Firenze – L‘Europa si trova di fronte a un passaggio cruciale della sua storia. Dal 23 al 26 maggio prossimi i cittadini dell’Unione andranno a votare per rinnovare il Parlamento Europeo in un clima condizionato da un consenso crescente nei confronti di forze che esprimono critica e rifiuto nei confronti di un processo di integrazione che negli ultimi anni è rimasto bloccato.
Gli stati membri tornano a ripiegarsi all’interno di se stessi a causa prima della più grande crisi economica del dopoguerra e poi del grande flusso migratorio dall’Africa e dal Medio Oriente. Trovano sempre più consenso partiti e movimenti animati da spinte populiste e nazionaliste che hanno conquistato il potere in diversi paesi, fra i quali anche uno dei sei stati fondatori, l’Italia.
Mancano poco meno di tre mesi all’apertura delle urne e la partita è ancora tutta da giocare. I partiti tradizionali stanno mettendo a punto le loro campagne, così come fanno quelli del composito fronte euroscettico. Per dare un contributo al dibattito in corso e offrire argomenti di riflessione agli elettori, Stamp Toscana ha programmato una serie di interviste a studiosi e personalità europee che avvertono la delicatezza del momento e le nuove grandi sfide che deve affrontare l’ideale europeo.
Filosofo e romanziere, docente per anni di Estetica presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze, Sergio Givone riflette in questa intervista sui processi storici sui fenomeni epocali che condizionano l’attuale crisi dell’Unione europea. Le ultime vicende dimostrano che l’Europa esiste – afferma – “ma continua a vivere in un grande equivoco irrisolto”, dispone di una moneta unica, ma non dispone di una sua politica sovranazionale.
Professore, ci troviamo alla vigilia di elezioni che vedono soffiare forte il vento dell’euroscetticismo. Cresce il consenso per forze populiste e sovraniste. Stanno ritornando confini ed esclusioni.
Il populismo è sinonimo di nazionalismo. E’ l’esito di un processo che va dalla dissoluzione del Sacro Romano Impero, il tentativo di ricostruirlo prima con Napoleone come impero che fallisce e che apre alla formazione degli stati nazionali. Il nazionalismo sfocia nella tragedia del nazismo in cui gli stati si fanno la guerra con la pretesa folle di Hitler di ricostruire l’impero. Ci siamo liberati della dittatura, ma resta il problema irrisolto del nazionalismo. L’Europa che vogliamo è fondata sui valori della Rivoluzione francese di libertà e uguaglianza e fratellanza, ma anche sui valori cristiani perché la fratellanza, seppure dimenticata, è un valore cristiano. Il fallimento dunque sta nel risorgere degli stati nazionali che non ne vogliono sapere dell’idea di quella Europa.
Qual è dunque l’Europa che i cittadini europei dovrebbero realizzare?
Un’Europa che renda davvero possibile quello che c’è scritto nella Costituzione italiana e nella dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948, nella quale si afferma il diritto di ogni essere umano a esercitare i propri diritti in Europa qualora non lo possa fare in patria. Oggi si parla di difesa dei propri confini, ma questo significa difesa degli stati nazionali. Il riferimento continua a essere quello contenuto nell’art 10 della Costituzione per quanto riguarda il sacro dovere della difesa dei confini dello stato, ma non quando si riferisce a chi chiede il diritto d’asilo perché non può esercitare la libertà democratica nel suo paese. L’Europa che noi vogliamo è quella che garantisce a tutti l’esercizio della libertà e dei propri diritti fondamentali.
Occorrerebbe una svolta radicale…
Persistiamo in un impasse. Veniamo da un’Europa dove ancora gli stati nazionali sono tutto e vorremmo andare verso un’Europa nella quale gli stati nazionali cedano quote di sovranità a una realtà di ordine superiore che sia decisamente europea come quella che garantisce a tutti, proprio tutti, l’esercizio delle libertà democratiche. Nella Costituzione si parla di effettivo esercizio perché non riguarda solo una persona che viene perseguitata per ragioni politiche nel suo paese, ma anche una che semplicemente ha fame e dunque alla quale è tolto e impedito l’esercizio effettivo della libertà democratica. Ciò dovrebbe eliminare le polemiche, la Diciotti o Sea Watch. Se l’Europa è quella dei nazionalismi, allora il ministro agisce in nome di uno stato nazione che non riconosce nulla al di sopra di sé e chiude i porti.
Quali sono le conseguenze di quanto è accaduto in questi mesi?
Se un ministro si comporta così, autorizza ogni cittadino a non credere che esista qualcosa come l’Europa. Siamo impigliati in questo ordine di cose, ne vogliamo un altro, che implica l’uscita dal populismo, ma io parlerei sempre di nazionalismo. Dobbiamo appellarci all’Europa, al momento soltanto ideale, che è la patria di tutti e a fronte della quale gli stati non sono altro che regioni di questa patria di tutti. Ma per fare questo occorre una svolta epocale e istituzionale, che implica cessione di sovranità. Senza questa svolta epocale e istituzionale senza questa autentica cessione di sovranità non si ha neanche il diritto di parlare d’Europa.
