Eternamente qui

Il filosofo Emanuele Severino è morto a Brescia lo scorso 17 gennaio. Nostro corposo omaggio al grande pensatore

E’ morto Emanuele Severino. E’ scomparso a Brescia lo scorso 17 gennaio ma si è saputo soltanto oggi, per sua volontà. Il filosofo, che avrebbe compiuto 91 anni il 26 febbraio, è stato già cremato. Severino, era considerato uno dei più grandi filosofi e intellettuali viventi. Due video (un’intervista di alcuni mesi fa e uno degli ultimi suoi interventi pubblici) e due pezzi (un articolo della filosofa Donatella Di Cesare, Corriere della Sera e un’intervista di Davide D’Alessandro, Il Foglio) per ricordarlo e omaggiarlo.

Momento della lectio magistralis di Severino a Sassuolo, Festival della Filosofia, settembre 2018

-> In lutto anche il Festival della Filosofia di Modena, Carpi e Sassuolo
Il Festival della Filosofia (dopo Remo Bodei, scomparso nel novembre scorso, e Tullio Gregory, morto in marzo – ndr), piange un altro dei suoi grandi protagonisti (alla sua ultima lectio magistralis, edizione 2018, in piazza a Sassuolo, c’eravamo anche noi; il 14 settembre scorso, invece, era in programma una sua lezione a Modena, poi saltata – nrd). Il Consorzio per il Festival della Filosofia di Modena, Carpi e Sassuolo partecipa «con cordoglio alla scomparsa di Emanuele Severino, maestro del pensiero e tante volte ospite della nostra manifestazione». Severino è stato «un pensatore di livello europeo e grande protagonista dell’eredità classica della filosofia. Con la sua dottrina dell’Essere ha presentato anche al pubblico del festival l’esercizio del pensiero nella sua forma più pura», ha detto Daniele Francesconi, direttore del Festival.

Severino con il premier Conte, in vista al filosofo nella sua casa di Brescia nell’aprile scorso

“La notizia della morte del filosofo Emanuele Severino mi rattrista profondamente. Scompare un grande pensatore, di caratura internazionale, che ha saputo esprimere una forte originalità di pensiero. I suoi scritti testimoniano una cultura e una versatilità eccezionali: tessono le trame di un profondo dialogo della filosofia con l’arte, la scienza, il diritto, la politica, la musica, la poesia”. Lo scrive il premier Giuseppe Conte su Facebook. “Alcuni mesi or sono ebbi l’onore di fargli visita, a casa sua, a Brescia – scrive ancora il presidente del Consiglio postando un video dell’incontro – Serbo ancora vivo il ricordo di questo incontro e della sua generosa disponibilità, da cui nacque la conversazione che di seguito vi ripropongo, onorandone la memoria”.

Articolo del Corriere della Sera, 11 maggio 2019

-> La pagina Facebook dedicata a Emanuele Severino dai suoi allievi e ammiratori (clicca)

-> Speciale di Rai Cultura dell’estate scorsa dal titolo “Heidegger nel pensiero di Severino” (clicca)

-> Denunciò l’alienazione prodotta in Occidente dal nichilismo moderno
Vedeva in moto un meccanismo incontrollabile che riduce l’uomo a oggetto. Il ricordo della Di Cesare sul Corriere della Sera online di oggi.

È stato certamente uno dei volti più autorevoli della filosofia italiana negli ultimi decenni. Emanuele Severino era un nome noto anche a quanti non sono soliti seguire le dispute filosofiche. Chi non ha avuto modo di sentire un suo intervento alla televisione, alla radio, e infine anche sul web? Senza dimenticare le sue conferenze sia nei tradizionali luoghi accademici, sia nelle piazze — come al Festivalfilosofia, dove anche nelle edizioni più recenti accorrevano giovani e meno giovani, colleghi, insegnanti, studenti da tutte le parti d’Italia per ascoltare le sue parole.

