Firenze – Nel 1974 Ernesto Balducci, parlando a Firenze presso la Comunità dell’Isolotto, affrontò il tema del referendum sul divorzio, approvato dalla legge 898, presentata da Fortuna-Baslini nel 1970. In particolare Balducci riteneva che fosse necessario sfruttare l’occasione del referendum per la cancellazione di detta legge, indetto per la metà del mese dell’ aprile successivo, per affrontare in modo critico “questo come altri problemi in cui rimane inceppata, per mancanza di consapevolezza, la nostra crescita sociale”.
Ne riporto ampi stralci perché serva da riflessione anche in questo momento nel quale il Parlamento sta affrontando l’esame della legge Cirinnà sulle Unioni civili. La questione principale sulla quale riflettere è se esiste un modello cristiano di matrimonio o se esso è il frutto di quello che già nel 1974 Balducci definì l’ ideologia cattolica, come ideologia di copertura di obiettivi di conservazione sociale con i valori cosiddetti cristiani, che hanno ancora grandissima forza di suggestione delle coscienze.
Ecco in sintesi le argomentazioni che portano a dire che non è sostenibile che ci sia un modello cristiano di famiglia.
I primi cattolici non avevano un ordinamento giuridico proprio. Vivevano la famiglia secondo il costume del tempo: no matrimoni in chiesa, no tribunali ecclesiastici, etc. I cattolici si sposavano come tutti gli altri. Il padre di famiglia destinava alla figlia un dato marito, d’accordo con la famiglia dello sposo.
Dopo Costantino, con Giustiniano nella prima metà del 500, la Chiesa acquista una responsabilità di tipo sociale. Incomincia a formarsi un ordinamento matrimoniale cristiano e progressivamente momenti della vita sociale gestiti dal clero. Il processo continua fino a trovare il suo sigillo con il Concilio di Trento 1545-63.
L’interrogativo che emerge è se il matrimonio, cosiddetto cristiano, ha veramente ubbidito alle esigenze evangeliche o non piuttosto alle esigenze della società del tempo. La risposta è chiara: la cosiddetta famiglia cristiana, con tutti i connotati giuridici ritrovabili nel codice canonico, con tutti i connotati etici ritrovabili nel costume esemplare, è un prodotto storico e, come tale, relativo.
Quindi non si riesce a capire, proprio dal punto di vista dell’individuazione culturale, che significhi difendere in una società pluralistica, un modello cristiano di famiglia che certamente non è un modello proprio del cristiano.
Caratteristiche storiche della famiglia cristiana da considerare superate
L’unità della famiglia cristiana usufruiva di un dato economico, cioè l’unità patrimoniale. Il padre di famiglia era l’unica figura economica della famiglia, quindi il responsabile del patrimonio familiare. L’unità della famiglia, quindi, non era la conseguenza di una scelta dei coniugi, ma una conseguenza dell’indivisibile unità patrimoniale. Una buona donna cristiana se avesse avuto mille motivi per lasciare il marito, sarebbe stata rifiutata dalla società.
A reggere l’indissolubilità della famiglia, oltre a questa ragione economica, esisteva un ambiente monoculturale per cui, gli elementi culturali spingevano a ricercare la propria identità nella famiglia di appartenenza.
Una donna non aveva un suo mondo culturale. I figli non avevano un mondo culturale autonomo. Non c’erano spazi diversi per l’esperienza di vita. La famiglia rappresentava il luogo normale e continuativo della esperienza culturale. L’unità, quindi, si manteneva perché mancavano forze centrifughe, apertura di orizzonti diversi per i componenti della famiglia. Si pensi al legame, di fatto fatale, fra il lavoro del padre e del figlio.
La subordinazione della donna all’autorità maritale era una norma assoluta. La Chiesa forniva alla donna “angelo del focolare” un modello di subordinazione al marito le cui virtù sono tutte una garanzia per la “tirannide maschile”.
S. Paolo porta riflessi della “condizione sociale della donna” dei suoi tempi, quando dice che” la donna deve essere sottoposta al marito”. “Deve coprirsi il capo quando entra in assemblea perché il capo della donna è l’uomo”. Sono le norme di comportamento proprie della società ebraica
Noi però siamo consapevoli che essere fedeli alla parola di Dio non è fedeltà ai modelli sociologici del comportamento, legati ad una certa fase dello sviluppo storico. Allora la donna si definiva in rapporto alla sua biologia: ” vergine e madre”, mentre una donna non sposata era zitella, cioè fallita.
