Europa: rabbia e indifferenza i due volti dell’attacco alla democrazia liberale

La medicina contro il totalitarismo è la Federazione degli Stati liberi europei
(FILES) A file photo taken on April 24, 2009 shows the European Union flag and national flags in front of the European Parliament in Strasbourg, eastern France. The Nobel Peace Prize was on October 12, 2012 awarded to the European Union, an institution currently wracked by crisis but is credited with bringing more than a half century of peace to a continent ripped apart by World War II. AFP PHOTO / FREDERICK FLORIN

I risultati delle recenti elezioni europee ci consegnano uno scenario a tinte chiaro scure di non facile lettura.

E’ sotto gli occhi di tutti che in alcuni paesi membri, compreso il nostro, i partiti ed i movimenti politici di estrema destra abbiano raccolto un successo che, per certi versi, non era così inaspettato. Laddove il dato più preoccupante si è registrato in Francia in Austria e in Germania in cui sembrano affermarsi forze politiche votate alla riaffermazione delle identità “nazionaliste” che hanno il pregio di riportarci alla mente i guasti che le stesse hanno provocato nel XX secolo. Soprattutto nel momento in cui quelle forze politiche o quei movimenti, utilizzano e si fregiano di simboli, immagini ed effigi che ricordano le efferatezze di una cultura antilibertaria ed antidemocratica.

Ma perché questo avviene?

Non credo affatto sia un fenomeno nuovo, ma sia il riproporsi, sebbene con modalità e obbiettivi diversi, di dinamiche, anche perverse, che, se non comprese, potrebbero portare, se non lo stanno già facendo, allo stravolgimento dei principi e dei valori democratici e delle sue Istituzioni, consacrati nei dettati costituzionali che, faticosamente, una parte degli Stati europei e gli Stati Uniti di America, ebbero a conquistare con il sacrificio di intere generazioni.

Come di seguito al primo conflitto mondiale, e sebbene in circostanze diverse, i paesi europei ed i loro popoli, vivono una fase di crisi politica, sociale ed economica profonda che la Pandemia ha accelerato ed acuito nella sua dimensione ma che, da tempo, era già in atto. La politica degli ultimi decenni, espressa attraverso i partiti, ha tradito la sua funzione di riferimento ideale e culturale come espressione di confronto tra modelli di società e prospettive di sviluppo economico e sociale, per diventare il veicolo di diffusione di slogan pubblicitari, che rifuggono e tradiscono ogni principio etico, al solo fine di attrarre consenso. Per di più diventando il campo per un confronto becero ed aggressivo tra forze politiche che hanno soppiantato ogni regola non scritta di carattere etico, ed in cui prevale chi la “spara più grossa”. Il tutto al cospetto di cittadini che, disillusi dalle costanti promesse mai mantenute, dalla perdita di rigore etico e morale ed intimorito dalla paura di veder sacrificato il proprio status, si affidano a chi gli promette salvezza ed il recupero degli “antichi” valori.

L’aggravarsi delle crisi economiche e sociali dei paesi europei dietro la spinta di fenomeni inflazionistici causati da fattori che esulano dalle normali dinamiche economiche ma che trovano la loro ragion d’essere anche in fenomeni meramente speculativi e di potere, hanno di fatto aggravato le già precarie condizioni sociali di intere fasce deboli della popolazione ed hanno spinto verso il basso quel ceto medio, anche imprenditoriale, che da sempre ha contribuito in misura decisiva alla redistribuzione della ricchezza ed alla crescita economica dei paesi “liberi”.

Partendo dal presupposto che le crisi economiche, prima che economiche, sono politiche è di facile comprensione che, nel momento in cui le forze politiche hanno abdicato alla loro funzione di guida e di riferimento ideale ed etico (poiché colpite anche da fenomeni di corruzione), perseguendo programmi incapaci di rispondere ai reali bisogni ed alle esigenze concrete dei loro cittadini, questi oltre a percepire un concreto impoverimento sociale, hanno sviluppato un senso di rabbia e di frustrazione verso coloro che, al contrario, avrebbero dovuto offrirgli speranze.

Ed è così che quei movimenti o quelle forze politiche che si trovavano ai margini degli scenari politici, hanno avuto buon gioco nel prendersi cura dello scontento, facendo leva sulle paure di popoli smarriti che temono il sopraggiungere di culture, quali quella woke, capaci di sovvertire un ordine morale ormai frantumato.

