Firenze – Un affaire che non dovrebbe lasciare adito a confusioni, ma che invece rischia di lasciare 35 famiglie nell’incertezza ma soprattutto senza nessuno a cui richiedere indietro canoni versati con un sovrappiù non dovuto. E non per mesi, ma per anni. Senza che, alla fine, per nessun soggetto coinvolto si possa parlare di una vera e propria colpa. Il caso riguarda un blocco di 35 appartamenti nei pressi della Leopolda, a Firenze, costruiti secondo l’art. 18 del DL n.152/1991, convertito poi nella legge 203/1991, che predispone programmi di edilizia agevolata per dipendenti di amministrazione dello Stato, in questo caso appartenenti alle forze dell’ordine.
Gli attori di questa partita sono in buona sostanza tre: da una parte, il Ministero infrastrutture e trasporti (Mit), dall’altra la Prefettura, e infine, il Comune di Firenze. Ognuno con un ruolo ben preciso: da parte del Mit, giunge, come da legge, il denaro per la costruzione degli appartamenti, attraverso la Cassa depositi e prestiti; da parte della Prefettura, si compila la lista degli assegnatari secondo i requisiti di legge e vengono effettuate le assegnazioni; da parte del Comune, interviene la designazione del canone. Il tallone d’Achille della situazione, i canoni, o meglio il loro importo. Ma anche un passaggio di proprietà fra soggetti privati che rischia di creare qualche dubbio o meglio qualche danno: sia agli acquirenti che agli utenti. Ma andiamo con ordine.
Il disegno di costruire in zona Porta al Prato delle residenze con una parte di edilizia agevolata, comincia a prendere concretezza, dopo una serie di atti propedeutici fra cui la ratifica da parte del consiglio comunale di Firenze dell’accordo di programma stipulato il 26 ottobre 2000 fra la Regione Toscana, il Comune di Firenze, CEPA spa e il Consorzio Cooperative Acli per gli interventi di edilizia residenziale di cui all’art. 18 della legge 203/1991 in “un’area posta in località Porta al Prato (…)”, l’11 settembre 2002, quando viene stipulata davanti al notaio la convenzione fra il Comune di Firenze e CEPA spa, l’impresa che svolgerà i lavori e proprietaria del terreno, per l’attuazione del programma straordinario di edilizia residenziale approvato con l’Accordo di programma del 26 ottobre 2000. La svolta arriva il 20 dicembre 2002, quando viene stipulata la convenzione, prefigurata dal passaggio precedente, fra il Mit, la CEPA SPA e il Comune di Firenze, in cui è prevista la costruzione, nel Comune di Firenze, di 69 alloggi di edilizia residenziale sovvenzionata e 35 di edilizia agevolata. Fra gli elementi caratterizzanti l’accordo, la durata di 22 anni della permanenza dell’affitto e il compito del Comune di Firenze, di stabilirne l’importo.
CEPA spa comincia a costruire e il lotto dei 35 alloggi viene approntato. A questo punto, l’assegnazione, verso il 2006. Che tuttavia non comporta grandi problemi, dal momento che la Prefettura svolge il suo compito: compila la lista degli aventi requisiti e procede alle assegnazioni. Gli aventi diritto entrano e pagano dunque il canone determinato dal Comune, come da Convenzione sottoscritta.
Ma con l’andar del tempo qualcosa succede. Intanto, CEPA spa fallisce nel 2013. Il lotto in questione viene venduto, qualche anno prima, nel 2011, a due cittadini privati, di Scandicci. E qui scatta il primo punto che il sindacato Asia-Usb che si occupa di questa vicenda, , poco chiaro: perché mai, una volta che si decide di procedere alla vendita degli appartamenti a privati, non sono stati interpellati gli assegnatari, inquilini, secondo la nota regola della prelazione? “E’ una domanda che ci facciamo – dicono da Asia-Usb, che si occupa della questione – in ottemperanza a una regola di base che è quella della trasparenza dell’intera vicenda”.
