Enrico Valdiserra e il valore della storia locale

Le ricerche di storia locale sono preziose per far emergere l’identità e le radici di una comunità. Anche per questo contributo, oltre che per le sue doti umane e culturali, il ricordo di Enrico Valdiserra, a vent’anni dalla sua scomparsa è tuttora vivo in tutta la popolazione butese.

La sua competenza e la sua passione sono state molto importanti perché hanno portato ad un’ organica ricostruzione della storia di Buti nel corso dei secoli e sono state fondamentali per gli studi successivi. Ma ancor più significative perché, negli anni ’60 e ’70, un periodo meno attento di oggi alla storia locale e alle tradizioni, ha rilanciato questo interesse ed ha contribuito a tracciare la strada che vede impegnate le nuove generazioni in una fioritura di ricerche, saggi, sulla cultura butese.

Ho sempre apprezzato il suo metodo di ricerca che, muovendosi nella scarsità di documenti della storia locale, riusciva a trarre anche da informazioni apparentemente trascurabili, nuove chiavi di lettura ed elementi utili per una ricostruzione di eventi e di scenari. Enrico Valdiserra è stato uno storico innovativo per la puntuale verifica “sul campo” delle fonti storiografiche, e per l’attento studio del territorio.

Da ricordare,ad esempio, la ricostruzione della celebre battaglia combattuta nel XV secolo sui Monti Pisani, al Sasso della Dolorosa, tra fiorentini e pisani, nella quale ha messo a confronto le osservazioni sul territorio con quanto riportato dagli scritti dell’epoca, come i diari dell’ambasciatore veneto Marin Sanudo, o gli Annali pisani del Tronci e le Historie fiorentine di Machiavelli.

Ma caratteristica dello stile di Enrico Valdiserra, che si ritrova nel suo fondamentale libro “Memorie di Buti” è aver privilegiato una storia che non era solo di battaglie e di eventi bensì, come insegna la grande storiografia francese degli Annales, è soprattutto storia sociale.

Ricordiamo,ad esempio, i passi in cui parla della prosperità di Buti nel medioevo, quando, sotto la repubblica pisana era un centro molto attivo e popoloso. “Il prodotto principale” –osserva Valdiserra- era l’olio esportato in tutta la Toscana, vi era poi la lavorazione del castagno sia come prodotto alimentare sia per la lavorazione del suo legname per farne travi, mobili, ceste e corbelli.

In Memorie di Buti si osserva che tali produzioni avevano dato vita a frantoi e mulini lungo il corso del Rio Magno con una fitta rete di “gore” mentre i prodotti di una piccola industria estrattiva (cave di ardesia)e la mortella usata come tannino per la concia delle pelli, arrivavano a Pisa attraverso il lago di Bientina e il Serezza .

Quando questa prosperità ebbe fine con la conquista fiorentina, il territorio si spopolò e i terreni rimanevano incolti. Ma– osserva ancora Valdiserra- c’erano i pastori di “transumanza” che fin dalla preistoria avevano fatto spola tra l’Appennino Tosco-Emiliano ed il Monte Pisano. “Questa gente aveva conosciuto Buti nel suo splendore” – si sottolinea in Memorie di Buti – “ne aveva vissuto la storia ed ora ne raccontava le memorie ai propri conterranei ed ecco che già nel 1500 arrivano i primi immigrati, erano boscaioli del Frignano e della Garfagnana che a Buti si trasformavano in agricoltori,segantini, muratori”.

Attraverso i registri parrocchiali, Valdiserra individuò i loro paesi di origine che andavano da Frassinoro a Pavullo, Cutigliano, Fiumalbo,Pian dè Lagotti nel modenese,ai paesi della Garfagnana. E c’erano anche artigiani provenienti “dal Tirolo”e dal “Lago Maggiore”.

Tra l’altro, qualche mese fa,leggendo di un viaggiatore che nel 1630 essendosi recato da Rilunato(Mo)a Buti aveva poi parlato della peste, ho pensato proprio a questo rapporto con l’Appennino che si era stabilito per i motivi narrati in Memorie di Buti .

Questi, ovviamente,sono solo alcuni aspetti delle tematiche trattate negli scritti di Enrico Valdiserra che aiutano a far luce su determinate peculiarità delle nostre tradizioni e della nostra vita culturale, comprese alcune particolarità del dialetto butese.

Ed oggi, a venti anni di distanza, siamo ancor più in grado di valutare quanto egli abbia dato alla cultura locale considerando il nostro passato parte imprescindibile del nostro modo di essere.

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