Malgrado l’accoglienza un po’ freddina del pubblico reggiano -che in gran parte, melomane della domenica, preferisce i lirismi più tradizionali di un Puccini, di un Rossini, dell’apodittica grandezza di Verdi – l’Elektra di Strauss andata in scena sabato 5 dicembre al Valli è un vero e proprio sospiro di sollievo.
L’apertura novembrina con la Boheme non sembra infatti convinto il pubblico più competente (e lo riporto come sentito dire, non avendo presenziato personalmente, e nemmeno facendo parte del pubblico “competente”) e la rappresentazione di sabato ha ridato fiducia alle sorti della stagione.
Una sala sufficientemente densa, anche se non proprio stracolma, colpevolmente privata di presenze “istituzionali” che di cultura dovrebbero occuparsi, ha assistito a questa opera che, bisogna dirlo, è bellissima. Bellissima e difficile, onore al merito quindi per le scelte e l’esecuzione che hanno regalato due ore di meravigliosa intensità.
Personalmente ritengo che la scelta di ambientare quest’opera, tragica, sadica, sanguinolente e in lingua tedesca, in una sorta di lager femminile nazista, non brilli di originalità assoluta, tuttavia, in epoche di allestimenti operistici costituiti esclusivamente di videoproiezioni e scenografie che più che di sobrietà sanno di povertà (aihnoi, loro malgrado) questa Elektra nella sua ambientazione convince. Il contesto sostiene la dinamica scenica, la giustifica e quindi fa il suo lavoro.
Il Direttore Zagrosek fa un lavoro egregio con l’orchestra, supportando stupendamente la pienezza drammatica come la finezza sentimentale della doppia anima straussiana.
Certo qualcuno (ho sentito) lamentava l’assenza di un anche maggiore sostegno orchestrale alla partitura drammatica che qui, come nella Salome per esempio, richiede interventi fragorosi. Ma la piccolezza della buca giustifica in parte questa potenziale assenza che comunque può considerarsi solo una sfumatura, un elemento rafforzativo, nel godimento generale dell’opera.
Il corpo di canto ha dato buona prova di sé, con qualche limite che di certo non ha pregiudicato la resa generale dello spettacolo. Leggermente troppo flebile Crisotemide, proprio in relazione a quel corpo orchestrale che poteva essere anche più importante e già così risultava a tratti coprente. Perfetta Clitennestra e anche anche Elettra (piacessero o no il timbro un po’ ruvido, magari anche azzeccato per questa eroina pazza e furente) che hanno dominato la scena in un’ora e quaranta di complessità altissima senza cedimenti, esitazioni e pecche.
Peccato, come si diceva, per il pubblico, che a volte si sente in visibilio per una mediocre esecuzione di una qualsiasi arietta cantabile, e che in casi come questo, a fronte di un’opera splendida e bene rappresentata, rimane un po’ sulle sue.