Imprese e famiglie stanno vivendo ancora in un contesto incerto dove è complesso fare previsioni e investimenti. Molti studi, compreso quello di Confindustria avevano previsto un forte rallentamento un 2023 di crescita piatta, la Banca Mondiale ha ora dimezzato le stime di crescita del 2023 del mondo all’1, 7% sotto il peso dei nuovi tassi di interesse e dello scenario in Ucraina.
Lo studio che Banca Italia riserva periodicamente alle imprese, seppur in presenza di un miglioramento di indici rilevanti quali l’aspettativa di assunzioni e di investimenti, risaliti entrambi rispetto al quarto trimestre scorso, rileva una previsione di congiuntura debole da parte della maggioranza delle imprese.
Di buono in questo gennaio arriva una concreta aspettativa di calo della bolletta del gas vicino al 30% a partire da febbraio, in un momento in cui il fattore che aveva innescato la spinta inflattiva degli ultimi mesi, ovvero il prezzo alla borsa energetica olandese Tff è precipitato a 50 € a megawatt ora, contro i 100 dello scorso dicembre e gli oltre 300 dell’estate scorsa.
Questo fatto, unito ai dati relativi al miglioramento della inflazione americana dopo le ripetute strette creditizie operate dalla Fed, ( la banca centrale statunitense), induce il mercato ad aspettarsi un allentamento della stretta intrapresa dalla Banca Centrale Europea. Tuttavia altri segnali indicano che l’inflazione europea viaggia con circa 6 mesi di ritardo rispetto a quella statunitense e lo stesso mondo produttivo si aspetta che l’inflazione resti a livelli alti per ancora un anno.
Più osservatori danno quindi per certo che la Banca Centrale Europea procederà ancora con l’aumento dei tassi: la Presidente Lagarde ha già comunicato al mercato l’intenzione di proseguire il percorso di rialzo ad un ritmo costante per almeno altri 4-6 mesi, il che rende realistico immaginare a giugno un tasso già al 4%.
Questa indeterminatezza sull’effettivo orientamento che terrà la BCE è ulteriore motivo di incertezza e probabilmente un po’ di prudenza nel ritmo da seguire sarebbe opportuna, quanto meno per non rischiare di strozzare una ripresa che proprio grazie al rientro della bolletta energetica potrebbe invece prendere corpo nella seconda parte dell’anno.
Ciò a maggior ragione in un paese manifatturiero come il nostro nel quale occorre ricordare che la bolletta energetica è passata dai circa 10 miliardi del 2019 ai circa 110 miliardi nel 2022. Se la tendenza al ribasso dei costi energetici dovesse mantenersi costante potrebbe domare gran parte di questa inflazione. Taluni osservano che proprio la natura dilatoria della spesa assicurata dal Next Generation Eu e del nostro PNRR, contrasterebbe un più rapido rientro dell’inflaziome.
Sta di fatto che dalle decisioni future della BCE dipenderà il peso del costo di finanziamento che graverà sulle imprese in un contesto in cui potrebbe vedersi compromettere ulteriormente la competitività della nostra manifattura, stretta da un lato dai costi e dall’altro dagli intressi passivi e dalla disponibilità di liquidità. Così come da esse dipenderà il peso dei mutui casa a tasso variabile che gravano su moltissime famiglie.
Valutazioni analoghe si prospettano nei confronti dei conti pubblici in quanto con la fine del QE (quantitative easing) della BCE, l’acquisto automatico di titoli del debito pubblico avvenuto lo scorso anno, per ricollocare i propri titoli di Stato il nostro paese dovrà offrire tassi di rendimento più elevati.
Ciò impatterà pesantemente sulla nostra finanza pubblica in termini di maggiori interessi sul debito pubblico, stimabili in circa ben 75-80 miliardi di euro, valore che da solo rappresenta circa il 4% dell’intero prodotto interno lordo nazionale. Una siffatta zavorra sul nostro bilancio pubblico comprometterà la nostra capacità e i nostri margine di spesa.
In un contesto in cui appare altamente improbabile l’inversione di tendenza della politica monetaria della Banca centrale europea, le leve con cui si potranno sostenere domanda aggregata e investimenti passano allora anche attraverso la politica fiscale e di redistribuzione soprattutto in quei settori strategici dai quali scorre la nuova crescita.
Per competere con le aree del mondo più potenti occorrono risorse europee comuni a tutte le filiere produttive e il rafforzamento di un mercato comune delle materie prime. Del resto l’Inflation Reduction Act, il massiccio piano di riduzione della inflazione americana, appena varato da Biden ha da un lato un taglio protezionista, ma dall’altro una forza indubbia di stimolo della competitività e dello slancio produttivo.
Su questo piano anche la UE dovrà proseguire la strutturazione di fondi centrati sulle direttive di sviluppo quali la transizione energetica, ma anche sull’acqua e sul tema della sostenibilità della transizione verso la green economy. Su una tale ipotesi stanno lavorando molti leaders europei e chiosa in particolar modo da giorni il cancelliere tedesco Olaf Scholz.
Sulla importanza di un Recovery Plan II aveva investito del resto gran parte della propria azione Mario Draghi, a braccetto con il Presidente Francese Emmanuel Macron. Impostare un nuovo piano di rilancio tarato su fondi europei potrebbe essere decisivo per sostenere l’area euro e impedire di rimanere compressi dalle altre aree economiche del mondo. La sfida economica globale, al pari delle problematiche che travalicano ormai i perimetri nazionali, deve essere affrontata con uno spirito di cooperazione a tutti i livelli, a partire da un rafforzamento delle istituzioni e della collaborazione europea.