Il futuro dell’Europa è stato il tema sul tavolo del convegno, organizzato dalle Associazioni della cultura Italiane (Aici), introdotto e moderato dal presidente dell’Aici Valdo Spini, che si è tenuto a Roma, nella sede dell’Istituto Luigi Sturzo, il 13 settembre scorso. Alla tavola rotonda hanno partecipato l’ex presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato, Elisabeth Guigou, già Ministro e Deputato all’Assemblée Nationale e al Parlamento Europeo, presidente della Anna Lindh Foundation, Marco Buti, capo di gabinetto del Commissario europeo agli Affari Economici Paolo Gentiloni e Franco Ippolito, presidente della Fondazione Lelio e Lisli Basso Onlus.
Un’Europa lacerata, ma anche resa più compatta da problemi che sembrano affacciarsi da epoche che si pensavano superate: una pandemia senza precedenti, una guerra sul proprio continente, inimmaginabile solo 12 mesi fa. Il tutto dentro ad uno dei cambiamenti climatici più gravi che l’umanità abbia mai dovuto affrontare, almeno nell’ordine di un paio di millenni. E con l’aggravante che la temperie si sta rivelando un brodo di coltura perfetto per il riaffacciarsi di nazionalismi sempre più aggressivi, dalla Spagna all’Italia, alla Polonia all’’Ungheria, senza tacere dei Paesi nordeuropei, dove è da mettere nel paniere l’exploit delle forze nazionaliste di destra (20,5% il clamoroso risultato dello Sweden Democrats , che ne ha fatto il secondo partito dopo quello socialdemocratico fermo al 30%, consentendo al centrodestra di governare) nella democraticissima Svezia.
Eppure, come ricorda Valdo Spini nella sua relazione iniziale, l’unione europea ha superato positivamente la prova dell’epidemia di covid -19. Il Next Generation Eu e quello che ne è derivato “sono strumenti che hanno visto l’apparizione di qualcosa di veramente nuovo, l’emissione di titoli di debito pubblico europeo e la capacità quindi di modificare anche la situazione interna dei vari Paesi. Non c’è dubbio che il Pnrr ha fatto ragionare le forze politiche italiane in modo diverso: nessuno poteva avere il coraggio di dire rifiutiamo il Pnrr, usciamo dalla logica europea”.
Una prova soddisfacente a ridosso della quale è arrivata la guerra sferrata dalla Russia contro l’Ucraina. Sul punto si registra un’amara disillusione, vale a dire quella di aver pensato che tutto fosse ormai sistemato a livello economico, salvo svegliarci un giorno in cui, nel caso particolare di Germania e Italia, si è scoperto che l’essersi messi nelle mani della Russia per quanto riguarda la fornitura energetica era un problema che sarebbe diventato politicamente molto vincolante.
Ciò non scalfisce tuttavia il pesante quesito emerso quando, davanti al fatto che l’Unione Europea, impossibilitata a mettere in atto un intervento militare diretto, ma dovendo dare un segnale di solidarietà all’Ucraina, ha dato il via libera alle sanzioni verso la Russia, ha dovuto subire le contro sanzioni di Putin sul piano della restrizione degli approvvigionamenti. “Al momento attuale – sottolinea Spini – è diventato evidente che le procedure di decisione dell’Unione Europea sono inadeguate.Lo stesso meccanismo della maggioranza qualificata imballa il sistema obbligando a rinviare le scelte. Una situazione che mette ancora una volta in evidenza che qualora ci sia una situazione di vera emergenza e di vera urgenza, il modo di decisione europeo è drammaticamente inadeguato, mentre nel frattempo ci si sta accingendo a provvedimenti di limitazione dei consumi che entrano in ogni casa, vengono percepiti famiglia per famiglia, impresa per impresa, pur nella diversità di trattamento che ci sarà fra gli uni e gli altri”
Una situazione che rende necessario pigiare l’acceleratore sul tema della solidarietà europea: “Non è possibile che ci sia chi ci guadagna e chi ci rimette, ci vuole una forma di compensazione. Direi anche di più, forse serve una solidarietà occidentale”. Un appello forte che tiene conto di un dato di fatto evidente, ovvero che il panorama geopolitico dell’Europa “cambia completamente. Bisognerà valorizzare le risorse che vengono dal Mediterraneo a detrimento delle risorse che vengono dal Nord Est. Dovremo collegarci con la Spagna, col Portogallo, cosa che non abbiamo fatto precedentemente e senz’altro da questo punto di vista c’è stata un’imprevidenza notevole”.
La riflessione su come affrontare il tema concreto della limitazione delle forniture del gas, rappresenta tuttavia, sotto un punto di vista di lungo termine, un altro scalino veramente importante e significativo per la vita dell’Unione Europea. “Non riuscirci sarebbe una grande delusione – continua Spini – mentre riuscirci significherebbe fare un ulteriore passo avanti rispetto al passo fatto nel contrasto al covid 19”.
