Un nuovo rapporto fra finanza e lavoro per tornare a crescere

L’economista Triulzi propone asset finanziari orientati all’economia reale
people, withdrawal, saving and finance concept – hands with cash money at bank office or currency exchanger

Complessità, sfide, lavoro , finanza e welfare. Non possiamo immaginare di affrontare questi punti con gli strumenti tradizionali, ormai la famosa cassetta di strumenti di Schumpeter purtroppo risulta inutile. E quindi, innovazione.

E’ questo il tema di fondo del contributo che il professor Umberto Triulzi, ordinario di politica ed economia all’Università Roma Tre, sviluppa nel corso del Convegno, organizzato dal Circolo Fratelli Rosselli di Roma e tenuto sabato scorso 8 aprile. Un intervento che mette il punto sulla necessità, per risolvere l’impasse italiana (debito pubblico fuori controllo, crescita bassa), di pensare in modo nuovo creativo, mettendo insieme due vecchi nemici, lavoro e finanza. M è possibile guardare al mondo del lavoro e delle imprese in un’ottica diversa dal passato, immaginando di costruire un legame fra mondo del lavoro e della finanza?

Si tratta, secondo l’economista, di un passaggio fondamentale per il futuro, in cui molte cose vengono a galla. Intanto, ” la situazione di crisi in cui viviamo. così evidente che non è necessario parlarne”; secondo elemento, “l’intervento dell’Europa con le risorse del Next Generation Eu, per superare questa crisi, che però non sono sufficienti. La metà di esse vanno restituite. Invece le risorse di cui abbiamo bisogno sono ingenti, per tutti i settori su cui dobbiamo intervenire”, ovvero, infrastrutture, ambiente, energie, ecc.

Le risorse dunque dove le troviamo? Questa è la vera domanda da economista che fa tremare le vene ai polsi. “Non possiamo immaginare di aumentare l’indebitamento dell’Italia, perché anzi, quando partirà il nuovo patto di stabilità e crescita, ci troveremo di nuovo in difficoltà perché la flessibilità che è stata introdotta in questa nuova versione non ci consente di immaginare una nuova espansione del debito pubblico italiano, che è al 134,7% nel 2023. Ma allora, dove stanno le risorse?”.

E’ da questo interrogativo reiterato che affiora il tema fondamentale, dice Triulzi, ovvero qual è il rapporto che immaginiamo fra il lavoro e la finanza.

Per quanto riguarda il lavoro, “abbiamo evidenze costanti che dicono che il lavoro è cambiato, il lavoro non è soltanto salario, ma la capacità di immaginare un luogo dove si lavora diverso da quello che abbiamo ereditato, ma anche quella di realizzare se stessi, e quindi di avere ambizioni e speranze maggiori. Penso soprattutto alle giovani generazioni”. Nuove richieste dunque, che giungono non solo dal mondo del lavoro nel senso dei dipendenti verso le imprese, ma anche da quello delie imprese, “che non possono più limitarsi a tenere il profitto come esclusivo fine ultimo”.

“Abbiamo evidenza – dice il professore – che tanto più le imprese si fanno carico di problemi legati all’ambiente, alla responsabilità sociale, alla salute dei lavoratori ma anche della comunità in cui sono collocate, tanto più ottengono risorse finanziarie, dal momento che danno evidenza all’investitore di essere imprese che hanno interpretato in modo corretto la contemporaneità”.

Un dato che Umberto Triulzi vede in modo estremamente positivo, dal momento che “quello della finanza e del lavoro sono due mondi che sono stati molto distanti, il capitale umano e quello rappresentato dall’attività dell’imprenditore non hanno avuto un facile dialogo nel passato”. Ma ad ora, dice Triulzi, “dobbiamo sviluppare e favorire questo dialogo, nella direzione indicata, non solo in Europa ma in tutto il mondo”.

Un mondo completamente cambiato, abbisogna, secondo Triulzi, di nuovi strumenti, che consentano di trovare quelle risorse di cui abbiamo assoluto bisogno. Partendo da questo scalino, ecco il secondo punto: qual è il rapporto che esiste attualmente fra il lavoro e il capitale finanziario?

“Intanto attenzione – dice il professore – quando parliamo di capitale finanziario entriamo in un’area pericolosa. Perché ? Perché in Europa e a maggior ragione in Italia, il concetto di finanza non c’è. Noi confondiamo la finanza con il credito, quindi con l’attività delle banche, delle assicurazioni, degli enti che si dedicano a questo da sempre. ma questa non è finanza. La finanza è altra cosa, e ha avuto un’evoluzione negli ultimi 2 decenni, inimmaginabile, con un’esposizione al rischio e alla speculazione che storicamente non si era mai visto.

Il modello storico del sistema della finanza era quello di raccogliere risparmio, trattenerlo, utilizzarlo per fare prestiti alle famiglie, agli imprenditori, alla società che produce. “Un modello prevalente fino alla fine degli anni ’70 – inizi anni ’80, quando il neoliberismo ha aperto le porte alla finanza speculativa e tutto è cambiato: Si è passati dal “raccogli risparmi e trattieni”, al “raccogli risparmi e liberatene”, cartolarizza, in modo che poi, raccogliendo risorse, puoi fare ulteriori prestiti.” La complessità dell’economia è in realtà la complessità della finanza. e da una finanza di questo genere è veramente difficile difendersi, nonostante le regole introdotte da Basilea 3″.

Perciò. dice Triulzi, è necessario riportare la finanza a fare ciò che ha fatto nei secoli, ovvero finanziare l’economia reale. Come fare?