L’immigrazione incontrollata, malgovernata o ideologicamente sposata senza alcun ordine, ha costituito e costituisce un elemento di forza per quei movimenti che si prefiggono di proteggere la “Nazione” da chi intenderebbe “rubare” il lavoro altrui e vorrebbe operare una sorta di “sostituzione etnica” in nome dell’avversato meticciato di derivazione paneuropea. Una immigrazione per colpa della quale (e ve n’è di ragione) si viene costretti a lavorare con salari assai modesti per la presenza di “immigrati” disposti a lavorare quasi per un nulla (ma che per loro è già molto a confronto della condizione vissuta nei paesi di origine).

L’idea per la quale coloro che non si rendono produttivi (a tutti i costi ed indipendentemente dalle misure salariali) non sarebbero degni di partecipare della grandezza della nazione. Convincere il popolo che il sacrificio è a favore della Patria e che chi non lo fa non ne può essere parte.

L’idea per la quale l’inquinamento culturale del lassismo di genere sarebbe il frutto di una sottocultura che andrebbe a negare l’idea immobile di una nazione fondata su valori universalistici tinteggiati di cristianità, di famiglia e di Patria (nella sua accezione più distorta). L’idea per la quale vi sarebbe un massimalismo strisciante capace di negare le libertà in nome di un pensiero unico socializzante.

Queste argomentazioni purtroppo, se ci guardiamo appena indietro al XX secolo, sono le stesse che spinsero alcune nazioni ad assumere una veste autoritaria nell’idea di un ordine sociale capace di riscattare le sofferenze di popoli afflitti da gravi crisi economiche, sociali e morali e che, tuttavia, fecero scivolare l’Europa ed il mondo occidentale verso conflitti devastanti e sanguinosi.

Rivendicazioni nazionaliste che fecero precipitare quell’equilibrio tra le sovranità europee raggiunto con la pace di Westfalia, e che servì da un lato a superare l’universalità religiosa che si voleva imporre, e dall’altro a porre fine ai devastanti conflitti vissuti nella guerra dei trent’anni. Una pace che forgiò le sovranità degli stati, ed aveva permesso di consacrare un ordine che per quasi duecento anni aveva impedito che uno stato sovrano potesse prendere il sopravvento sull’altro. Laddove l’Inghilterra aveva giocato un ruolo determinante affinché fosse mantenuto l’ordine costituito.

Il fatto è che tale equilibrio, avrebbe dovuto evolversi verso forme di cooperazione tra gli stati per come preconizzato da Kant, al fine di raggiungere un sistema di pace e di sviluppo.

Sta di fatto che Il primo ed il secondo conflitto mondiale, con l’avvento dei nazionalismi e grazie ad essi, avevano alterato ed azzerato quell’ordine ed il suo processo di evoluzione, salvo poi venire riavviato con l’avvento della potenza degli Stati Uniti d’America che, dal secondo dopoguerra in poi, ha avuto proprio la funzione di Stato regolatore degli equilibri mondiali.

Il fatto è che l’appellarsi, da parte dei popoli, a movimenti politici apparentemente capaci di risolvere i loro problemi facendo leva sul disagio e sul pericolo di una massificazione distruttiva, prospettando un riscatto nazionale capace di mettere le nazioni al centro del mondo, nell’illusione di restituire ad essi una dignità nei valori perduti, come ho detto, è il sintomo di un inconscio scivolamento verso forme ecumeniche e di protettorato che sono l’anticamera della perdita di ogni libertà.  A ciò accompagnandosi ad un indifferentismo diffuso, soprattutto tra i giovani, che, come ebbe ad ammonire Piero Calamandrei, sarebbe stata la via per il ritorno di fascismi e totalitarismi.

Con rammarico è da rilevare che le forze progressiste e libertarie, hanno perso la capacità di porsi come motore capace di coniugare l’individualità con la consapevolezza dei doveri sociali.

Da un lato si è marciato verso una cultura fondata esclusivamente sulla costante ed esasperata ricerca ed affermazione dei soli diritti sociali, sacrificando la libertà e l’azione dell’individuo in nome di una improbabile “unità sociale”, dando sfogo a politiche in cui l’individualità ha dovuto lasciare lo spazio a forme di progresso “collettivo” e universalistico capaci di dare vita a dogmatismi percepiti come altrettanto totalizzanti. E dall’altro si è marciato verso il solo rispetto dei diritti dell’individuo caldeggiando il raggiungimento esclusivo del benessere e della soddisfazione materiale, verso un individualismo sfrenato, dimenticando la funzione educatrice della società.

Così ha avuto il sopravvento la ricchezza speculativa che soffre ed avversa ogni senso della società e della cooperazione tra capitale e lavoro come strumento di crescita e di miglioramento dell’individuo.

Così si è inteso portare avanti politiche di immigrazione incontrollata in nome di una fratellanza assistenzialista universale e poco credibile nel metodo, senza il doveroso rispetto per le regole dello Stato di Diritto.  

