Energie verdi: sull’idrogeno (e sul nucleare) urgente una decisione politica

Parla Umberto Desideri, professore di macchine fluide all’Università di Pisa

Smettiamo di parlarsi addosso. Se vogliamo l’idrogeno come combustibile bisogna
decidere e investire alla svelta
, non c’è più tempo di fronte alla drammaticità del climate change e la decisione deve e può essere solo politica, la questione non può essere lasciata ai privati, gli investimenti necessari sono troppo onerosi e non prevedono quel ritorno a breve di cui ha bisogno l’industria.

È l’estrema sintesi del pensiero di Umberto Desideri, professore di macchine fluide all’Università di Pisa, che azzarda anche una riapertura verso il nucleare, giudicandolo alla fine potenzialmente meno dannoso delle catastrofi attuali e che il professore percepisce come ormai rientrato in partita nell’opinione pubblica .

Le tecnologie per l’idrogeno ci sono – spiega Desideri – Ma se non si decide cosa si vuole fare finiamo per non arrivare a niente come è già successo 20 anni fa quando, alla fine del secolo scorso, già se ne parlava e poi non si sono visti risultati. Ora, lo ripeto, le tecnologie ci sono, magari possiamo discutere se siano le migliori ma se non decidiamo ora e subito alle migliori non ci arriveremo mai”. E tocca alla politica: “Non la tiro in ballo a caso. Solo la politica può decidere , non può essere l’industria a farlo. Quando si deve cambiare radicalmente il mondo, perché di questo si tratta, la transizione non può essere sostenuta solo da chi, come le imprese, ha la necessità di un ritorno a breve termine”. Infatti pur se le tecnologie per ottenere idrogeno ci sono, ragiona il professore, sono assai più costose di quelle degli altri combustibili. “Dunque non se ne può approfittare se non si prendono decisioni politiche importanti a livello globale o perlomeno europeo, perché ci vogliono investimenti importanti nelle infrastrutture”.

Di quali infrastrutture sta parlando Desìderi? “Siccome l’idrogeno non esiste in natura dobbiamo produrlo, per produrlo ci vuole energia e, siccome adesso non ne abbiamo in eccesso, ce ne dobbiamo procurare una maggiore quantità per produrre un’altrettanta maggiore quantità di idrogeno. Sicuramente più di quante ne produciamo oggi, quando peraltro circa il 99% di quello a nostra disposizione non è verde, cioè tale da non lasciare orme di Co2 e collaborare alla decarbonizzazione, ma grigio, ossia prodotto tramite metano e carbone, dunque non privo di Co2”.

Bene. Visto che per emettere o non emettere Co2, la principale responsabile della
catastrofe climatica in atto, contano anche le fonti energetiche esistenti in natura da cui estrarre l’idrogeno, se ne deduce che per ottenerne maggiori quantità di idrogeno verde dobbiamo aumentare radicalmente le energie alternative da cui produrlo. “Ma chi paga per moltiplicare queste ultime? Ci deve essere un piano molto chiaro di sviluppo delle energie rinnovabili. Se vogliamo davvero incidere sulla decarbonizzazione dobbiamo rimpiazzare tutto il petrolio che oggi va interamente solo nei trasporti e nelle residenze, dove per riscaldarci e avere acqua calda usiamo caldaie a gas metano. Se la situazione resta ferma è inutile parlare come mi sembra voglia il governo di sostituire il petrolio nella mobilità con l’elettrico per cui per muovere auto e camion ci vorrebbe un terzo in più dell’energia che oggi produciamo.

Un’ utopia in questa paralisi della decisione. Come in Europa si sono inventati di smettere di produrre caldaie a metano per le abitazioni private dal 2027 e di non installarne più dal 2030 e sostituirle con altre a energia elettrica che, per come vanno le cose, scarseggerà , essendo anche quella assente in natura e dunque da ricavare da altre fonti” .

D’altra parte una cosa è l’idrogeno e altro l’elettrico che non convince il professore non solo per sottrazione, ovvero perché non ce n’è a sufficienza, ma anche per sostanza. “Ma va bene l’idea di sostituire tutto il combustibile per la mobilità con elettrico? – si domanda – Proprio no, mi sembra. Già le materie per costruire le batterie costituiscono un problema ma quello più grosso sta nella ricarica troppo lenta”. E non c’è facile rimedio: “Più riduco il tempo della ricarica e più devo fornire potenza e dunque devo costruire le infrastrutture adatte per trasportare l’energia: per fornirla lungo le strade non ci sono i cavi adatti , con la batteria di casa ci vogliono cento ore per ricaricare un camion. Si parla di nuovo di rete strutturale su cui fare grossi investimenti, dunque anche qui si tratta di infrastrutture e di fonti rinnovabili”.

L’Italia va forte rispetto a altri paesi per fonti energetiche rinnovabili con cui però si procura solo il 40% di energia elettrica ma il restante 60% viene da energie fossili. “Nell’ultimo caso è come se attaccarsi la macchina al gas o al carbone, è inutile – riflette il professore – Credo inoltre che il trasporto elettrico, visto il problema delle ricariche, possa funzionare solo per le brevi distanze, per tutto il resto ci vuole un combustibile che si ricarica in pochi minuti: ecco il vantaggio dell’idrogeno.