“Ci sono Paesi come il Canada, gli Usa, la Gran Bretagna, l’Australia, in cui lo Stato interviene, attraverso l’emissione di titoli, e favorisce gli investimenti nei settori prioritari per questi Paesi: infrastrutture, trasporti, industria, energia, ambiente”. Quindi, esiste la possibilità concreta di costruire percorsi di finanza “buona”, al posto della finanza “cattiva” che abbiamo visto negli ultimi decenni. Ma per fare questo, “occorre l’opportunità di guardare alla finanza in modo diverso, di organizzarsi con modalità diverse”.

Per fare ciò, dice ancora Triulzi, “la scena deve vedere un diverso ruolo degli attori”. Si cominci dal ruolo dello Stato, e che riguarda “tutto il sistema che utilizza le risorse per poterle poi destinare agli utilizzatori finali, quindi le banche, le assicurazioni, i fondi pensione, tutti gli intermediari finanziari che potrebbero essere interessati a una nuova classe di azioni o obbligazioni n cui la garanzia è data dallo Stato, in cui lo Stato promuove una nuova azione di acquisizione di risparmio e la indirizza “.

L’Europa ha messo a disposizione .gli strumenti. Non manca la strumentazione quindi, manca l’innovazione. “Siamo un Paese dove c’è povertà, ma c’è anche una ricchezza familiare molto elevata. dunque, si tratterebbe di immaginare dei titoli da proporre agli investitori, ai risparmiatori, agli intermediari finanziar, nazionali ed esteri, che potrebbero essere interessati se a garantire questa operazione ci fosse lo Stato come sottostante. E lo Stato ha risorse da impiegare, non vendendo, come sta attualmente succedendo, dal momento che si parla di vendere ulteriore quote delle Poste, una follia; ciò che invece occorrerebbe fare è raccogliere di nuovo il risparmio“. Operazione che tra l’altro non è così peregrina, come si è visto con l’aumento degli interessi dei buoni del tesoro dopo vent’anni in cui sono stati quasi inesistenti, azione che ha prodotto una larghissima sottoscrizione. “E’ questa la strada”.

Questo significa, torna a sottolineare Triulzi, avere una nuova visione degli attori. “Lo Stato che finalmente diventa imprenditore, che immagina di costruire un’operazione finanziaria per finanziare le imprese, non il Superbonus, ma le imprese, che sono quelle che devono reinvestire per ammodernare il Paese, per creare opportunità di crescita, occupazione , ambienti di lavoro diversi da quelli del passato, per dare garanzia di rispettare i criteri Esg (acronimo che indica le tre dimensioni fondamentali per valutare la sostenibilità di una impresa o di una organizzazione: ambiente, sociale e governance, ndr) “.

Se questa è la strada c’è anche un altro elemento da tenere in conto, “è necessario creare gli incentivi – dice il professore – e regolamentare questa operazione in modo da essere sicuri che le risorse così acquisite siano destinate alle imprese; quelle che effettivamente hanno sia capacità produttive che elementi di innovazione che possano assicurare che queste risorse, andando a buon fine, creino crescita. Se non immaginiamo questo percorso virtuoso – ribadisce Triulzi – non riusciremo mai a ridurre il debito”.

Cresciamo troppo poco. Così, continua l’economista, “dobbiamo dare di nuovo spazio , competenze e capacità finanziarie al sistema produttivo, per realizzare tutti gli obiettivi ben noti ma che sono stati trascurati o comunque realizzati solo in parte”.

Nonostante il lungo percorso (di questo nuovo approccio circa la finanza, dice Triulzi, ci si occupa dal 2016) , qualche lampadina positiva comincia ad accendersi. “Negli ultimi tempi, sono aumentati gli interventi da parte dei responsabili della Confindustria e del mondo imprenditoriale, ma anche da quello delle organizzazioni datoriali , che fanno riferimento a due elementi molto importanti: intanto, la necessità di ricorrere al capitale privato, intendendo quindi che non bastano gli interventi delle banche, anche se ormai è evidente che anche l’istituto banca deve cambiare atteggiamento, dal momento che è un elemento fondamentale del mercato dei capitali. Questa è la strada: dobbiamo creare un mercato dei capitali in Italia e in Europa che abbia queste caratteristiche, in cui tutti gli attori che operano nella finanza condividono progetti e strategie a carattere industriale, strutturale, ambientale e su questo trovare asset finanziari che creino incentivi, creando nel contempo regole che rispettino tutti i criteri europei e internazionali nella emissione di titoli che sono titoli dello Stato. Infine ma non ultima per importanza, la tassazione. Dobbiamo immaginare che questo tipo di investimento, che va a beneficio del Paese attraverso le imprese che dovranno investire, sia un’operazione che realizzi questi asset innovativi e quindi tutelare chi fa questi investimenti, che le risorse vadano realmente alle imprese”.

Se questa potrebbe essere la novità, tuttavia Triulzi sottolinea anche che “la finanza non ha mai parlato con il mondo del lavoro, Mai. E non ci sono lavori , che io sappia, che mettono direttamente in raccordo lavoro e finanza. Generalmente si parla di salari, di reddito, ma la finanza non è mai intervenuta”. Per chiamare dentro il gioco la finanza, è necessario, dice Triulzi, “offrirle dei titoli interessanti con rendimenti certi e bassi rischi”. In sintesi, la formula sarebbe: 2Attivare la finanza sul lavoro”; questo, secondo l’economista, “è l’augurio perché il nostro Paese torni a crescere e riprenda un ruolo attivo nel mondo”.

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