Ora lo sviluppo della società ha messo in crisi le componenti di struttura che allora sorreggevano un certo tipo di famiglia, detta o ritenuta cristiana. Nella realtà abbiamo una crisi “solo”della famiglia tradizionale rispetto alla quale, per il credente, resta d’interrogarsi di fronte al Vangelo. Occorre domandarsi in che senso il Vangelo si apre a questa esperienza particolare della vita, che è l’amore nella famiglia, nella linea della liberazione, cioè della crescita, secondo il disegno di Dio.
Ci sono dei punti fermi nel Vangelo, a cui fare riferimento per il recupero del significato evangelico che può avere la vita nell’amore, la vita familiare. Un’affermazione di fondo del Vangelo è che dinanzi a Cristo non c’è nessuna differenza, tra l’uomo e la donna, dinanzi a Cristo non c’è nè maschio nè femmina.
Le discriminazioni derivate dalla realtà sociologica che hanno riflesso nelle sacre scritture, devono essere subordinate all’autentica rivelazione in rapporto alla Resurrezione: in Gesù Cristo la disparità tra uomo e donna è abolita. La parola del Vangelo non si presta a diventare – guai se lo facessimo- un fondamento per nuovi ordinamenti giuridici. La parola del Vangelo è parola profetica cioè una parola che indica certe linee di crescita che sboccano in una totale liberazione cristiana.
In secondo luogo, secondo il Vangelo, la fedeltà non è il risultato di una legge esterna che costringe, ma è un’espressione dell’amore. Un’altra esigenza interna allo spirito evangelico è il rifiuto della strumentalizzazione, del rendere l’altro uno strumento di sé.
Espressioni bibliche quali: “la persona umana è fatta ad immagine di Dio, amate i vostri mariti come la Chiesa ama Cristo, amata le vostre mogli, come Cristo ama la Chiesa”, per un credente sono l’ invito a rifiutare di fare dell’altra persona uno strumento di sé. Questo rispetto della persona significa garanzia del rapporto veramente comunitario che vive per libero consenso e nel rispetto spontaneo della coscienza verso l’altro. I rapporti societari sono quelli che si stabiliscono sulla base di altri livelli e valori
La famiglia è una istituzione legata alle condizioni storiche
Non si può pensare – sosteneva Balducci – che la famiglia non interessi la società e debba rapportarsi solo alle esperienze spirituali. Ogni espressione dell’uomo – la famiglia in modo particolare – ha bisogno d’essere istituzionalizzata, in quanto s’innesta nei rapporti sociali generali. La istituzionalizzazione è un momento di serietà umana che traduce in norma esterna la responsabilità di fronte alla società intera. Il momento istituzionale poi è quello in cui l’esperienza della famiglia assume rapporti e responsabilità con l’insieme della realtà sociale. La società come tale ha bisogno di tutelare la famiglia, farsene in qualche modo garante, proteggerne e favorirne lo sviluppo. Questo momento,lo si ripete, è un momento del tutto legato alle condizioni storiche che varia in funzioni del mutare del tempo. Perciò oggi c’è bisogno di una nuova istituzionalizzazione della famiglia.
La famiglia è una creazione continua. Nella Bibbia c’è la poligamia, poi si acquista il concetto della famiglia monogamica che forse è un concetto irrinunciabile. Però non si deve dire che è la natura che l’ha voluto. Questo significherebbe attribuire alla natura astratta delle conquiste storiche, che invece sono relative. La famiglia dovrà cambiare ancora forma, dovrà cambiare struttura. Il concetto del diritto naturale, è funzionale alla società borghese. Qual è il criterio in funzione del quale la famiglia borghese deve cambiare struttura? E’ quel di più di libertà che l’uomo deve avere. Libertà non soggettivistica, identica al libero arbitrio, ma di una libertà in cui veramente l’esistenza dell’uno sia garanzia e condizione della libertà di tutti gli altri
Naturalmente – proseguiva Balducci – quando si fa una battaglia per un nuovo tipo di famiglia, si deve fare anche una battaglia per un nuovo tipo di società, perché, se i rapporti economici rimangono quelli che sono, poco vale modificare i rapporti giuridici. Al più avremo un aggiornamento neo-capitalistico della famiglia.
Noi , in quanto cristiani, – concludeva Balducci – non abbiamo nessun modello da difendere. Noi dobbiamo ricercare con gli altri un modello giuridico ed etico di famiglia, perché non abbiamo privilegi di nessuna sorta come credenti. Come credenti ci compete l’onere ed il privilegio, se volete, di essere fedeli alle ispirazioni evangeliche fondamentali; ma queste ispirazioni non sono da tradurre come modello etico-giuridico, poiché sono una spinta continuamente trasformante della realtà storica, disponibili a sempre nuove forme di ordinamento familiare.