«La restrizione del credito? Guardando i bilanci previsionali delle banche sembra destinata a protrarsi almeno per tutto il 2012». Per ricevere un prestito dunque dobbiamo rassegnarci a lungo a versare tante lacrime (ovvero garanzie) e sangue (tassi elevati). E’ questa la previsione di Lorenzo Gai, ordinario di economia degli intermediari finanziari dell’università di Firenze: una prospettiva davvero poco rassicurante per famiglie e imprese. Ma che fine ha fatto quel fiume di denaro (oltre mille miliardi di euro in due tranche) che la Bce ha riversato sulle banche europee? «La prima tranche è servita prevalentemente a rifinanziare le operazioni a scadenza (leggi bond e simili), la seconda, più recente, potrebbe forse far ricircolare liquidità nell’economia reale». Già, forse. Perché con il sistema bancario l’unica arma possibile è la “moral suasion”, non molto di più. «Non si può pensare di costringere una banca a concedere prestiti, perché si tornerebbe al credito amministrato o alle banche pubbliche». E’ banale, ma anche le Fondazioni bancarie fra i compiti che assegnano ai propri manager «non c’è quello di erogare il denaro per soddisfare le richieste, ma quello di produrre utili».
Ma è proprio vero che questa maxi iniezione di liquidità della Bce è destinata a entrare nei gangli dell’economia reale? Non è trascorsa neanche una settimana da quel 29 febbraio che già cominciano a circolare le prime indiscrezioni da fonti autorevoli come il Wall Street Journal. Secondo il quotidiano finanziario americano le maggiori banche mondiali hanno chiesto in prestito miliardi di euro attraverso le loro unità presenti in Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda con l’obiettivo di ridurre la loro esposizione verso queste filiali, soprattutto in vista di un peggioramento delle economie locali in cui operano, per renderle autosufficienti. Altro che sostenere famiglie e imprese in difficoltà.
Comunque sia, secondo Gai, le attuali condizioni di restrizioni creditizie sono state «un po’ enfatizzate». In realtà i dati dicono che i prestiti sono in «microcontrazione». Fino al 2009 «il monte impieghi bancari aumentava del 7/8%all’anno: oggi è stabile o in lieve declino». A fronte di ciò «anche da parte del sistema imprenditoriale c’è molta reticenza a investire vista la situazione di crisi». Vanno inoltre fatti dei distinguo. Sono soprattutto i grandi istituti che lesinano anche poche migliaia di euro o applicano tassi che sfiorano l’8-9%, prosegue Gai. Quelli che (ricordiamo noi) il 29 febbraio hanno preso ben 139 miliardi al tasso dell’1% per tre anni dall’arsenale anticrisi della Bce: Intesa ne ha chiesti 24, Unicredit 12,5. Le banche più “territoriali” come gli istituti di credito cooperativo invece, «pur avendo importato negli anni passati qualche credito “dubbio”, sono attualmente meno rigide nella concessione di prestiti».
Cosa possono fare in questa situazione Governo, Regione, enti locali? Poco o niente vista anche la scarsità di risorse di cui dispongono. «Si può operare, come già stanno facendo, sul sistema delle garanzie per il credito alle imprese, ma non c’è da aspettarsi alcun miracolo».
Le uniche speranze vengono dalla congiuntura economica internazionale, e dal fatto che la ripresa possa trasferirsi sul nostro sistema economico, conclude il professore. Come dire, o l’economia si aiuta da sola o aiuti dal sistema creditizio ne arriveranno ben pochi.