Energia da fusione nucleare: la tecnologia e la speranza

Molta strada da compiere per arrivare a impianti per le reti elettriche

E’ di pochi giorni fa l’annuncio che in California, al Lawrence Livermore National Laboratory, è stata realizzata, per la prima volta, una reazione di fusione nucleare nella quale l’energia prodotta ha superato l’energia impiegata per innescare la reazione stessa.
Indubbiamente un successo perché potrebbe aprire la strada verso una “energia pulita e illimitata”, liberandoci dalla dipendenza dai combustibili fossili.

Vediamo di cosa si tratta.
Da millenni l’umanità ottiene energia (calore) dalla combustione di legna, carbone, petrolio, metano: per uso domestico, per cuocere il cibo, per convertire il calore in energia elettrica nelle grandi centrali termoelettriche. La combustione (nel caso che ci interessa) è un tipo di reazione chimica che coinvolge atomi e molecole: converte il carbonio del combustibile e l’ossigeno dell’aria in anidride carbonica (CO 2 ) e altre sostanze, con rilascio di calore e di luce. L’energia in gioco è relativamente modesta: dalla combustione di un chilogrammo di metano si ottengono circa 50 MJ (milioni di Joule equivalenti a circa 0.28 kilovattora). A causa di questi bassi valori, le centrali elettriche devono essere continuamente rifornite di enormi quantità di combustibile.
Se si è in grado di realizzare reazioni che coinvolgono la trasformazione dei nuclei, ossia della parte massiva interna degli atomi, da piccole quantità di materiale si possono ottenere enormi quantità di energia.

Le trasformazioni nucleari che emettono energia (reazioni esotermiche) sono di due tipi: rottura (fissione) di nuclei pesanti, uranio e plutonio, e fusione di nuclei leggeri, idrogeno in primis. Le prime non esistono in natura, da quasi duecento miliardi di anni; sono state inventate dagli scienziati e sfruttate a fini militari (bombe atomiche) e civili (reattori nucleari) circa ottant’anni fa, durante la Seconda guerra mondiale.
Le reazioni di fusione invece sono diffusissime; sono le reazioni che hanno luogo nelle stelle, come nel nostro Sole, a temperature di 10 milioni di gradi, o più; ad esse si deve la luce che le stelle irradiano. Sulla nostra Terra sono state realizzate nelle tremende bombe H, o bombe all’idrogeno, o termonucleari. L’esplosione di una bomba H potente, come quelle sperimentate nell’atollo di Elugelab, nel Pacifico, sprigionò una potenza di 11 megaton, 11 milioni di tonnellate di tritolo, 800 volte la bomba di Hiroshima. Le potenze nucleari, soprattutto Unione Sovietica e Stati Uniti, ne hanno costruite migliaia.

La fusione nucleare è una reazione nella quale i nuclei di due atomi si uniscono formando il nucleo di un nuovo elemento chimico. La reazione più promettente ai fini pratici è quella tra due isotopi dell’idrogeno, il deuterio (D, oppure 2 H) e il trizio (T, oppure 3 H), ossia tra due nuclei che “pesano” di più dell’idrogeno prevalente in natura, il cui nucleo è un semplice protone, una particella elementare che ha carica elettrica positiva. Il nucleo del deuterio è costituito da un protone legato a una particella che ha all’incirca la stassa massa ma non porta carica elettrica; è neutra, e per questo è chiamata neutrone; in natura D è presente in circa lo 0,015% rispetto all’idrogeno leggero (H).
Il trizio invece non esiste in natura, se non in minime quantità nell’alta atmosfera; viene prodotto bombardando il deuterio con altro deuterio. Il risultato della reazione di fusione è la produzione di elio (He) e di un neutrone libero: D + T dà He + n, con un rilascio di una grande quantità di energia ripartita tra l’elio e il neutrone; questo accade perché le particelle prodotte nella reazione hanno una massa complessiva minore della somma delle masse deile particelle reagenti, e la perdita di massa è convertita in energia, secondo la famosa formula di Einstein sulla equivalenza tra massa ed energia. Con un grammo
di deuterio e trizio si potrebbe produrre l’energia sviluppata da 11 tonnellate di carbone..

E’ questa l’energia che è sfruttata nelle bombe H e che si vorrebbe utilizzare a scopi civili. Perché la fusione sia possibile i nuclei devono essere molto vicini, circa un millesimo di miliadesimo di millimetro; per ottenere questo è necessario impiegare una grande energia per superare la repulsione elettrostatica, dato che i nuclei hanno cariche elettriche dello stesso segno (positivo per convenzione). L’energia necessaria può essere fornita ai nuclei portandoli ad altissima pressione  e ad altissima temperatura, circa 10 milioni di gradi.

Nelle stelle i nuclei si avvicinano grazie alle alte temperature, decine di migliaia di gradi. Quindi anche sulla Terra, per realizzare la fusione, dobbiamo tenere i  reagenti ad altissime temperature. A questo scopo, Edward Teller, il fisico statunitense di origine ungherese che voleva realizzare la bomba H, progettava di “scaldare” la miscela deuterio – trizio facendo esplodere una bomba atomica a fissione. Ma ci si rese conto che non sarebbe stato sufficiente: il modello era inadeguato. Venne in aiuto Stanislav Ulam, un fisico polacco, proponendo che al riscaldamento del combustibile nucleare venisse associata una forte compressione, sempre ottenuta dalla esplosione della bomba a fissione; la cosa funzionò e furono realizzate le bombe H.

