Economia: a parte gli “zero virgola” in più o in meno il Paese deve rinnovarsi

L’Industria e lo Stato sono al centro della crescita. L’innovazione sarà il “carburante”.

Vediamo come sta la situazione. Non proporrò numeri, già ne circolano a bizzeffe. Correzioni di +0,1% che mandano in visibilio i governanti o di -0,1% che danno fiato alle opposizioni. Il fatto principale è che siamo in un sentiero di crescita biennale modesta. Molto modesta. Siamo ritornati, dopo i rilanci e i recuperi postpandemici, alla solita minestra. L’uno per cento all’anno ridiventa l’obiettivo massimo a cui tendere con una situazione di stasi nella produttività e nei redditi da lavoro che sono sempre di più “causa” ed “effetto” di questa lunga e ineliminabile “bonaccia”.

Tutto fermo quindi. L’unica cosa che  non sta ferma è il debito pubblico che viaggia oramai verso i tremila miliardi spinto inesorabilmente da una cattiva gestione delle entrate e delle spese pubbliche e dall’aumento del “servizio del debito” causato dal rialzo, non ancora esaurito, dei tassi di interesse.

Ma prendiamo una cosa alla volta. Inutile dire che le guerre in atto (quelle distruttive e drammatiche segnate dalle terribili stragi in Ucraina e in Medio Oriente e quelle, meno tragiche dal punto di vista umano ma altrettanto negative per l’economia mondiale, rappresentate dai continui scontri geopolitici fra più o meno grandi potenze) sono deleterie. Non consentono scambi sicuri e prevedibili, non spingono alla cooperazione e limitano lo sfruttamento delle economie da costi comparati. Il mondo si richiude nei blocchi e blocchetti e le filiere produttive globali perdono sostegno. L’aumento della sicurezza delle filiere avviene a scambio di maggiori costi e di minore flessibilità totale.

Senza parlare della maggiore tassa sulla sicurezza: essere sicuri costa di più. E quindi si tolgono l’1% o l’1,5% di pil, che avrebbe potuto andare a spese sociali o di innovazione, per destinarlo a spese militari, a maggiori spese di cybersecurity e ad altre spese dirette a contrastare l’insicurezza da “conflitto”. E’ una cosa che “deve essere fatta” ma di cui avremmo fatto tutti volentieri a meno.

In questo contesto l’interesse per l’economia deve puntare su tre elementi fondamentali.

Il primo, di vitale importanza specialmente per l’italia che è uno dei paesi produttori più rilevanti in Europa, è  lo “stato e la dinamica” dell’industria.

Ci sono due industrie in Italia, anzi tre. La terza è quella “superata”, di cui l’emblema sono le acciaierie di Taranto. E’ un pezzo di industria che deve trovare le risorse finanziarie e imprenditoriali per mantenere una presenza nel paese. Cosa non facile, resa ancora più difficile dalla presenza di uno Stato demagogico che punta a finire legislature senza danni, piuttosto che a creare premesse durature di crescita. E i risultati si vedono.

Poi ci sono due industrie che “lavorano bene” ma su due paradigmi diversi: una punta sulla innovazione e sulla qualità dei processi, sia produttivi che finanziari e  commerciali, l’altra invece che ha fatto tesoro dei bassi livelli salariali dell’Italia e su questo ha mantenuto, grazie ad una imprenditorialità sempre viva e aperta al mondo esterno, una importante quota di mercato. La prima industria ha una buona base per il futuro mentre la seconda è destinata a regredire di fronte da un inevitabile richiesta di innalzamento salariale. La strada dell’innovazione è l’unica che può accompagnare un nuovo sviluppo di questa componente produttiva. Lo Stato farebbe bene a investire risorse su questo obiettivo puntando a risorse umane meglio pagate, più formate e più capaci di fare i conti con i processi innovativi in atto.

Il secondo fattore è il ruolo dello Stato nella gestione delle entrate e delle uscite pubbliche. Il problema non è il tema “deficit”, che è ciò che residua dai  flussi in entrata e in uscita, ma una gestione corretta dei singoli flussi. E quindi, a quel punto, del corretto controllo del deficit. Il deficit dovra’ diminuire dal 4,3% attuale al 3,7% del 2025, al 3,0% del 2026 e quindi al 2,2% del 2027. Si tratta, rispetto al livello attuale, di circa 13 miliardi da “tagliare” nel 2025, di 28 miliardi nel 2026 e di 41 nel 2027. E questo non perché “ce lo chiede l’Europa, ma perché rappresenta una giusta e adeguata politica finanziaria pubblica di un paese credibile a livello internazionale. Senza questa credibilità sarebbe tutto più difficile per lo Stato italiano e per gli italiani.

E’ chiaro che “tagli” del tipo di cui abbiamo parlato sono sostenibili solo se sono il risultato di una diversa, più ordinata e efficiente, gestione dei flussi di entrata e da uscita piuttosto che se risultano da operazioni “finali” rispetto ad un Bilancio dato e immutabile. Il compito di un Governo serio sarebbe quello di rivedere tutto il Bilancio, lo ripeto fatto di entrate ed uscite, e quindi di riordinare il deficit secondo una “buona regola” finanziaria. Appare chiaro che in questa “revisione” dovrebbero prendere quota gli investimenti pubblici, anche grazie ad un flusso PNRR che deve essere considerato sempre meno sostitutivo del vecchio “flusso di investimenti” e deve apparire invece come aggiuntivo. Per avere davvero un paese sempre più infrastrutturato e alla lunga più competitivo.

Il terzo fattore, più trasversale, è l’innovazione tecnologica che va presa sul serio anche perché è da quella che dipende in larga parte la crescita di produttività globale del paese. Siamo in un periodo di grande cambiamento e di flussi continui di applicazioni tecnologiche specifiche e trasversali. Che riguardano i settori produttivi, la pubblica amministrazione, la vita dei cittadini e lo stato e il funzionamento delle infrastrutture. L’Europa più del Mondo, e l’Italia più dell’Europa appaiono più interessate a “regolare” lo sviluppo di queste applicazioni piuttosto che a vederle crescere e a preparare un terreno culturale e sociale per farle sviluppare e diffondere in tutto il sistema. Non che non siano da evitare utilizzi e approcci “distruttivi” della cultura e della coesione umana. Ma altrettanta attenzione sarebbe necessaria per cogliere le potenzialità del “nuovo che avanza”. Quando penso, solo per fare un esempio, che anche grandi imprese di servizi alla cittadinanza insistono sulle oramai “primitive chat amiche”, che ti chiedono di parlare, chiedere e rispondere secondo una loro rigida programmazione e non usano invece l’immenso mondo delle Chatbot che dialogano con i cittadini attraverso il normale linguaggio parlato, tutto ciò mi parla di un paese che purtroppo tarda a rinnovarsi. E che pensa che il tempo non è una variabile poi così importante e decisiva. Faremo, vedremo, per ora andiamo avanti così!

Insomma l’Industria e lo Stato sono al centro dell’economia. E, a parte gli zero virgola in più o meno delle singole componenti nei prossimi tre anni, è dall’andamento di questi due “soggetti” che dipenderà la dinamica del paese. Quella importante, quella che va oltre le sorti di questo o del prossimo governo. L’innovazione sarà il “carburante” di questi due motori. Andare “piano” sarà un dramma per l’intero paese.

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