Firenze – La notizia non è nuova, lo stesso assessore regionale Vincenzo Ceccarelli l’ha dichiarato: anche se venissero a mancare quei cento milioni che erano stati annunciati già “quasi” ottenuti con prestito Bei (mutuo assunto da Casa spa, garante la Regione), gli impegni presi dalla Regione stessa circa gli interventi per l’edilizia popolare verranno esauriti. Insomma i soldi, percorrendo altre strade, salteranno fuori e le promesse, mantenute. Se è questo l’assunto, tuttavia da prendere in considerazione è un dato che, soprattutto a fronte dell’emergenza continua in cui sprofonda la richiesta abitativa “popolare”, appare sconcertante. Il dato è: i soldi ci sarebbero, anche senza fare troppi salti mortali, dal momento che dal famoso passaggio delle rimanenze dei fondi Gescal (statali, passati alle Regioni nel 2001) che per anni hanno consentito di costruire abitazioni popolari, alla Regione Toscana rimangono, a occhio e croce, svariati milioni. Pochi o tanti che siano, la domanda è: perché non spenderli?
Domanda oziosa, ovviamente, perché a ostare all’impiego di quei fondi nati proprio per alimentare l’edilizia popolare, sono gli obblighi di spesa, il famoso patto di stabilità. Così, proprio in uno dei settori più preoccupanti, quello in cui si sta assistendo sempre di più all’accorciarsi della miccia della bomba sociale, non è possibile, se non con alchimie ed escamotage, utilizzare soldi che ci sono.
Partendo dal dati di fatto, dunque, è necessario che la Regione si dia da fare per reperire almeno i fondi che servono per corrispondere almeno agli impegni presi. Così, ad esempio, si cercherà di “recuperare” le “rimanenze” fisiologiche che qua e là emergono naturalmente circa gli investimenti previsti. Escamotages e “percorsi alternativi” con cui la Regione riesce a recuperare i fondi necessari, una volta che si appuri che il prestito europeo sia definitivamente saltato, per far fronte agli impegni presi senza impattare sul patto di stabilità, considerando che gli interventi già “autorizzati” a suo tempo, per i quali si cercano le risorse, erano coperti in quanto “a giacenza” . Sebbene la faccenda sia molto più complessa e molto più tecnica di quanto abbiamo illustrato, sembra che sia piuttosto pacifico che si riesca, facendo anche una scala delle priorità degli interventi, a “coprire” il settore. Si può anche ipotizzare che per i primi 6-7 anni si possa tirare il respiro. E dopo?
E qui, direbbe qualcuno, casca l’asino. Infatti, per il “dopo”, quali risorse verranno messe a disposizione per l’Erp? Si procederà nuovamente con escamotages e vie alternative per tentare di difendersi dai vincoli di spesa? Si ripartirà con una nuova fase emergenziale? Si resterà in stallo per almeno due anni, dovendo ricominciare da capo con la trafila?
In realtà, è proprio questa la domanda da mille dollari. Infatti, il problema si può condensare in tre parole: assenza di fondi dedicati. Raschiato il fondo del barile (pur ricordando la rimanenza dei fondi Gescal di cui si parlava qualche riga sopra), le casse per l’Erp restano desolatamente vuote. E prevedere il futuro, con queste prospettive, è molto difficile. Senza “lalleri” non si “lallera”, come dice un vecchio proverbio toscano, sempre valido, in particolare in questo settore. Del resto, l’ultimo che ebbe il coraggio di parlare a viso aperto della necessità di pensare a un prelievo fisso per il settore, fu l’assessore regionale Salvatore Allocca. Circa sei mesi prima di essere invitato a fare le valigie.