di Stefano Miniati
Firenze – Parlare con lo scrittore Enzo Fileno Carabba è respirare aria pura, pulita. Lo incontro a casa sua, una casa stupenda e tranquilla nella campagna imprunetana, accolto da due “temibili” cani da guardia che, appena sceso dall’auto, sono corsi a leccarmi e a scortarmi fino alla porta di casa. Qui vive con Domitilla, sua moglie, e i quattro figli (anche se la maggiore attualmente studia in Lussemburgo).
Appartiene a una famiglia importante, di origini abruzzesi ma saldamente trapiantata a Firenze: suo nonno, omonimo, è autore di importanti testi di diritto penale; suo zio Manin Carabba è stato magistrato della Corte dei Conti ed è autore di numerosi saggi sull’economia; suo padre, Claudio Carabba, era un noto giornalista e critico cinematografico per il Corriere della Sera; il fratello Carlo Carabba, autore di due libri di poesie e un romanzo, è redattore di Nuovi Argomenti nonché direttore editoriale di Harper Collins Italia. Lui ha vinto il Premio Calvino 1990 con il romanzo Jakob Pesciolini. È autore di libretti d’opera, di sceneggiature radiofoniche e di racconti per ragazzi.
Enzo scrive storie di pura fantasia più o meno fino al 2012, quando con “Attila” inizia la sua conversione verso una letteratura dove l’immaginazione si fonde con la biografia, ed è ora che, con Ponte alle Grazie, esce l’ultimo suo romanzo, parzialmente ispirato alla vita di Giovanni Succi: “Il Digiunatore”
D- Come ti è venuta l’idea di scrivere del digiunatore?
R- Io avevo in mente l’inizio del famoso racconto di Kafka, pur essendo io stesso poco propenso al digiuno: “Negli ultimi decenni l’interesse per i digiunatori è molto diminuito”, e credevo che fosse una battuta, poi invece scopro che era vero, cioè che fra l’8 e il 900 c’è un grandissimo successo dei digiunatori, che addirittura vengono pagati. E mi colpì molto il fatto che questo racconto fosse uno dei pochi che Kafka volle che non fossero distrutti. Scopro che il mio amico Stefano De Martin aveva fatto una mostra su Giovanni Succi, che pur essendo di Cesenatico, era vissuto negli ultimi anni nelle colline qua vicino, dove era morto. Stefano voleva organizzare uno spettacolo su Succi, e mi passa tutto questo materiale, circa due anni fa. Mi si apre un universo immenso. La cosa più interessante era che questo digiunatore, al contrario di tutti gli altri, era un uomo robusto e sosteneva che le sue forze aumentavano durante il digiuno, almeno nei primi 20 giorni: l’opposto di quello di Kafka, tristissimo, macilento, destinato a una fine disgraziatissima.
D- Ma si dice che Kafka avesse conosciuto Succi, no?
R- Non è sicuro, ma di certo si sa che Kafka era molto interessato agli spettacoli circensi, ed era anche abbonato a una rivista del settore, quindi per forza sapeva dell’esistenza di Succi, in quanto era la star. Ma questo non è importante, perché il suo digiunatore era l’opposto del nostro, che è vitalissimo, gagliardo al massimo. Tanto gagliardo che addirittura al termine del digiuno, contrariamente a tutte le conoscenze mediche che consigliavano un brodino, banchettava.
D- Ma Succi era davvero conosciuto in tutto il mondo?
R- Assolutamente sì, ne parlano tutti, anche in America: ne parla Mark Twain per esempio. Però poi a un certo punto lui scompare, dopo una vita avventurosissima.
D- Dopo aver riscritto le Vite del Vasari avevi in mente di proseguire su questa strada, parzialmente nuova per te?
R- Dopo le Vite avevo scoperto che confrontarmi con una vita vera mi piaceva moltissimo. Nonostante abbia scritto sempre di pura fantasia, ora non capisco più perché uno possa fare questo. Kafka stesso diceva che le persone tendono a fare il periplo dei propri pensieri, quindi se uno fantastica molto, alla fine si ritrova allo stesso punto. Invece, se c’è un documento, si può comunque inventare, ma si deve fare i conti con i fatti reali.
D- Le mirabolanti imprese del Succi che tu riporti sono tutte documentate?
R- Sì ma ce n’erano anche di più, e tutte riportate sui giornali dell’epoca. Il fatto, per esempio, che lui potesse, dopo 20 giorni di digiuno, correre per 8 ore o salire sulla Tour Eiffel con un’armatura, è scritto è confermato.
D- Kafka non si è ispirato a lui quindi?
R- Succi, nonostante il fatto che le sue imprese si svolgessero in condizioni di vita minima, aveva un temperamento indomabile, una enorme fame di vita. Il digiunatore di Kafka è triste, sempre più triste, ma in una versione del racconto che poi Kafka ha cancellato arriva a un certo punto un cannibale, e nella versione finale dopo la morte del digiunatore arriva una pantera nella gabbia dove prima c’era stato lui. A me piace immaginare che così Kafka abbia scisso i due aspetti di Succi.
D- Si può pensare a Succi come a un paranoico?
R- Tutti quelli che lo hanno visitato, considerando anche che era stato più volte ricoverato in manicomio, lo hanno escluso. Lombroso definì Succi così: “Succi non è pazzo, forse lo è stato alcune volte in passato”.
D- Il libro è uscito a gennaio per Ponte alle Grazie, perché quella copertina?
R- Raffigura un giocoliere, e siccome c’è un legame molto forte fra il digiunatore e gli spettacoli circensi, lo trovo pertinente. Ma soprattutto trovo molto acuto il fatto che non ci sia una foto del digiunatore: questo ci dice che la storia raccontata, pur ispirata a un personaggio vero, è finzione.
D- Stai lavorando a un nuovo progetto?
R- Sto scrivendo una serie di vite di santi, che riprende un po’ il filone del Vasari. Fra l’altro il Succi ha degli aspetti di “pseudosantità”: Trevi addirittura in un suo commento al mio libro parla di Succi come di un santo laico del nostro tempo.
D- c’è un filo logico che connette la storia di Succi alle vite di santi che stai studiando
R- In Succi l’elemento religioso non emerge mai esplicitamente, a parte quando minaccia il mondo dicendo “Dio è dalla mia”, però sua sorella è fondatrice di un importante ordine religioso.
D- in conclusione, una domanda un po’ personale: conoscendo tuo padre, persona dalle qualità immense ma dotato anche di un carattere non facile, hai sentito il peso di una personalità così ingombrante?
R- Direi di no: mio padre era noto per la sua irascibilità e impulsività, ma con me, e anche con mio fratello, è sempre stato molto incoraggiante.
Su queste parole affettuose di Enzo ci salutiamo, e ricordo che il libro sarà presentato martedì 22 marzo al Museo Novecento con Marco Vichi, e il 20 aprile al Caffè Letterario delle Murate con Cristina Carratú. Sempre alle ore 18:00
Foto: Enzo Fileno Carabba