Dunque idrogeno – elettrico, uno a zero. Ma “l’idrogeno per la mobilità ha bisogno di venire prodotto in quantità , trasportato e dotato di una rete di distribuzione per l’utente finale, che si tratti di auto o camion”. Il che costa : “Ogni distributore in strada costa dai 4 ai 5 milioni, se li lasciamo all’iniziativa economica non succederà mai niente perché oggi non si prevede un ritorno a breve di fronte a un investimento molto oneroso perché non c’è domanda. Ma la domanda non ci sarà mai se non si prepara l’offerta. Compresa quella di auto e camion a idrogeno, questi ultimi più importanti perché hanno maggiori problemi di ricarica delle macchine e dunque di idrogeno più che di elettrico, anche perché stanno sempre su strada, non parcheggiati sulle strade”.

Anche se qualche privato si è messo avanti. Per esempio, Desideri ha invitato recentemente a un seminario all’università con i suoi studenti intitolato“Decarbonization in the transport sector”, Alexander Maier, titolare della ditta tedesca Maier & Korduletsch Group Passau. Il gruppo si occupa da anni di distribuzione di combustibili di tutti i tipi in Baviera e negli ultimi anni ha iniziato la costruzione di distributori di idrogeno per la mobilità pesante e leggera insieme a Shell. Oltre a avere una partnership con una società legata a Mercedes Trucks che sta sviluppando e testando veicoli pesanti alimentati da idrogeno e fuel cells.

In concreto, Maier ha costruito un multi distributore in Germania ai confini con l’Austria e ne sta progettando un altro. Il distributore in funzione vende di tutto, non solo idrogeno ma anche benzina, gasolio, elettricità a alta potenza per cui ha aggiunto nel suo impianto altri 2.500 kW di potenza elettrica che la rete nazionale gli ha concesso, essendoci in quella zona disponibilità, come non sempre succede in altre aree. “È quel tipo di investimento su cui credo che la politica debba decidere più che l’investitore privato – insiste Desideri – Salvo che ci siano, come in questo caso, fortunate combinazioni: di uno che ci crede, trae guadagni sicuri da benzina e gasolio, ha un business con Shell e con un’azienda locale di camion. Ma è un’eccezione, altrimenti il,privato non lo fa. Ma l’esperimento dimostra che le tecnologie ci sono” .

Per i rifornimenti il professore propone di iniziare con “aree di distribuzione a idrogeno ben delimitate per avviare il passaggio a questo combustibile del trasporto pesante i camion ma anche gli autobus. Si tratta in pratica di partire da zero. Ma, se non si decidono i tempi di una transizione non si avrà mai idea di come farla. Se si dice domani, si dice un fallimento. Stiamo trasformando un mondo che ci sono voluti duecento anni a creare, ci vuole tempo e dunque dobbiamo avere fretta di iniziare e non aspettare di essere splendidamente pronti”. Il fatto è che per chiudere la partita con quell’attuale percentuale del 60% di energie fossili che stiamo ancora usando e averne a disposizione di pulite per fare l’idrogeno in quantità utile “bisognerebbe ricoprire l’Italia di pannelli fotovoltaici quadruplicati e messi anche a terra perché i tetti non bastano e di 30 – 40 mila nuove pale eoliche. A parte gli investimenti, siamo disponibili?”.

Una bella domanda ma comunque bisogna iniziare, è convinto Desideri: “Ci vuole
una visione a lungo termine
ma i nostri politici guardano solo alle elezioni, mentre in
Cina i bus a idrogeno sono tanti. Ci servono una decisione e un piano immediati per
almeno 20 -30 anni futuri. I camion a idrogeno, d’altra parte, cominciano a esserci, a
Brescia tra due anni partirà il primo treno a idrogeno d’ Italia come ce ne sono vari in
Germania, la tecnologia è francese, della Alstom . Certo che non vanno a idrogeno
verde ma grigio, eppure da qualche parte bisogna iniziare per stimolare insieme
domanda e offerta. Se aspettiamo l’idrogeno, senza aver prima mosso nessuna carta,
aspetteremo invano”. Oltretutto qualche mezzo interessato all’idrogeno c’è già’ ma
non ci sono distributori. “Esistono – elenca Desideri – i camion a idrogeno, li fa
anche l’Iveco. Il settore navale anche quello ha interesse all’idrogeno, ci sono auto
Toyota e Hunday, le altre case tentano prototipi. Decidiamoci a fare le infrastrutture e
aumentare la produzione di idrogeno”.

Ultima “bomba”, come la chiama il professore: “Attenzione al nucleare. La diffidenza sta passando , il nucleare sta tornando d’attualità e si sta completamente sdoganando. D’altra parte, è l’unica alternativa, se vogliamo combattere la catastrofe del clima, all’ invasione del territorio da parte delle fonti rinnovabili che comunque è difficile possano del tutto rimpiazzare quelle fossili”. La sicurezza, secondo il professore non è più un problema: “ Gli impianti sono più piccoli e più sicuri. Si sono visti per ora al massimo due o tre incidenti in tanti anni e oggi fanno meno paura di fronte alle pandemie, le guerre, il clima impazzito che rischia di cancellare la vita sulla terra“.

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