Europa, ma come? L’ex presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato mette in campo una questione che riguarda direttamente la “faccia” della nuova Europa. “L’Europa di oggi, nonostante la spinta derivata dal Next generation Eu, non è certo quella che vorremmo, anzi, è molto distante – dice Amato – in essa, il peso, che è naturale nell’UE, delle identità nazionali e degli interessi nazionali, sta diventando sempre meno compatibile con le azioni comuni e con la cooperazione di cui abbiamo necessità. E’ un fenomeno che ormai investe i rapporti fra i governi e i rapporti fra le Corti, tant’è vero che, fino ad alcuni anni fa, il primato del diritto europeo sul diritto nazionale nelle materie in cui è competente, era un principio chiaro. Ad oggi, questo primato è facilmente contrastato da interessi nazionali che si ritengono lesi e che innalzano bandiere che sono i “controlimiti”, un termine giuridico che definisce i limiti che un Paese pone “contro”, a tutela dell’identità nazionale”.
“Confesso inoltre la mia preoccupazione per il proseguire della guerra. Penso che si dovrebbe utilizzare la prima occasione utile per imporre alle due parti una tregua e impostare un processo su cui lavorare nel futuro. Se diamo retta a loro, quel momento non arriverà mai. La tregua va collocata in un tempo intermedio in cui si può aprire un processo in cui entrambe le parti possano ritenere di poter trarre i benefici che cercano”.
Il cammino verso un’Europa più integrata appare dunque sempre più accidentato. E la futura Europa potrebbe avere una veste molto diversa da come ce la eravamo immaginata. “Sono tra quelli che pensano che comunque, anche nella migliore delle ipotesi, l’Europa cui arriveremo non sarà federale. Ha ragione il tribunale costituzionale tedesco quando dice che ciò che abbiamo autorizzato ad ora è un’unione di stati, non una federazione”.
C’è anche un problema di metodo, forse, per quanto riguarda l’attuazione di una vera integrazione europea. Si rende necessario che “aree oggi assoggettate al metodo intergovernativo passino all’integrazione, almeno su ciò che è essenziale” sottolinea Amato. Oggi sembra che i fatti congiurino contro, ma nel buo qualche luce di speranza si intravede e paradossalmente, è stata proprio la forza inattesa della pandemia ad accenderle. “La pandemia ha portato di fatto nel paniere delle competenze europee la tutela della salute, che nel Trattato ha natura giuridica complementare, ovvero di supporto della competenza statale”. Un dato che può aprire spiragli per il futuro.
Un futuro che resta tuttavia ancorato a una pesantissima sfida, il cambiamento climatico in atto. “Sono colpito dal fatto che nella campagna elettorale italiana, che mira a conquistare i giovani, quasi nessuno si occupi seriamente del cambiamento climatico. La bolletta è oggi importante, ma per i giovani è più importante il cambiamento climatico – dice Amato – pochi di coloro che lottano in campagna elettorale si preoccupano di ciò che accadrà nel 2050. Un tema di un’importanza gigantesca, che riguarda la sopravvivenza della specie umana sul pianeta, un bivio uguale per tutti, dalla Papuasia al Brasile, dal Canada all’Europa. E’ un tema al cui centro c’è un bene comune innegabile, ovvero fare il possibile per consentire la sopravvivenza del pianeta”.
Necessità di affrontare la guerra russo-ucraina comprendendo bene che si tratta di un rivolgimento che non lascerà nulla come prima, non solo in Europa ma nel mondo, è il leit motiv dell’intervento di Elisabeth Guigou, che mette in luce come la guerra russo-ucraina apre qualcosa che va a fondo, nelle radici e nel cuore dell’Europa. “Credo che la guerra d’Ucraina rappresenti un rivolgimento per l’Europa che non ha precedenti. Questa guerra sarà in grado di cambiare la faccia del mondo con una redistribuzione di alleanze e finalmente mostra che ad oggi, il problema che si presenta all’Europa è quello di un confronto serrato fra le democrazie e le autocrazie. Putin, con la strategia dell’energia, si è prefisso di dimostrare che il modello autocratico è superiore al nostro modello democratico europeo. La guerra d’Ucraina è questione rifondante l’Europa”.
L’illusione dell’occidente europeo di aver eliminato le guerre e di avere una gestione pacifica delle sorti del mondo, viene messa in discussione e infranta da nuovi soggetti che si affacciano alla scena mondiale: il jihadismo ai confini dell’Europa del Sud, il terrorismo sul suolo d’Europa, l’imperialismo cinese che avanza lentamente ma continuamente, oltre all’imperialismo di Valdimir Putin”, già evidente con i conflitti “congelati” degli anni passati, la Moldavia, la Georgia, la Crimea. Il punto principale, il limite da non oltrepassare, è secondo Guigou l’accordo europeo di non modificare i confini nazionali come usciti dalla seconda guerra mondiale, mettendo in moto un effetto domino. “Si tratta di un’aggressione gravissima che mette in discussione le radici stesse su cui si fonda l’Europa. “Si tratta della dimostrazione più spettacolare della fine del sistema multilaterale dopo la seconda guerra mondiale”, dice Guigou.