Così come si è inteso dare più dignità alla tutela delle fasce più povere, a scapito di classi sociali e produttive che sono state abbandonate al loro destino, poiché ritenute più abbienti e non meritevoli di particolare attenzione. E’ fuori discussione che uno Stato debba assegnare dignità ad ogni suo cittadino fornendogli i mezzi necessari all’esercizio dei diritti a lui riconosciuti, ma non per questo si deve operare una presunzione di superiorità morale a certe fasce sociali rispetto ad altre, poiché tutti si rendono partecipi nel reciproco rispetto, del progresso e della crescita dello Stato stesso.

Insomma politiche poco attente alla costruzione di una società veramente “inclusiva e plurale” in cui lo Stato si rende promotore e partecipe della dignità sociale dei cittadini, nessuno escluso, senza per questo aprire le porte a sensi di colpa che sviliscano l’individualità, il merito e la ricchezza dell’individualità forgiata dalla consapevolezza dei doveri sociali.

Questa temperie ha così diffuso un crescente stato di confusione e di rabbia e che oggi, come detto, alimenta nostalgie verticiste ed ecumeniste, ma soprattutto alimenta le culture non libertarie pronte a prendere il sopravvento.

Il frutto di tutto ciò si materializza nei tentativi di mutare le Costituzioni libere per piegarle verso forme di accentramento di potere, spacciandole come strumenti di guida e ricostituzione di un ordine sociale nazionale universale che possa farci tornare indietro ai tempi felici.

Ma è solo una illusione!

Se non vogliamo ripercorrere i sacrifici totalitari, occorre più che mai che questa Europa trovi la via di una federazione di Stati liberi e non sia la somma di nazionalismi protettivi. Lo stesso Kant, all’indomani della pace vestfaliana, aveva preconizzato che l’ordine “mondiale” avrebbe dovuto passare attraverso la federazione volontaria degli Stati europei come strumento di pace e progresso dei popoli. Una federazione che deve dare nuovo impulso al rapporto con quella che è ancora la più grande democrazia mondiale, ovvero gli Stati Uniti d’America.

In un mondo in cui le competizioni economiche e sociali avvengono per continenti, l’Europa non può tornare indietro all’equilibrio dei poteri e delle legittimità di vestfaliana memoria, ma se vuole rendersi partecipe dell’equilibrio mondiale, deve farlo come sintesi unitaria di Stati e non come vorrebbero i nuovi nazionalismi come somma di singole Nazioni.

Dobbiamo diffidare da chi vorrebbe un’Europa disunita ma anche alleata con l’America, perché significherebbe lasciare le mani libere ad ogni Nazione di costantemente barattare la sovranità con i potentati di turno, nell’illusione della salvezza della patria.

E questo è ciò che vogliono le forze politiche dell’estrema destra che si stanno affacciando alle nostre porte e che, variamente capitanate, non hanno affatto intenzione di creare una sintesi libertaria, ma intendono tornare ad un equilibrio di potere vestfaliano che, proprio per la mancanza di un passaggio di coesione, non potrebbe che portare nuovi guasti. Soprattutto oggi dove le tentazioni universalistiche di Russia e Cina incombono con i loro totalitarismi verso i quali la via intrapresa potrebbe condurci.

Proprio per questo le forze politiche veramente democratiche e libertarie, non intrise di dogmatismo ideologico, devono impegnarsi per riaffermare le loro idealità ed identità per impedire che i prodromi del XX secolo si ripresentino ed impediscano la costruzione di un’Europa unita e federata, fuori da ogni personalismo e da ogni spot pubblicitario. Devono mettere al servizio dei popoli la loro credibilità, capacità e conoscenza, senza protagonismi o secondi fini. E la loro forza sarà quella di dare voce ai disillusi ed agli indifferenti del voto, affinché ritrovino nell’impegno per la politica e per la società la via per conservare e portare avanti le idee di democrazia, di libertà e di coesione, prima che si sveglino senza. Perché un’Europa federata non ha più diritti dei suoi cittadini, ma ha certo più forza.

Simone Aiazzi, avvocato, è segretario regionale del Movimento Repubblicani Europei

Total
0
Condivisioni
Prec.
“Le leggi fascistissime” alla Fondazione Modigliani

“Le leggi fascistissime” alla Fondazione Modigliani

Presenti la vicepresidente del Senato, il direttore di Mondoperaio e Valdo Spini

Succ.
Energie rinnovabili: investimenti raddoppiati nel 2023

Energie rinnovabili: investimenti raddoppiati nel 2023

Il quadro delineato dall’Irex Annual Report 2024, lo studio di Althesys 

You May Also Like
Total
0
Condividi