Firenze – Otto persone in 54 metri quadri. Cinque sono minori. Questa è la storia della famiglia di Mohammed e Amina, di poco oltre i quarant’anni, e di una integrazione riuscita, ma anche delle difficoltà che stanno rendendo la vita di una famiglia numerosa e molto unita, una vita in salita. Non è questione di soldi, o di malattie o di eventi spiacevoli. Il vero problema sono quei 54 metri quadrati in cui sono costretti ad abitare.
La storia comincia molto tempo fa, quando ad Amina, con due bambini, viene assegnata una casa popolare. Presto li raggiunge Mohammed e insieme trovano lavoro: operaio agricolo lui, lei collaboratrice domestica. Una coppia senza grilli per la testa che lavora duro e riesce a condurre una vita serena. Arrivano altri figli, uno dopo l’altro. La piccola casa, pulita e ordinata, è un buon posto dove vivere.
Naturalmente non sono tutte rose e fiori. Ad esempio, la muffa si fa viva frequentemente, fiorendo sulle pareti bianche delle camere, ma Mohammed non si scoraggia, pulisce e ridipinge. I bambini nel frattempo crescono e non sono più bambini, la primogenita ha 18 anni, non può più dormire con i fratelli, e le viene assegnata una piccolissima camera in cui entra a malapena un piccolo letto, una scrivania con il computer e un armadio a contrasto con la porta. L’adolescente studia, è brava, frequenta il liceo. Per studiare si rifugia in quel piccolo locale, ma intanto i fratellini fanno rumore, giocano, la distraggono. Ora c’è anche una sorellina di quasi due anni.
Gli altri, compreso il fratello quindicenne, devono dormire in camera con babbo e mamma, nei letti a castello. Sono tanti, tutti insieme, l’adolescente è anche uno sportivo, manca lo spazio per studiare. Due camere di cui una piccolissima, sono un po’ poche per sei figli e genitori.. Poi, c’è un vano che funge da cucina e salotto. Tutto molto, troppo piccolo.
“Abbiamo già fatto due volte richiesta di cambiare appartamento all’ufficio mobilità – spiegano Amina e Mohammed – le prime due volte non abbiamo ricevuto risposta. All’ultimo tentativo, ci è stato detto che avevamo fatto dei pagamenti in ritardo”. Ritardi, certo. Ritardi che non si sono mai trasformati in morosità di lunga data, in quanto, come spiega il capofamiglia, “facendo l’operaio agricolo, in certi mesi dell’anno il lavoro è meno frequente. Se piove, non posso uscire nel campo. E se non lavoro, fatico un po’ di più a trovare i soldi per affitto, bollette, condominio, ecc”. Insomma, piccoli ritardi strutturali che non hanno impedito alla famiglia di essere comunque sempre “in pari”, come tengono, con orgoglio, a sottolineare. Ritardi che sono purtroppo normali in molte famiglie di lavoratori.
Dunque, se non ci sono morosità, se ambedue i genitori lavorano, se non ci sono problemi con permessi di soggiorno o altro, cosa impedisce che la richiesta di mobilità venga accettata? Forse qualcosa nel meccanismo della mobilità si è inceppato?
Dall’assessorato alla casa fanno sapere che le richieste di mobilità sono tante e riguardano varie esigenze da parte delle famiglie. “C’è un grande impegno degli uffici – dicono dall’assessorato – nel venire incontro ai tanti e diversi bisogni delle persone. Nel caso specifico è evidente che il bisogno esiste e che necessita una risposta, e l’impegno ci sarà, anche se i tempi dipenderanno dalle tante richieste che vengono avanzate”.
Motivazioni senz’altro intuibili, anche se i punti che emergono sono due. Da un lato, come ammette lo stesso assessorato alla casa, c’è “un tema legato al reperimento alloggi, problema ben chiaro all’amministrazione, tanto che “abbiamo messo in campo investimenti straordinari con 20 milioni in più nel bilancio del piano triennale investimenti, destinati al recupero e alla ristrutturazione degli immobili del patrimonio Erp”; dall’altro, c’è una vecchia questione che emerge ancora e ancora non è stata risolta, come segnalano i sindacati di base, che riguarda il computo degli spazi per le famiglie. “Il vero problema – spiegano i sindacati – è che la Regione Toscana è l’unica regione in Italia che, a partire dalla legge sull’edilizia popolare pubblica 41/2015, ha cancellato ogni riferimento alla grandezza dell’alloggio riferita alla composizione del nucleo famigliare. L’unico parametro indicato dall’attuale legge 2/2019, che ha seguito la l.41, è quello di non avverare ipotesi di sovraffollamento o sottoutilizzo dell’immobile”. Criterio che, detto così, sembrerebbe di buonsenso. Ma la realtà è un’altra. Se l’assegnazione avviene scollegando la composizione dal nucleo dai metri quadri, ovvero dagli standard di abitabilità che pure il decreto ministeriale della sanità 5 luglio 1975 ha fissato (indicando all’art. 2 il limite minimo dello spazio a 14 metri quadri per persona per le prime 4 persone, 10 metri quadri sempre cadauno per gli eventuali altri componenti) , le situazioni di sovraffollamento nel corso degli anni sono quasi fatali. Esattamente come è successo nel caso della famiglia di Mohammed e Amina. In altre parole, dicono i sindacati, se si leva ogni riferimento agli standard fissati dal decreto succitato, e si considera solo il limite delle due persone a vano (vano utile) , è chiaro che abbiamo innestato un problema. Tanto più che in questo concetto del vano utile (criterio delle due persone) entrano nel computo anche locali come la cucina. Non solo. “Lo snodo della mobilità è zoppicante anche per altri versi – continuano dai sindacati di base – perché si rischia, una volta che si compia la mobilità e si trovi un alloggio adeguato alle richieste, che l’alloggio lasciato entri nel novero di quelli chiusi in attesa dei lavori necessari a renderlo di nuovo riassegnabile”. Insomma, per motivi di risorse, tempo, lungaggini burocratiche, si rischia che, se non si utilizza uno scambio fra nuclei, l’appartamento lasciato si trasformi in uno dei famosi appartamenti delle “porte rosse”; ovvero, di quelli con tanto di porta blindata che se ne stanno vuoti e silenziosi ad aspettare il ripristino e la riassegnabilità. I sindacati di base lanciano dunque un appello all’assessora regionale alla casa Serena Spinelli: “Visto che da tempo si sta parlando di introdurre delle modifiche alla legge 2 sulla casa, chiediamo all’assessore di ripristinare nei criteri di assegnazione ai nuclei, il vecchio sistema della legge del ’96, che agganciava la determinazione dell’ampiezza dell’alloggio da assegnare alla numerosità del nucleo in relazione ai metri quadri come da decreto ministeriale del ’75”.
Tirando le fila, il problema di cui alla famiglia di Mohammed e Amina è senz’altro un caso di sovraffollamento. Il punto è: perché la domanda non è stata ancora accolta?