Firenze – L’Emilia – Romagna non è il Nebraska e sbaglia chi pensa che la disaffezione al voto dimostrata dai suoi cittadini sia un dato strutturale, una sorta di sindrome americana irreversibile. Il fatto che si sia toccato il punto più basso di affluenza alle urne in una regione del nord tradizionale roccaforte della sinistra è il risultato di una serie di circostanze che erano state largamente previste dagli osservatori e dagli stessi protagonisti. E non era certo difficile.
Cominciamo dall’inchiesta della magistratura sulle spese folli e ingiustificate dei consiglieri regionali. Se c’è un modo perché una classe dirigente decida di perdere la faccia, il più efficace è proprio quello di far vedere che i soldi dei contribuenti vengono sperperati ad uso di personale sollazzo più o meno dignitoso. Se si aprono le urne non per confrontare programmi e idee, ma per sanare una ferita nella fiducia fra governatori e governanti, si rischia lo schiaffone, cosa che è puntualmente avvenuta. Ci vuole tempo e tanto impegno per riconquistare questa fiducia.
L’Emilia è arrivata all’appuntamento con il voto regionale dopo un periodo durissimo, dominato da un terremoto che ha colpito uno dei territori più industrializzati d’Italia, un cuore pulsante del meglio dell’impresa italiana. Non era mai accaduto che un sisma mettesse a terra un intero sistema industriale. L’essersi rialzati con rabbia e determinazione è la dimostrazione dello spirito concreto e positivo dei suoi abitanti, e ciò è accaduto in un quadro di crisi economica e di ristrettezza della finanza pubblica che ha peggiorato ulteriormente i rapporti fra rappresentanti e rappresentati.
La scelta di andare a elezioni anticipate praticamente da soli, dato che la Calabria non ha quasi nulla di comparabile dal punto di vista di problemi e soluzioni, ha fatto sì che la gente si è recata ai seggi circondata dalla più assoluta indifferenza da parte del resto del Paese. Nessun clima arroventato di discussioni e contrapposizioni, mentre la stampa nazionale si ricordava dell’appuntamento padano solo per la contestazione fuori misura nei confronti di Matteo Salvini, o la difesa della politica del governo fatta da Matteo Renzi dal podio del comizio finale.
Con tutto ciò nessuno vuole minimizzare i significato di quel 37,67% di votanti. La politica non è fatta di giustificazioni opinabili, ma di analisi dei fatti e di atti concreti per darvi una risposta il più possibile condivisa dagli elettori. Ciò che esce dalle urne è qualcosa che va al di là delle volontà dei singoli che sono (o non sono) andati a votare. E’ una fotografia molto nitida dello stato di una comunità, una regione o un paese che sia. In questa tornata elettorale tutti i partiti sono stati puniti, ivi compreso il Movimento 5 Stelle, che logica avrebbe voluto beneficiario della protesta contro i partiti tradizionali.
Ognuno di questi ha subito un pesante salasso di consensi per ragioni opposte, ma speculari. Il Pd erede di una grande tradizione amministrativa, espressione di un sistema politico sociale che è riuscito a coniugare efficienza e imprenditorialità con i valori di una cultura solidale e di equità sociale, soffre delle turbolenze che contraddistinguono la transizione da una forma partito sostanzialmente conservatrice e identitaria ad una più aperta, nella quale quegli stessi valori devono confrontarsi con le necessità e le urgenze di un Paese che ha bisogno di riforme per riprendere il cammino dello sviluppo. Forza Italia deve fare i conti con il crepuscolo del suo leader che non esprime più da tempo una capacità di proposta convincente e non parla più ai sentimenti profondi degli italiani. Cerca di parlarci invece la Lega Nord che assai meglio di Grillo sa suonare le corde della destra, l’egoismo localistico e la paura del futuro.
Questo è il piatto servito al nuovo presidente dell’Emilia – Romagna Stefano Bonaccini. Poco più di un terzo degli elettori gli ha affidato il compito di ritrovare la fiducia smarrita e di dare un nuovo volto al modello emiliano reinterpretando una grande eredità con spirito pragmatico e tanta immaginazione. Gli strumenti ce li ha, il know how anche. E’ una chance che non può permettersi di buttare via. Nell’interesse dell’Italia