Elezioni europee, ritorno al bipolare. A Bruxelles regge l’alleanza Ppe -socialisti

In Italia vincono due giovani donne: Giorgia Meloni ed Elly Schlein

Vince la destra, vince la sinistra, vincono Fratelli d’Italia e Partito democratico, soprattutto vincono due giovani donne, Giorgia Meloni ed Elly Schlein perché si tratta soprattutto di un loro successo personale, netto e indiscutibile. Se lo dicono anche fra loro, si sentono al telefono “per un riconoscimento e per complimentarci del risultato reciproco, come è normale fare tra leader di forze politiche”, racconta Schlein. Savoir faire e stile, politico ma forse anche stile femminile. Le loro due vittorie sono gli unici punti fermi e acquisiti fin dai primi exit poll della lunga notte dopo la due giorni di elezioni europee.

I risultati italiani arrivano dopo che l’Europa è già stata terremotata dal crollo di Macron, costretto a sciogliere la Camera e indire elezioni per il 30 giugno e Scholz che vede ai minimi storici il suo Spd. Avanzano le destre nazionaliste, ma regge il partito popolare europeo  e reggono i socialisti, quindi con il passare delle ore si capisce che il sogno di Giorgia Meloni, sganciare la sinistra e agganciare il Ppe alle destre, sfuma, nonostante lei diventi pedina fondamentale per costruire eventuali ‘maggioranze liquide’.

La Schlein vanta un ruolo fondamentale nel ‘salvataggio’ dei socialisti europei. Il Pd con i colleghi spagnoli di Pedro Sanchez diventano l’avamposto a Bruxelles per arginare le forze che avanzano con l’intento di stravolgere l’Europa, confinarla dietro gli Stati nazionali, zittirla dietro il chiasso dei sovranisti.

Ma torniamo all’Italia che, come da tradizione, non sfugge mai al vizio di trasferire sulla scena nazionale ogni elezione europea, e anche stavolta fin dalla campagna elettorale si è parlato molto delle nostre cose, alleanze, campi larghi o stretti,  governo buono o cattivo, candidati bandiera per drenare voti, a partire da Meloni e Schlein che, con la loro candidatura ‘fasulla’ perché non andranno a Bruxelles, sono state fondamentali per il successo dei loro partiti. ‘Giorgia’ – così ormai la chiamano tutti – rivendica il suo buon governo.

Alle 2  di notte, quando ancora non si è consolidato il 28,8%  di Fdi , si presenta ai suoi commossa e, fra fiori, cori, inno d’Italia e balli, dice: “In questi due anni abbiamo fatto scelte difficili in un tempo difficile. C’era bisogno di dire la verità e abbiamo fatto quello che era giusto fare. Il fatto che gli italiani abbiano capito questo per me ha un valore straordinario e va colto”. Poi riconosce implicitamente il successo della sua principale competitor Elly Schlein compiacendosi che “il sistema sta diventando di nuovo bipolare. È una buona notizia, ci sono visioni che si contrappongono e su cui si chiede ai cittadini da che parte stanno. Oggi ci hanno detto che stanno dalla nostra parte”.

Infine conclude in ironia con una battuta che riprende l’ormai famoso tormentone di Elly Schlein quando vinse le primarie e si prese il Pd (“Non ci hanno visto arrivare”).  “Nel caso nostro – rilancia Meloni – ci hanno visto arrivare ma non sono stati in grado di fermarci”. Non si lascia sfuggire l’assist la segretaria dem che, in conferenza stampa il giorno dopo, le risponde: “Non li abbiamo ancora fermati, ma di certo li abbiamo rallentati. Giorgia Meloni stiamo arrivando”.

In effetti è impetuosa l’avanzata del Pd. L’asticella perché la segretaria mantenesse la guida del partito era al 20%, lei sfiora il 25% e, come sottolinea, “siamo il partito che è cresciuto di più dalle scorse politiche: 5 punti, 10 se consideriamo i sondaggi dell’inizio dello scorso anno, 2 dalle europee del 2019. Siamo il primo partito al Sud, ed è un messaggio chiaro al Governo che si deve fermare sull’autonomia differenziata”. Infine, sottolinea Schlein, “siamo i soli insieme ad Avs, a crescere in termini di voti assoluti rispetto alle politiche. Il voto delle forze di opposizione supera quello delle forze di maggioranza, e quindi sentiamo molto forte la responsabilità di creare un’alternativa”.

In effetti l’altra grande sorpresa è l’avanzata dell’alleanza Verdi e Sinistra che, con il 6,7% dei voti, supera ogni più rosea aspettativa. Accanto alle due prime donne ci sono due primi uomini, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli che hanno fatto gol con importanti candidature simboliche e di peso. Su tutte Ilaria Salis che, dalle indecorose aule di giustizia ungheresi dove l’abbiamo vista trascinata in catene, arriva trionfante sugli scranni del Parlamento di Bruxelles. Poi c’è  Mimmo Lucano che fa incetta di voti, riscattando una lunga e dolorosa vicenda giudiziaria.  

Un’altra vittoria, stavolta dall’altra parte, è quella di Antonio Tajani, che tenendosi stretta la mano di Berlusconi, porta la sua Forza Italia a sfiorare il 10%, assestando il sorpasso della Lega, che resta al 9%. Il partito di Matteo Salvini regge rispetto alle scorse politiche ma grazie alla furba candidatura del generale Vannacci che, capolista in tutte le circoscrizioni, con una campagna inneggiante alla X Mas, sdogana tanti voti impresentabili da cui prendono le distanze anche molti leghisti. Clamoroso il fondatore Umberto Bossi che “a urne aperte – lamenta lo stesso Salvini commentando i risultati – comunica di aver votato Forza Italia”.

Ed ecco le note più dolenti. Il M5S si ferma al 9,9%, perde 5 punti negli ultimi due anni, una sconfitta pesante, riconosciuta anche dal leader Giuseppe Conte. Ora la questione delle alleanze nel campo progressista diventerà ancora più urgente, ma le carte le darà Elly Schlein.

Infine la debacle di Stati Uniti d’Europa (3,7%) e Azione (3.3%) che non arrivano al quorum del 4% e spazzano via il terzo polo. Insieme sarebbe stato diverso ma le incompatibilità fra Carlo Calenda e Matteo Renzi li ha fatti esplodere. E’ lo stesso Renzi a riconoscerlo: “Non smetteremo oggi di lottare per questa idea di Europa, l’unica nella quale l’Italia può giocare un ruolo da protagonista. Troveremo i modi per insistere sulla battaglia culturale e valoriale per un’Europa diversa. Sul risultato italiano pesa l’assurda rottura del Terzo Polo: potevamo avere sette parlamentari europei riformisti, insieme. E invece sono zero. Che follia”. Calenda si limita ad ammettere la sconfitta e a ricordare la questione cruciale della guerra: “Non reggerà ne’ a destra ne’ a sinistra il sostegno all’Ucraina”, lamenta. E tocca un punto nevralgico, che sarà fra i dossier più caldi sul tavolo della nuova Europa.

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