Severino aveva la capacità, purtroppo sempre più rara, di mantenere registri diversi. Sapeva usare con sapienza e rigore la terminologia filosofica nei saggi dedicati alla metafisica classica; ma interveniva anche sulle questioni urgenti dell’attualità politica e culturale, come ha dato prova tante volte su queste colonne. Soprattutto riusciva a far comprendere, con un linguaggio piano e accessibile, i grandi temi della filosofia, da quella greca a quella contemporanea, rivolgendosi anche al pubblico dei non-filosofi. Era un modo per coinvolgere tutti, era un appello alla lettura e al confronto, era un modo per testimoniare la necessità della filosofia nella complessa realtà di oggi.

Prima opera del filosofo, anno 1958, poi aggiornata: famosa e discussa forse quanto il saggio “Ritornare a Parmenide” (1964)

Il che non gli ha impedito di esprimere, anche negli ultimi tempi, tutti i suoi dubbi e le sue perplessità su una politica non più in grado di fronteggiare le grandi sfide, una politica sempre più ridotta alle sue funzioni amministrative, subalterna all’economia, a sua volta lanciata in una competizione epocale con la tecnica. Chi avrà la meglio? Il capitalismo seguiterà a sfruttare le potenzialità offerte dalla tecnica o finirà piuttosto per soccombere? Il progettista scoprirà allora di essere progettato. Che ne sarà del mondo finito nelle mani della tecnica, un meccanismo incontrollabile, un ingranaggio autonomo? Il XXI secolo non lascia ben sperare.

È stata la «tecnica» la parola chiave di Severino, il filo conduttore di un lungo e articolato cammino attestato in decine e decine di volumi. Indubbia è l’eco di Heidegger, il filosofo tedesco che, interlocutore tacito o esplicito, ha accompagnato sin dagli anni Cinquanta la sua riflessione, senza mai comprometterne l’originalità. In opere come Essenza del nichilismo (1972), Gli abitatori del tempo (1978), Tautótes (1995), La potenza dell’errare (2013), Severino spiega l’oblio dell’eternità, la triste condanna dell’Occidente che — malgrado il monito di Parmenide: solo l’essere è — si è consegnato al divenire, al tempo e al suo dominio, che inghiotte tutto come in una vertigine. Nulla resta. Questo nichilismo accelerato ed esacerbato ha investito interamente la civiltà occidentale — etica e religione comprese. E là dove tutto si fabbrica e tutto continuamente si distrugge, là dove tutto è nulla, la tecnica si è già installata. Assurdo pensare che sia lo strumento neutrale che un’umanità emancipata impiega a proprio vantaggio. Il soggetto moderno, che crede di disporne liberamente, dovrà prima o poi accorgersi di essere l’oggetto di una produzione illimitata, un fondo di riserva, un vuoto a perdere, in un mondo che è divenuto una fabbrica. Questa è l’alienazione più profonda che sia mai stata esperita, il male più radicale e tenace.

In questo «inverno della ragione» la filosofia ha abdicato al suo ruolo decisivo, assumendo un atteggiamento troppo difensivo nei confronti sia della scienza sia della religione. Severino si discostava da altri esponenti del nichilismo italiano — da Luigi Pareyson a Gianni Vattimo, per menzionarne solo alcuni — proprio perché rivendicava il carattere incontrovertibile del discorso filosofico.

La sua diagnosi severa, più volte bersaglio di critiche, a volte pretestuose, altre volte profonde e circonstanziate, non lascia spazio al pensiero di una salvezza, neppure quella di un «ultimo Dio», come per Heidegger. Se prima era Dio a creare e distruggere, adesso è la tecnica che si arroga questa prerogativa divina.

Nella sua infaticabile attività Severino ha formato moltissimi validi allievi, intere generazioni, lasciando una forte impronta. Dopo la scomparsa di Remo Bodei, e quella di Tullio Gregory, sembra quasi concludersi e chiudersi, con la sua perdita, una stagione della filosofia nel nostro Paese. Sarà una stagione su cui bisognerà riflettere, per trarre un bilancio, ma che senz’altro, per molti aspetti, non si potrà non rimpiangere.

