Parigi – Solo il 3% della superficie terrestre sarebbe ancora ecologicamente intatto e avrebbe conservato interamente il suo sistema ecologico e tutta la sua popolazione animale. Lo afferma uno studio pubblicato da Frontiers in Forests and Global Change che per cercare di avvicinarsi maggiormente allo stato di salute complessivo del nostro pianeta ha deciso di non concentrarsi più unicamente sul fattore “umano”e ha monitorato lo stato di salute del nostro pianeta tenendo conto di 3 criteri: l’habitat Intactness, cioè habitat in sé stesso e le conseguenze delle attività umane; la faunal intactness che si concentra sulla fauna e valuta il numero di specie scomparse e infine la functional intactness che calcola se la densità delle specie animali permetteva loro di svolgere il loro fondamentale ruolo ecologico nelle regioni prese in esame.
Il risultato di questa nuova metodologia è assai più pessimista di altri recenti studi che valutavano tra il 20 e il 40% la superficie terrestre ancora al riparo di perturbazioni causate dall’uomo. Per gli autori di Frontiers in Forest and Global Change però non è detto che le zone incontaminate dall’azione umana siano intatte dal punto di vista ecologico in quanto possono aver perso lungo gli anni aspetti animali vitali per il loro funzionamento. Secondo recenti dati, la lista delle specie estinte e quelle a rischio di scomparsa non fa che allungarsi con oltre 31 nuove specie perdute e 3.000 in pericolo di sopravvivenza. Comunque, si rammaricano, non esiste ancora “una definizione chiara di quel che significa intatto e il termine é utilizzato in modo vago nella letteratura scientifica”.
Secondo il documento, sarebbe il territorio del parco nazionale di Serengeti, in Tanzania, uno dei migliori esempi di salvaguardia ecologica. Altre zone, identificate come “funzionalmente intatte” sono le distese boreali e le tundre del Canada settentrionale, le foreste dell’Amazzonia e la Siberia. Tra le zone più colpite dalla perdite di specie animali figurano l’Europa del Nord, l’Africa settentrionale e gli Usa occidentali.
I migliori del pianeta a preservare il loro habitat sono i popoli autoctoni che svolgono un ruolo ritenuto primordiale nella salvaguardia dei loro territori. Per i ricercatori comunque non tutto è perduto e molte zone in cui l’habitat è intatto, ma non la sua fauna, potrebbe tornare ad essere ecologicamente intatto. Secondo lo studio infine “I risultati mostrano che sarebbe possibile aumentare fino al 20% della superficie ecologicamente intatta reintroducendo le specie perdute nelle zone in cui l’attività umana ancor relativamente debole”.
Foto: l’ingresso del parco nazionale di Serengeti in Tanzania