Imprese in difficoltà, schiacciate fra inflazione, speculazione, carenza delle materie prime, a valle di una pandemia che ha cambiato il mondo e alla presenza di una guerra europea che rende tutto precario e traballante. In tutto questo, dove sta andando il mondo produttivo italiano ed europeo, quali sono le sue maggiori paure e i punti di forza, e cosa si aspetta dalla politica?
Abbiamo posto alcune domande ad Andrea Puccetti, giovane imprenditore fiorentino, che fa parte della Fondazione Fratelli Rosselli.
In che modo la guerra ucraino russa ha modificato il panorama macroeconomico italiano, in riguardo in particolare all’inflazione e all’emergere di fenomeni di speculazione legati all’approvvigionamento energetico? Cosa sono e che ruolo hanno i futures nella questione dell’energia?
“Il prolungato lockdown conseguenza della pandemia da Covid 19, aveva indotto i produttori ad abbassare i livelli delle scorte in tutto il mondo, poi il rimbalzo di inizio 2021 aveva in gergo “strappato”, prima che avvenisse una fluida ricostituzione dei magazzini, provocando tensioni nelle catene di approvvigionamento, penuria delle materie prime e aumenti dei noli marittimi e in taluni settori carenze di manodopera. Tutto questo aveva generato una inflazione da squilibrio temporaneo offerta-domanda più che da forte ripresa dei consumi.
L’aggressione Russa all’Ucraina ha cambiato il volto di questa inflazione introducendo una ulteriore variabile, quella energetica. E con questa un deficit indotto non di meno da rincaro del gas, cresciuto con punte del 1000%. E’difficile non leggere, dietro l’aggressione all’Ucraina, una nuova guerra fredda, nella quale la corsa dei prezzi del metano sta riportando lo spettro della recessione in tanti Paesi, dove la volatilità è componente primaria dell’inflazione. Una volatilità indotta dalla assenza di una vera alternativa al gas russo nel breve periodo.
Su questa nuova inflazione, ben più cattiva della precedente, si è innescata poi una forte speculazione. I futures fanno capire bene come funzioni: il mercato non compra o vende realmente gas naturale ma gli strumenti derivati, a cui le materie prime sono ancorate in un modo spesso poco lineare. Questi contratti di compravendita prevedono una consegna del bene e il pagamento del suo prezzo, in date prefissate differite, generalmente di tre mesi. Scommesse nelle quali se si prevede che il prezzo scenderà si vende, mentre se si prevede che salirà si compra, che è quello che sta avvenendo massicciamente a seguito della politica prudenziale di riempimento delle scorte, suggerita dalla UE, in previsione dell’incertezza legata all’evento avverso di una drastica chiusura dei rubinetti di gas russo, minacciata da Putin”.
Quale risvolto potrebbe avere per l’Italia e per l’Europa una battuta d’arresto dell’economia tedesca?
“Quello che avrebbe la crisi di una qualsiasi economia membra, ma proporzionata alla grandezza dell’economia tedesca…si ricordi la Grecia. Quella crisi fu sottovalutata ma ebbe un effetto domino. Immaginiamoci una economia grande come quella tedesca che in alcune filiere, una su tutte l’automotive, è fortemente interconnessa con quelle strategiche italiane. Se la locomotiva tedesca si ferma la crisi può facilmente aggravarsi in tutta l’area euro e, d’altra parte, la bilancia commerciale dell’eurozona è finita in deficit in aprile di circa 33 miliardi contro il surplus da circa 15 miliardi dell’anno prima”.
Lei ha dichiarato, in alcuni suoi scritti, che il ruolo dell’Europa sarà fondamentale per uscire nel modo migliore da questa crisi, ma che tuttavia alcuni correttivi sono fondamentali. Quali?
“A marzo scorso, circa un mese dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia , ho scritto che erano auspicabili nuovi strumenti europei finanziati dal debito comune, quali fondi di perequazione energetica, mirati ai comparti manifatturieri più energivori. Quindi un nuovo recovery plan.
L’Italia anche in qualità di seconda manifattura europea ha per definizione un’economia più energivora di altri Paesi, un’economia competitiva che può farcela grazie ai molti punti di forza nella sua struttura produttiva manifatturiera ma che in questo momento è molto, troppo, esposta al caro energia.
Mi apparve però anche superficiale la posizione di chi pensava che la crisi energetica avrebbe colpito solo quei Paesi europei, come noi, o la Germania, più esposti alle forniture di gas russo. Alcuni Paesi europei importano meno del nostro e hanno approntato in passato una politica energetica diversificata, vantando adesso una minore esposizione nel breve periodo, tuttavia la crisi di un grande paese manifatturiero come il nostro, o come la Germania, determinerebbe nel medio periodo un effetto domino sull’intera economia europea. Come UE possiamo e dobbiamo uscirne tutti insieme, è questa la sfida”.