-> Un’intervista di D’Alessandro pubblicata sul “Foglio” online il 9 aprile 2019

Professore, il 26 febbraio scorso ha compiuto novant’anni. È stato un modo per guardare più indietro o avanti?

Niente di particolare. Quasi ogni giorno il mio lavoro è guardare anche queste cose: guardare il tempo.

Quando scriveva di “eterno” e di “essere”, sua moglie Esterina le diceva: “Come vorrei che tutte le cose che pensi fossero vere”. Sono vere?

Sono vere. Ma a dirlo così le si immiserisce. E il dire è patetico. Bisognerebbe innanzitutto chiarire che cosa significa “vero”. Ed è il chiarimento più complesso.

Testimoniando il destino, il suo ultimo libro, è soprattutto la testimonianza di un lungo percorso di studio, della forza di un pensiero improntato a smascherare la follia. A che punto è la follia dell’Occidente?

La Follia sta andando verso il suo punto più alto. Per arrivarvi ha ancora molto cammino da fare, ma è in cammino. D’altra parte il suo mostrarsi, nonostante tutto, è prezioso. Senza di essa, infatti, lo stare al di sopra di essa è impossibile. La Follia non è una povera cosa: è piena di intelligenza, di bellezza, di luce, e di potenza. Ed è qualcosa di essenzialmente più radicale del peccato di Adamo. Ma anche questa mia risposta è, inevitabilmente, un balbettare. Quanto allo smascheramento della Follia, di cui lei parla, esso è qualcosa che ha incominciato a parlare, nei miei scritti, quasi sin dall’inizio. Potrei dire sin dalla metà degli anni cinquanta. Qui, certo, i miei novant’anni, mi fanno guardare soprattutto all’indietro, suscitando sentimenti contrastanti.

Che cos’è la filosofia? Sono più i problemi che risolve o quelli che solleva?

Da che vive, l’uomo lotta contro la morte. Il primo grande Rimedio contro di essa è il mito, ossia il Racconto che garantisce la vittoria sulla morte. Ma a un certo punto l’uomo si accorge della debolezza di quella garanzia. Il mito è la semplice volontà che le cose stiano come esso vuole che stiano. La parola “filosofia” significa invece l’aver a cuore (phileín) ciò che sta in luce (saphés) e che quindi è affermato non perché è voluto, ma perché si impone da sé. La grandezza della filosofia sta cioè nell’aver evocato l’idea di un sapere assolutamente innegabile, che né uomini o dèi possano smentire, né cambiamenti di luoghi e di epoche, e nemmeno un Dio onnipotente. Poi la filosofia ha inteso stabilire, lungo un processo durato più di due millenni, in che consista il contenuto di questo sapere, ed è questo processo ad aver condotto, e inevitabilmente, alla destinazione della tecnica al dominio assoluto del mondo, ossia al culmine della Follia a cui abbiamo prima accennato. Ciò significa che sin dall’inizio la filosofia è rimasta accecata e che la destinazione della tecnica al dominio è il risultato di questo accecamento. La storia dell’Occidente e ormai del Pianeta (che è storia dei pensieri e delle opere) cresce all’interno dell’accecamento della filosofia. Ma, ripetiamo, senza questo accecamento sarebbe impossibile la limpida vista che guarda stando al di sopra di ogni cecità. (Non solo, ma al nostro tempo si addice anche che il lettore di questa intervista  – il lettore che di queste cose ha sentito poco – faccia presto a voltar pagina). L’accecamento della filosofia – che pure è pieno di intelligenza, di bellezza, di luce, e di potenza – non sta nelle nuvole ma è ormai la terra in cui ormai l’umanità intera affonda le proprie radici.

Cesare Pavese ha scritto che “un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via”. Lei, pur avendo insegnato a Milano e a Venezia, non ha mai lasciato Brescia. Abita ancora nella casa dove arrivò, se non erro, che aveva soltanto quattro mesi. Che cosa vuol dire?

Forse vuol dire che, proprio perché in questa casa son quasi nato, ed è cresciuta con me, mi è sembrato innaturale staccarmene.