Il problema si ripropone quando si vuole realizzare la fusione nucleare per generare energia in modo controllato per usi civili, ossia per costruire reattori a fusione, anzichè a fissione, come quelli esistenti in vari Paesi. Se verrà risolto, l’umanità avrà a disposizione una fonte di energia pulita – sia dalle emissione di anidride carbonica, sia dalla produzione di residui radioattivi difficili da smaltire- e praticamente inesauribile.

Un obiettivo ambizioso, grandioso. Realizzabile? Si tratta quindi, come nel progetto per la bomba H, di comprimere i reagenti D e T, e/o di riscaldarli moltissimo, per avvicinare i loro nuclei fino al punto da innescare la fusione. Naturalmente, non si può ricorrere all’esplosione di una bomba a fissione. Le due strade scelte sono il confinamento inerziale e il confinamento magnetico; sono state affrontate da decenni da collaborazioni scientifiche tra vari Paesi, con investimenti ingenti e risultati magri.

L’Unione Europea ha puntato sul confinamento magnetico, ossia impiegando forti campi magnetici per tenere il gas di deuterio e trizio, riscaldati a temperature altissime, tipicamente 150 milioni di gradi, lontano dalle pareti dell’impianto. I giganteschi reattori per il confinamento magnetico hanno la caratteristica forma che ricorda una ciambella.
Mesi fa a Oxford il reattore Joint European Torus (JET), a confinamento magnetico, ha ottenuto un significativo successo: ha generato energia di quasi 60 milioni di joule per 5 secondi. A Cadarache, nel Sud della Francia, ad opera di un consorzio internazionale composto da Unione europea, Russia, Cina, Giappone, Stati Uniti d’America, India, Corea del Sud, è in via di realizzazione il grande progetto ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor ).

La sua camera a vuoto toroidale ha un volume di 1 400 metri cubi  Nel 2009 i costi di costruzione sono stati valutati 15 miliardi di euro L’inizio degli esperimenti di fusione deuterio-trizio è previsto solo a partire dal 2035! E anche allora non saremo in presenza di un impianto commerciabile per fini civili. ITER non è progettato per produrre energia elettrica sfruttabile da utenze esterne:  lo scopo principale è il raggiungimento di una reazione di
fusione stabile che produca 500 MW per una durata di circa 10 minuti. La strada del confinamento magnetico è dunque impervia.

E veniamo alla recente notizia sul successo del confinamento inerziale. Gli scienziati della National Ignition Facility, al Lawrence Livermore National Laboratory, in California, hanno utilizzato fasci di radiazioni laser ad altissima potenza per innescare la fusione nucleare. La National Ignition Facility, operativa dal marzo 2009, è costata 3,5 miliardi di dollari; è una struttura progettata per testare armi nucleari, simulandone le esplosioni. Successivamente è stata destinata alla ricerca sulla fusione nucleare. L’apparato sperimentale è un recipiente sferico dal diametro di circa dieci metri, al centro della quale si trova il bersaglio, una sfera da circa un millimetro di diametro, con un guscio d’oro, al cui interno si trovano deuterio e trizio alla temperatura di meno 250 gradi centigradi; la bassa temperatura è necessaria affinché i due isotopi dell’idrogeno si trovino allo stato solido; l’idrogeno infatti solidifica alla temperatura di 279 sotto lo zero. Quando i fasci laser bombardano la sferetta, convergendo più fasci simultaneamente sul piccolo bersaglio, il guscio viene distrutto, evapora di colpo, comprimendo i due reagenti, D e T, fino a una densità 100 volte quella del piombo. La temperatura sale a oltre 60milioni di gradi e si  innesca la reazione di fusione.

Il 5 dicembre, con il sistema di 192 laser,sono stati così generati circa 25 megajoule di energia. Si è riusciti per la prima volta a ottenere un netto, se pur modesto, guadagno di energia: più energia in uscita rispetto a quella spesa per ottenere la reazione generata dai fasci di raggi laser. Un passo importante nella faticosa marcia verso il controllo della fusione nucleare. Alcuni lo definiscono una pietra miliare. Secondo gli esperti, c’è molta strada da compiere per arrivare a impianti che possano alimentare le reti elettriche del globo. Il risultato è sicuramente un successo della scienza e della tecnologia, ma ben lontano dal risolvere i problemi delle fonti energetiche.
Aggiungo che, anche quando fossero disponibili impianti per centrali termoelettriche a fusione, si tratterebbe di macchine di grande complessità, suscettibili di mal funzionamenti che ne limiterebbero l’impiego.

Negli anni ’70 e ’80 si diceva che ci sarebbero voluti circa 30 anni per produrre energia utilizzabile sfruttando la fusione nucleare. Purtroppo era una previsione ottimistica.

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