre sulla politica economica gli stati sono propensi a darsi regole sovranazionali, le questioni della Difesa, della politica estera e delle relazioni internazionali sono ritenute ancora troppo identitarie e qualificanti interessi nazionali propri, e si incontrano svariate resistenze.

Il rafforzamento dell’Unione intergovernativa a scapito dell’Unione federale “è un rafforzamento che crea problemi importanti – conclude Fabbrini – penso che continuare ad avanzare su queste logiche, non sia una soluzione, perché la complessiva e per molti aspetti inarrestabile intergovernatività  dell’Unione Europea finisce per trasformarla in una organizzazione internazionale. E il Consiglio europeo ha tutte le caratteristiche di un’arena diplomatica . Seguitando su questa strada, l’Unione europea finisce per essere un’organizzazione internazionale che è molto diversa da quella che aveva in mente Spinelli, ovvero un’Europa che era integrata per rispondere al problema che ha distrutto questo continente: il nazionalismo. E siccome l’organizzazione internazionale non è una risposta al nazionalismo, ma è un modo di coordinare i nazionalismi, non penso sia quella la soluzione per i nostri problemi”.

Nella foto Sergio Fabbrini con MarcoButi.

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