Chi è Martin Heidegger?

Martin Heidegger è un grande pensatore, il cui accecamento non ha però avuto la radicalità che esso ha in Nietzsche, Gentile, e innanzitutto in Leopardi. Ma lo dico non nel senso che egli riesca più di loro a guardare verso la Non-Follia, ma nel senso che meno di loro è coerente con le premesse (ossia con l’accecamento iniziale) che lui e loro hanno in comune. Fuori luogo, comunque, voler ridurre il pensiero di Heidegger ai rapporti col nazionalsocialismo e con la questione ebraica.

Che cosa può e/o che cosa deve l’uomo di fronte alla tecnica?

Gli uomini di potere (politico, economico, religioso, ecc.) continuano a dire al resto dell’umanità che cosa deve fare. È stato sempre così. Fin dall’inizio la filosofia sostiene che “fare” significa far essere le cose che ancora non sono e far non essere quelle che sono. Il che presuppone  che le cose siano di per sé disponibili a passare dal non essere all’essere e viceversa. Che cosa c’è di più “evidente” di tutto questo? Non stiamo perdendo tempo a parlarne? (Ma – la domanda è retorica – l’accecamento di cui prima ho parlato non sarà proprio questa che tutti considerano un’ovvia “evidenza”?). La Non-Follia non dice che cosa si deve fare, ma che cosa gli uomini sono destinati a volere. E l’uomo del nostro tempo è destinato ad abbandonare sempre più i valori e i costumi della tradizione e a presentarsi sempre più come un funzionario della tecnica. Ma può diventarlo solo se, insieme, diventa funzionario del pensiero filosofico che negli ultimi due secoli ha mostrato l’impossibilità di ogni Realtà immutabile che regoli, domini, produca la realtà diveniente, dove le cose oscillano appunto tra l’essere e il non essere. In seguito è destinato a venire il tempo in cui all’uomo si apriranno gli occhi e vedrà la Follia del mondo in cui vive. Non potrà smettere di voler trasformare le cose, ma vedrà l’alienazione di questa volontà, e vedendola egli sarà già un diverso modo di esser uomo.

C’è una responsabilità che imputa alla Chiesa cattolica?

Anche la Chiesa cattolica, anche il cristianesimo, l’ebraismo, l’islamismo appartengono alla storia dell’Occidente. “Responsabile” non significa esser qualcosa che si sarebbe potuto non essere, ma esser destinati a essere ciò che si è.

L’uomo, dice lei, è un re che si crede mendicante. Non ritiene che il politico sia un mendicante che si crede re? Che cosa vede nel tramonto della politica?

Ma la regalità che il politico e in generale l’uomo potente credono di avere non è la regalità autentica che compete all’uomo in quanto eternamente sovrastante la Follia.

Il suo libro più importante è La struttura originaria. È anche quello a cui tiene di più?

Il mio libro è l’insieme dei miei libri.

Quale sarà il prossimo?

È un periodo di riflessione. Sto prendendo appunti sui pensieri che si affacciano.

Lei ha dato la vita alla filosofia o il contrario? (Glielo chiedo perché molti giornalisti dicono di aver dato la vita al giornalismo, invece è il giornalismo ad averne data una loro…). 

“Dar vita” significa far essere qualcosa. Se ci ricordiamo di quel che ho detto sull’accecamento del far essere, allora la limpida vista mostra che la filosofia non ha dato vita a me e tanto meno io a lei.

Qual è il filosofo dal quale non può prescindere la filosofia?

Hegel diceva che la filosofia è un organismo. E da un organismo si potrebbe prescindere dal cuore, dai polmoni, dalle gambe, dalle braccia? (Questo, anche se  Hegel nella filosofia non poteva vedere altro che ciò che nello sguardo della Non-Follia si mostra come la Follia).

C’è un filosofo vivente che legge con maggiore attenzione?

Leggerei con maggiore attenzione quelli che con maggior coerenza e radicalità camminassero al seguito della Follia – i seguaci del grande Errare (che essi intenderebbero non come l’Errare ma come l’unica verità possibile). Ma tra i viventi ne vedo assai pochi.