Qual è l’ingrediente di base che ha permesso la risposta positiva a livello comunitario almeno a fronte dello tsunami della pandemia? Secondo Marco Buti, è rappresentato dalla fiducia reciproca fra i Paesi. “Non ha prevalso quel paradigma che era stata la maledizione dell’Europa durante la crisi finanziaria, che era il paradigma “dell’azzardo morale” – ricorda Buti – vale a dire, il ragionamento per cui non ti aiuto perché poi tu te ne approfitti e non risolvi i tuoi problemi”. La soluzione positiva proviene “dall’applicazione del principio di sussidiarietà in via discendente, e in via ascendente”. In altre parole, spiega, bisogna prendere atto che “alcune cose si possono fare meglio a livello nazionale ma anche a livello regionale, altre si fanno meglio a livello comunitario. Tutto ciò va interpretato da un punto di vista dinamico, alla luce degli eventi che abbiamo davanti”.
Tirando le fila: sussidiarietà discendente, ovvero ridare più poteri agli stati membri, il che significa la riforma delle regole di governance economica e del patto di stabilità e di crescita, con un approccio come quello di Next generation Eu, “ovvero dei piani di ripresa e resilienza, che significa una maggiore appropriazione nazionale come buona via per riformare le regole del patto di stabilità e maggiori responsabilità nazionali”; sussidiarietà ascendente, ovvero consegnare all’attività comunitaria la salute, la difesa, la politica dell’energia che ne sono i campi naturali”.
Inoltre, in risposta alla crisi determinata dal Covid, “ci siamo inventati delle competenze sui vaccini che non esistevano. Il punto da considerare è quello della fiducia fra i Paesi. Abbiamo messo in campo degli acquisti unificati e coordinati dei vaccini evitando una guerra fra paesi che sarebbe stata devastante, pur non avendo competenza su questo. Il passaggio interessante è che il fatto di non avere competenze ci ha aiutato perché tutti quanti i paesi sapevano che potevano stoppare la Commissione quando volevano. Quindi hanno detto andate pure avanti, vediamo cosa succede, e il fatto di non avere competenze nel trattato sui quei temi, ha permesso di evitare la percezione che fosse un tentativo da parte della Commissione di accrescere i propri poteri”.
Per quanto riguarda il pacchetto delle misure sulle energie, non è stato ancora completato ma sono emerse proposte interessanti. In particolare, per il futuro bisognerà individuare, dice Buti, nuovi beni pubblici europei, che stanno all’interno dell’ energia e della difesa. Una nuova Europa è necessaria. E’ questo, l’abbrivio dell’intervento di Franco Ippolito, che cita l’intervento del “grande vecchio”, Rino Formica, che proprio questo ha affermato, su un quotidiano qualche settimana fa. Perché il vero problema per la democrazia europea è che le strutture sovranazionali europee che funzionano per forza di cose, Nato e Bce, siano chiamate a svolgere un ruolo politico che non gli compete, non foss’altro perché su di loro non esiste un vero controllo democratico.
“Perciò sono i partiti – incalza Ippolito – che devono dire con la politica qual è il rapporto con la Nato, la Bce, le Corti europee”. Del resto, emerge un dato di fatto: le questioni europee non sono più questioni di politica estera ma sono decisioni politiche. Affermazioni banali, si potrebbe pensare, ma ciononostante la campagna elettorale “si sta svolgendo senza il minimo, serio riesame dei problemi dell’Europa e senza che i vari attori della scena politica internazionale ci diano un’idea seria dell’Europa del futuro”, nonostante che non più di due mesi fa si sia conclusa una conferenza che aveva come intitolazione “Conferenza sul futuro dell’Europa”. In quell’occasione, ricorda Ippolito, circa 700mila cittadini, per lo più giovani, hanno dibattuto questioni concrete, e hanno fatto proposte, portate poi a conoscenza dei vari presidenti europei il 9 maggio, su cui gli stessi si sono espressi e il Parlamento europeo ha preso impegni. Tutto ciò conduce al fatto che in Europa si è messo in moto un piccolo movimento che potrebbe diventare un movimento plurale. Rifacendosi a un famoso discorso di Luigi Einaudi, che con alle spalle la carneficina della prima guerra mondiale evidenziava l’anacronismo dello stato nazionale, fomentatore pericoloso di nazionalismi, Ippolito ne ricorda l’avvertimento profetico: se non imbocchiamo la strada del superamento dei nazionalismi avremo un’altra guerra.
Infine, da Valdo Spini una notazione: forse sarebbe il momento di cercare un dialogo fra l’Unione Europea e Stati Uniti, ala luce del fatto che, al momento, si tratta di due schieramenti politici progressisti, che potrebbero dare un forte segnale politico con un’iniziativa comune, in solidarietà a chi è più colpito dalle sanzioni sul gas russo.