Enrico IV alla Pergola: un nuovo sound pirandelliano

Firenze – Carlo Cecchi sfida Pirandello. Consapevole del rischio: “Tutte le volte che l’ho fatto si sono scatenate polemiche, ci sono abituato; lo considero il più grande autore italiano ma anche il più insopportabile”. Detto fatto. In tempi galoppanti di post verità e fake news, Cecchi si diverte a smontare il polveroso ma sempre accattivante  teorema di un teatro che si guarda dentro fino ad annullarsi e, per così dire, armi e bagagli da consumato, modernissimo guitto,  maestro di traiettorie eccentriche e non convenzionali,  gli cambia i connotati.

Affinate “lara” e “banderillas” coi Sei personaggi, ora prende Enrico IV per le corna e lo “mata” a dovere. Allegramente. Coerentemente. Scientificamente. Anche questi, del resto, come i più illustri e  vaccinati  colleghi in perenne cerca d’autore, quanto a verità, apparenza, finzione, illusione, smarrimento, verosimiglianza, trasparenza, menzogna, travestimenti e travisamenti che sfociano nella follia o nell’intercapedine della normalità, il giro è sempre quello, non si fa mancare niente.

Anzi. L’Enrico moltiplica l’ingranaggio nel paradosso di una messinscena che non è più nobile ricerca di una riabilitazione drammatica (vedi appunto i Sei personaggi) quanto, alla fine, spogliata di ogni sacralità, ingrata, prosaica, vile, modesta  quotidianità. Insomma metodo. Strategia di sopravvivenza.

Con Enrico,  l’Autore estremizza la portata del teatro nel teatro, esalta il gioco della maschera, deflagra il frastuono della pazzia come impalcatura del rapporto che passa tra personaggio e persona, tra interprete e ruolo, tra forma e vita, mentre sfuma e si sfarina il profilo dell’identità sullo sfondo della sempre più confusa e contraddittoria tragicommedia (diciamo pure farsa) che è la vita. Fuori o dentro il palcoscenico.

L’Enrico IV  imperatore di Germania caduto da cavallo, in pellegrinaggio a Canossa, di tutto punto smaccatamente vestito e incoronato, fino a domenica è di casa alla Pergola, protagonisti nei ruoli principali accanto a Carlo Cecchi, Angelica Ippolito, Gigio Morra, Roberto Trifirò (scene Sergio Tramonti, costumi Nanà Cecchi, luci Camilla Piccioni).

Nipotino di Amleto, ma di lui ancor più eccentrico, pericoloso estremista, l’Enrico pirandelliano scruta il mondo dall’interno del suo cono di luce, accecante immaginazione e fantasia, lo impagina il mondo (la realtà?) a suo piacimento e lo sfodera come allegoria della rappresentazione, ne apre e chiude i sipari, dialoga con i suoi fantasmi e passeggia (in)cosciente sul filo della messinscena.

Che, partita da una ridicola sfilata di carnevale, non può non essere comica, finta, sostanzialmente assurda. Una sceneggiata. Cecchi concentra tutto in un atto senza intervallo, 90 minuti da classica slapstick comedy hollywoodiana, taglia, accorcia,  smonta il piedistallo del Grande Attore Mattatore (Pirandello l’aveva  scritto per Ruggero Ruggeri), rimuove le cause della “malattia” del protagonista, aggiorna il linguaggio, depista,  patteggia, spiazza, incide, scalfisce, sbroglia l’ingarbugliata matassa dell’uno nessuno centomila, e con la consueta perizia, una leggerezza che solfeggia disincanto e decanta inerzia, si fionda nella credibilità di un teatro che “sa” di recitare e, ogni volta che finisce, di poter ripartire per una nuova replica.

Non c’è fallimento, non c’è simulazione, non ci sono vincitori o vinti su questo scacchiere dove si muovono, pedine altrettanto risolutive, Chiara Mancuso, Remo Stella, Federico Brugnone, Davide Giordano, Dario Iubatti, Matteo Lai.

Solo la consapevolezza di un teatro in grado di imitare se stesso e così facendo di restare allegramente in vita. Se il resto, da qualche altra parte, è silenzio qui diventa malizioso, carezzevole rumore di fondo. Come un nuovo sound pirandelliano. Info 055 0763333.

 

Foto: Enrico IV – Carlo Cecchi2  ph. Matteo Delbò

 

 

 

 

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