Per quanto riguarda la Bce e le misure messe in campo per arginare l’inflazione, crede che l’aumento dei tassi sia la mossa giusta?
“È una mossa inevitabile che risponde anche a un’altra necessità ovvero quella di contrastare il super dollaro, che è a sua volta un elemento che alimenta la nostra inflazione, nel senso che la” importa” attraverso i beni scambiati nella valuta statunitense. La politica di tassi della Fed non ha lasciato troppo spazio a Christine La Garde. Ma attenzione al tempo stesso la BCE ha garantito liquidità e margine di intermediazione alle banche, questo permetterà di non bruciare la ripresa che si è messa in moto dopo il lockdown (il nostro pil è cresciuto più di quello medio dell’eurozona)”.
Torniamo all’inflazione, che, come ormai noto, mette in crisi il cittadino consumatore mentre consente profitti mai visti ai colossi energetici, ai grandi fondi speculativi e anche alle nostre società energetiche italiane. Cosa ne pensa della tassazione degli extra profitti (ricordiamo il flop del primo tentativo e il rumore che fece l’utile di oltre 7 miliardi di euro di Eni nel primo semestre 2022 nonostante la misura già in vigore ) e ritiene che potrebbe rivelarsi uno strumento decisivo nella battaglia contro l’inflazione?
“Anche le società energetiche italiane (tra di esse colossi quali Eni) stanno facendo enormi profitti con i prezzi di vendita di gas e petrolio schizzati alle stelle, dopo che i loro acquisti e stoccaggi erano avvenuti a un prezzo molto più basso, circa un quinto.
Il governo Draghi aveva in realtà deciso, giustamente, di calcolare questi extraprofitti e di tassarli mettendo a bilancio un incasso di 11 miliardi di euro con cui finanziare la riduzione del peso delle bollette di famiglie e di imprese e la riduzione di 30 centesimi delle accise su gasolio e benzina, che alla pompa hanno sfondato ripetutamente i 2 euro al litro. Questo in un sistema logistico e di trasporti improntato principalmente su gomma non è proprio irrilevante per contrastare l’inflazione.
Misure importanti sono state messe in campo dallo stesso governo per mitigare gli effetti dell’inflazione e l’erosione del potere d’acquisto. Il contributo è stato molto criticato dalle aziende del comparto energetico ma rispondeva a una logica redistributiva, che avrebbe riguardato anche il maggior gettito fiscale scaturito in parte da questa impennata di prezzi. Solo la voce IVA ha determinato un incremento tra 2022 e 2021 di circa 7 miliardi di euro sugli scambi interni, e di circa 3,3 miliardi sulle importazioni…
Il governo dimissionario pur non volendo, a mio avviso correttamente, produrre un nuovo scostamento di bilancio, ha comunque stanziato una manovra che include alcune significative misure selettivamente orientate a contrastare gli effetti della bolletta energetica”.
Infine, per quanto riguarda le imprese italiane, di cosa secondo lei hanno veramente urgenza in questo momento, quali misure dovrebbe prendere il governo immediatamente per evitarne la debacle?
“La priorità è non far fermare le imprese e il lavoro. Pertanto come avviene già in altri paesi dovremo concentrare massicciamente e selettivamente le risorse attualmente disponibili a calmierare le bollette. Contemporaneamente il nuovo governo che si insedierà dovrà riprendere dalle tappe precedenti, un cammino obbligato di riforme. Alcune cruciali (fisco e concorrenza tra tutte) sono state uccise in culla. Un piano di ripresa e resilienza ricco di generosa dote senza precedenti non deve essere messo a rischio. La riduzione del cuneo e del carico fiscale sui lavoratori (che darebbe sollievo ai consumi e ai redditi fissi medio bassi) era stato impostato, ma ora è rimandato per l’ennesima volta a chissà quando. Proprio ora che le risorse si erano individuate.
Quante altre misure sono entrate in un limbo mentre infuria la tempesta economica e geopolitica. Con una inflazione da costi (non da domanda) che fa paura e che stentiamo a fermare, che mina la nostra manifattura dovremo riprendere queste riforme velocemente. Con pressoché tutti i rappresentanti dei settori produttivi del nostro paese stiamo evidenziando queste criticità da mesi.
Fortunatamente l’andamento del nostro pil (ha marcato a livello tendenziale un +3,1%, doppio a quello della Germania), il differenziale dei tassi di interesse che paghiamo sul debito pubblico (sotto controllo sotto la gestione Draghi e BCE sono dati oggettivi, di un mondo reale, non immaginifero, e ci possono permettere di ripartire proprio da lì”.