In ogni caso in questi decenni il processo di integrazione europea è andato avanti…
Come dicevo, per capire il processo dal quale veniamo verrebbe da citare un passo dal memoriale di Sant’Elena. L’Europa è un cagnolino da salotto minacciato da due animali selvaggi, da una parte i russi dall’altra gli americani. Di fronte a questa minaccia Napoleone vuole ricostruire l’impero. Poi però va in Russia. Fa quello che farà Hitler due secoli dopo. Siamo sempre all’interno della logica imperialistica che fa assurgere uno stato a stato egemone. I valori a cui guardava Napoleone e sosteneva di esportare erano quelli della rivoluzione francese libertà uguaglianza fraternità. Mentre la Germania di Hitler esportava il primato della razza. Ma ora questa Europa degli stati nazionali che sono la dissoluzione del sacro rimano impero, potrà salvarsi solo ricostituendosi come realtà egemonica che assume su di sé il potere degli stati nazionali.
Non è detto che la storia si ripeta ancora una volta…
Quello che occorre capire che la storia non è un continuum, ma pone sempre delle alternative così come si pone ora un’alternativa. Si ritrova già all’origine. Mi riferisco al principio di inclusione. L’impero romano è fondato sul principio per cui tutti i popoli che entrano a farvi parte conservano le proprie tradizioni, hanno il diritto di esercitare di praticare la propria religione e quindi di essere liberi all’interno di una struttura che non ha altro compito che di garantire la libertà a coloro che ne partecipano. E’ l’idea da cui il diritto romano sviluppa il suo universalismo. Però poi Roma tradisce questo principio, costituendosi come impero al di fuori del quale il legionario con la spada ai confini dice: fin qui l’impero, di là i barbari. Ricostruisce una logica non più inclusiva ma esclusiva, una logica dell’identità che esclude le differenze, non una logica che include le differenze e fa dell’identità il contenuto di queste differenze.
Ora l’asse che tiene in piedi l’Europa è fra Francia a Germania
Se continuiamo a pensare questo motore come, in questo caso, due stati che si fanno egemonici l’Europa la pensiamo come diretta da un’egemonia imperialistica. L’alternativa è l’altra tradizione quella che è arrivata fino a noi ma sempre tradita degli ideali della Rivoluzione francese e gli ideali cristiani e romani di libertà uguaglianza e fraternità, siamo tutti figli di Dio. Fraternità il cristianesimo di cui si parla è quello universalistico che è alla base di una possibile costituzione europea non egemonica, ma universalistica fondata sul principio di inclusione. Garantire la libertà di tutti, non l’Europa di serie a o serie b, che vuol dire un’Europa franco tedesca dove gli altri sono di fatto sudditi. Se la Francia vuole continuare a essere la Francia, se la Germania ritiene di non rinunciare a nulla, di fatto rivendicano il primato della nazione sull’Europa.
Allora perché il Regno Unito se ne va?
C’è un ritorno ad aspirazioni egemoniche. Cento anni fa c’erano gli imperi centrali. In realtà erano stati nazionali che, in quanto stati, non potevano costituirsi altrimenti che come imperi. A Londra hanno rinunciato all’impero pensando di inserire il paese in una struttura più ampia cedendo parte della sovranità. Ora è come se avessero avuto rimorso o rimpianto o nostalgia di quello che hanno perduto, anziché imboccare la strada della cessione di sovranità in nome di una realtà più ampia, una realtà confederale. Hanno cominciato a rimpiangere l’impero, l’America che piace tanto ai britannici è l’America imperialistica.
E il modello americano?
C’è l’America che ha incluso che ha raccolto, vera federazione di stati e quella che fa i muri che impone il proprio way of life al mondo, l’America imperiale. Vocazione imperialistica di un paese che per altro verso è un paese esemplarmente democratico fondato sul principio di inclusione. L’America oggi è di fronte a questa alternativa: principio di inclusione o principio di esclusione. Tutta la politica di Trump va nel senso dell’esclusione. Se gli americani pensano sempre in una prospettiva imperialistica, allora spunta di nuovo la possibilità di una perversione del principio di inclusione in un principio di esclusione .
La soluzione resta dunque quella di dare all’Europa un reale potere sovranazionale.
Che l’Europa esiste lo dimostrano Salvini e la Brexit nei confronti dei due l’Europa sta vincendo e dunque una qualche realtà ce l’ha. Dunque non è vero che non esiste, ma rimane nell’equivoco irrisolto. Ha la moneta, la banca centrale ma non ha un governo. Potrebbe avere un esercito, ma le devo dare un effettivo governo sovranazionale con un ministro della difesa e dell’economia, della finanza etc. Ci dovrebbe essere una reale politica europea. Se invece la politica economica è demandata agli stati nazionali l’Europa viene svuotata di potere reale.
Foto: Sergio Givone