Qual è il collegamento, se c’è, tra musica e filosofia?

In una delle mie prime risposte ho accennato al rapporto tra il mito e la filosofia. Nel tempo del mito la festa è il luogo in cui, del mito, viene celebrata la potenza salvifica. La celebrazione si manifesta nel grido, nella voce  dei celebranti; ed è la musica delle origini. Gridano l’esultanza per il loro esser riusciti a vivere e diventare padroni della loro vita: hanno vinto le potenze demonico-divine che lo impedivano, ma insieme tentano di placarle per l’ingiustizia commessa nei loro confronti. Nel più antico testo filosofico che conosciamo – il frammento di Anassimandro – si dice appunto che le cose e gli uomini, morendo, ritornano là, tra le potenze supreme dalle quali si son voluti separare, e  pagano così il fio per l’”ingiustizia” (adikía) compiuta staccandosi da esse. Espiano la colpa, ma salvandosi dalla morte annientante. La tradizione filosofica dell’Occidente si manterrà all’interno di questa visione. Poi, negli ultimi due secoli la filosofia mostrerà che non esiste alcuna potenza suprema al di sopra del divenire del mondo. Lo si dirà in vari modi anche in tutti gli altri campi del sapere. La musica lo dice con l’atonalismo, che è il rifiuto di considerare il “tonale” come la regola e quindi come la potenza suprema nel campo dei suoni.

Dove sta andando l’Europa?

Sta andando verso nuove e più ampie forme di aggregazione. Già trent’anni fa scrivevo che l’Europa è nata vecchia. La tecnica è destinata a scompaginare ogni forma di aggregazione – vecchia o nuova –  che non abbia come scopo lo scopo della tecnica, cioè l’incremento indefinito della potenza.

Ha detto che la democrazia è una fede. E la fede?

La fede è la contraddizione in cui si vuole che sia verità indiscutibile ciò che non lo è.

Aldo Masullo, a 96 anni, ha detto che vive con dispetto il dover andarsene senza aver capito chi è Aldo Masullo. Lei ha capito chi è Emanuele Severino?

Gli individui sono ciò che nell’uomo è il mendicante. Ci sono vari, infiniti modi di essere individui e mendicanti. È la morte a far capire a ognuno in che modo egli è mendicante.

Che cos’è la morte?

La morte, da un lato, è il riapparire di tutti gli eterni (ogni cosa è un eterno) che sono scomparsi, dall’altro lato è il comparire degli eterni che liberano da tutte le contraddizioni della Follia. Eterne anch’esse, peraltro, perché se si annientassero il “Non” della Non-Follia resterebbe senza ciò che esso nega e quindi non ne sarebbe più la negazione. La morte è l’apparire della Gioia.

Ha già disposto di voler morire in casa, da solo. Cremato. Perché?

La cremazione consente di far mettere le proprie ceneri all’interno della tomba che custodisce i resti di chi abbiamo amato. Ma c’è molta esagerazione nel culto  funerario. I cadaveri sono soltanto l’ultima forma che il corpo umano presenta. L’ultima di una serie infinita di forme eterne, spesso splendenti: da quelle che ci competono appena nati, un po’ cresciuti, ancora più cresciuti, ragazzi, adulti, anziani. Per ora queste forme sono scomparse e soltanto i cadaveri si fanno vedere; ma poi, come dicevo prima, anche queste forme sono destinate a riapparire – nella Gioia. Ma, mi lasci dire, se si intervista un fisico sulla teoria della relatività, egli non può mostrare, nell’intervista, i fondamenti di tale teoria. Che dunque si presenta come un dogma, o peggio. Qualche secolo prima Copernico e Galileo erano considerati dei pazzi dalla gente. A maggior ragione ciò accade quando l’intervista riguarda la filosofia. E ancora di più quando si è invitati a parlare di ciò che in noi sta eternamente al di sopra della Follia. Le risposte sembrano i sogni di un visionario.

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