Insomma, aspettando la risposta a perché non si sarebbe proceduto alla prelazione a favore degli inquilini, un altro avvenimento scuote il tranquillo procedere dei conduttori. Infatti, nel 2017 avviene un “ricalcolo” del canone, da parte degli uffici comunali. Ricalcolo che mette allo scoperto un punto importante, vale a dire che il canone pagato sin dal 2006 è stato sovrastimato in quanto non è stato sottratta la quota di denaro pubblico investita nell’operazione. Vale a dire, non è stato tenuto conto dei finanziamenti ottenuti dalla società costruttrice attraverso il Mit, attraverso la Cassa Depositi e Prestiti. A questo punto, scatta il problema. La questione è innescata da una Circolare del MIT – Direzione Generale per la condizione Abitativa, del 23 luglio 2014, oggetto, la determinazione dei canoni. Infatti, la Convenzione fra Comune di Firenze e CEPA spa stipulata in data 18 dicembre 2006, all’art. 2 determinava il prezzo di cessione degli alloggi pari a 1450,00 euro al metro quadro di superficie complessiva dell’alloggio. La Circolare del Mit in questione, precisa invece i contenuti del successivo D.M. 185 dell’8 maggio 2014, con particolare riferimento all’art. 3, inerente il metodo di calcolo per la determinazione del canone annuo degli alloggi costruiti ex art. 18 della legge 203/1991. Le modalità prefissate per legge dettano che “detto canone annuo di locazione (sia) stabilito con riferimento al prezzo di cessione degli alloggi al netto del finanziamento statale assgnato al soggetto attuatore”. E comunque, che non possa essere superiore al 4,5% del prezzo di cessione stabilito nell’apposita convenzione comunale. Tirando le fila, da 1450,00 euro al metro quadro di prezzo di cessione si passa, sottaendo i 271,61 euro di contributo statale che risultano a metro quadro (727.916, 70 euro il contributo complessivo per i 35 alloggi) a 1.178,39 euro al mq, canone annuo di locazione degli alloggi di via Bausi.
Intanto, la questione prende varie facce. In primo luogo, i soldi “in più” non dovuti, chi li ha presi? La società costruttrice e conduttrice del contratto. E in un secondo momento, i privati subentranti. Ma chi doveva controllare che il canone fosse a norma? Ovviamente, senz’altro chi doveva stabilirlo, ovvero il Comune, ma anche la Regione, come da Convenzione sottoscritta. Ed ora, chi dovrebbe renderli a chi ha pagato un canone rivelatosi approssimato per eccesso?
E su questo, la questione diventa sempre più complessa. Da un lato, gli inquilini si rivolgerebbero al primo soggetto in rapporto diretto, ovvero la società che riscuote gli affitti, la quale però non è più l’originaria CEPA spa, fallita, bensì sono i due privati, anche proprietari di un’agenzia immobiliare. Che, a loro volta, ritengono di essere stati danneggiati e che non spetti a loro rifondere i soldi perduti, bensì al Comune, quale attore principale per la determinazione dei canoni. Il Comune, d’altro canto, essendo oltre a soggetto cui spetta la determinazione dei canoni anche ente preposto al controllo dell’osservanza da parte della società costruttrice dei punti sottoscritti con la Convenzione, si trova in una posizione molto complessa. Di sicuro, secondo quanto ribadito in una nota dal Mit in casi analoghi registrati nel Comune di Roma (nota prot. n. 0011931 del 30.11.2015) “Si tratta, in particolare, di verificare se le convenzioni sottoscritte da (Roma Capitale, in questo caso, ndr) con i soggetti singoli attuatori prevedono che il prezzo massimo di cessione ed i canoni di locazione siano stati determinati detraendo dal costo di costruzione i contributi pubblici assegnati, rideterminando, in caso contrario, i relativi valori assunti o comunque applicati ai locatori degli alloggi, notificandoli ai soggetti attuatori”.
Se sul punto una certa chiarezza c’è, rimane scoperta la domanda: posto che al Comune di Firenze sia affidato il delicato potere e la conseguente funzione di controllo e verifica del rispetto degli obblighi della Convenzione e della normativa vigente da parte del costruttore concessionario, cosa fare se il calcolo compiuto ab origine dallo stesso Comune non aveva previsto la detrazione dal costo di costruzione dei contributi pubblici, determinando perciò un canone più alto di quanto dovuto? E in seconda battuta, una volta appurato da giurisprudenza e ministero, che il controllo spetta all’ente locale, come potrebbe il Comune di Firenze sottrarsi al suo ruolo di rideterminazione dei canoni? (ruolo peraltro previsto esplicitamente dalla nota del Mit riportata. La sentenza cui ci si riferisce è la sentenza del Tar Lazio 09787/2019).
Tirando le fila, il problema in buona sostanza, per le 35 famiglie assegnatarie, non cambia. Primo nodo, capire perché, dal momento che nel passaggio da CEPA ai nuovi proprietari si è configurata una vera e propria compravendita fra privati nonostante l’intervento del pubblico (finanziamento CDP alla società costruttrice contro affitto calmierato), non sia stato preso in considerazione il diritto di prelazione in capo agli assegnatari, anzi, sia espressamente escluso; secondo nodo, visto che per anni i canoni sono stati sovradimensionati, al di là delle responsabilità di individuazione, applicazione e controllo degli stessi, chi paga gli inquilini, a questo punto creditori?
Da Asia – Usb una soluzione verrebbe avanzata. “Basta seguire la legge – spiegano gli esponenti del sindacato di base – che, in caso di credito, stabilisce che a pagare intanto sia il soggetto che direttamente ha avuto il beneficio; il quale poi, in un secondo momento, si rivarrà, secondo eventuale sentenza del tribunale, sul soggetto indirettamente coinvolto. Vale a dire, nel nostro caso, il Comune di Firenze”. Che, giuridicamente, apparirebbe a un tempo controllore e controllato.