Firenze – Forse il problema non è così semplice come potrebbe apparire e la semplice “premialità” per l’assegnazione di case popolari attribuita a chi risiede da almeno 10 anni sul territorio comunale non è poi azione così risolutiva. A dirlo sono, in coro, molti operatori del settore, qualche movimento politico e anche singoli esponenti. Il perché è, questo sì, semplice: intanto c’è già un meccanismo che tra i requisiti necessari alla partecipazione del bando, dispone la necessità di residenza continuativa almeno quinquennale ( e le opposizioni di destra si batterono per aumentarlo a dieci anni…), mentre nel bando 2016-2017, alla voce “Punteggi attribuiti direttamente dal servizio casa”, si trova una “premialità” vera e propria che riguarda la “Presenza continuativa in graduatoria. Il punteggio alla voce c-2 (“presenza continuativa del richiedente nella graduatoria comunale o intercomunale per l’assegnazione degli alloggi, ovvero presenza continuativa del richiedente nell’alloggio con utilizzo autorizzato”) verrà incrementato automaticamente dal Servizio Casa di 0,5 punti (fino al raggiungimento del massimale di 5 punti previsto per questa voce) per tutti i nuclei familiari già presenti nella Graduatoria Definitiva ERP 2016, pubblicata il 10 aprile 2017”.
Qualcosa di ancora troppo lontano, pensano in molti, dalla “premialità” che si vorrebbe legata ai dieci anni di residenza nel territorio comunale, nella convinzione che tramite questa operazione si eviterebbero i ghetti, come dice il sindaco Nardella che ha reso pubblica la sua posizione, o che si avvererebbe il principio “prima gli italiani” come dicono convinti dal centrodestra.
Eppure una piccola sorpresa c’è. Infatti, da una breve “inchiestina” di Stamp emergerebbe che fra i molti che sarebbero felici di questa “modifica” in tanti, molti più di quanto ci si aspettasse, sono proprio extracomunitari. Il motivo? “Siamo da molto tempo in Italia – dice Mohammed, moglie, tre figli ormai adolescenti, un lavoro saltuario – e da tempo abbiamo cercato accesso alle case popolari. Ma negli anni siamo stati superati da gente che è giunta dopo di noi”. Ecco, un motivo illuminante potrebbe essere proprio questo: l’immigrazione in Italia, a Firenze, non è roba dell’altro giorno. Ormai sono molti, gli extracomunitari che dopo dieci, dodici anni di permanenza in Italia non sono nè cittadini italiani, nè, essendo riusciti in qualche modo a sbarcare il lunario, sono entrati nelle case dell’Erp. Oppure, sono in attesa da molto tempo, e per ragioni di riserva degli sfratti (il 35% dei “posti” prevede la legge), o per ragioni di “provenienza dal sociale” (che tuttavia, precisano gli addetti ai lavori, ha una riserva del 2%, tale quindi da non potere essere considerata dirimente rispetto al problema), non sono riusciti a ottenere l’alloggio: sono in “eterna” fila. E per loro, la premialità dei dieci anni, “sia benvenuta”, come conclude Mohammed.
Del resto, ciò che assolutamente non va è proprio ciò che accade anche negli altri paesi di immigrazione più “matura”, vedi la Francia. Il problema è infatti esploso quando ci si è resi conto, per la prima volta anche a Firenze, che le assegnazioni agli stranieri rischiavano di dare vita ai “ghetti”, magari con l’aggravante di far convivere spalla a spalla etnie e provenienze assolutamente inconciliabili. Un problema di sicuro, ma che deriva in buona sostanza, come rilevano dal Sunia, anche da scelte fatte dalla stessa amministrazione che ora si lamenta. “Dal momento che – concludono – le assegnazioni sono fatte dagli uffici comunali, sarebbe auspicabile che si evitasse di mettere blocchi di famiglie magari tutte della stessa provenienza in un solo rione”. Mentre per l’altro problema, quello dell’incompatibilità delle etnie, sarebbe necessario intervenire tutto l’armamentario di Statuti, regole, nuovi “codici etici” e tanta “educazione civica”, necessaria anche per imparare sistemi di valori spesso diversi dai Paesi d’origine. In una parola, l’Abc dell’integrazione.
Non solo. Dai sindacati giunge anche una puntualizzazione che guarda in un senso molto preciso. “Se emergono, nelle ultime graduatorie, presenze del 50% di extracomunitari e di 50% di italiani, le responsabilità sono da ricercarsi in una legge regionale che non è più in grado di fotografare la realtà”, ricorda Laura Grandi del Sunia. Insomma, non è questione di provenienza, il problema è piuttosto che la legge non riuscirebbe più a dare risposte al cambiamento sociale in pieno sviluppo, non riuscendo a intercettare tutte le reali fasce di bisogno. Il silenzio in cui vengono relegati i “lavoratori poveri”, ne è l’esempio più clamoroso. “Working poors” che non sono la “fascia grigia”, come spiegano dall’Usb, “perché ormai è proprio nera: buio assoluto”. E il dibattito che è cresciuto in questi ultimi giorni circa le richieste di modifica che piovono da tutte le parti sulla proposta di legge “Ceccarelli”, confermano che resta quello lo strumento cardine delle politiche abitative territoriali.
Senza dimenticare però che ci sono altri risvolti, meno scontati. Ad esempio, come comunicano gli operatori comunali, il fatto che ormai, proprio per il dato dell’immigrazione di vecchia data, “ci sono tanti Mohammed o Mamhud che sono cittadini italiani”, e poi i casi in cui si assiste alla rinuncia da parte delle famiglie italiane all’assegnazione. Caso raro? Insomma, se ne segnalerebbero almeno tre negli ultimi tempi. Ma questo apre un altro capitolo, come dichiarano operatori di varie provenienze: “Bisogna anche porsi il problema di cosa si consegna e in che condizioni”.
Infine, dichiara Asia-Usb, “non si capisce come fa il sindaco di una città che continua a diminuire il proprio patrimonio residenziale pubblico anche con l’eliminazione via via progressiva di residenze popolari in centro storico, a proporre una misura così poliziesca e discriminante. Forse bisognerebbe prima rendere il centro storico ai residenti, stoppando la speculazione edilizia in corso e magari acquisendo nuove case al patrimonio edilizio pubblico. Insomma il contrario di ciò che questa amministrazione sta facendo. Altro che dieci anni di residenza”.