Ecco perché il mercato scommette contro di noi

Come previsto Standard and Poor’s ha declassato l’Italia, mentre aumenta lo spread tra bund tedeschi e titoli di stato. Il nodo è il debito pubblico

Alessandro Pala

Lo si aspettava da Moody’s mentre invece è arrivato da S&P (due delle tre principali agenzie di rating internazionali): l’Italia perde un livello e scende da A+ ad A. Addirittura, S&P ha fatto sapere che nel giro dei prossimi 18 mesi, sic stantibus, potrebbe esserci un nuovo declassamento. In realtà, nonostante le reazioni sorprese riportate dai media, era una notizia già nell’aria dato che in genere un agenzia di rating impiega 3 mesi per pronunciare il suo verdetto (e S&P aveva indicato un possibile declassamento dell’Italia già a fine maggio), per cui come tempi ci siamo. Probabilmente in ottobre arriverà anche il declassamento di Moody’s (che in realtà ci attribuisce un livello superiore rispetto ad S&P) visto che i problemi dell’Italia sono ormai palesi e ripetuti: bassa crescita, scarsa mobilità del lavoro, politica assolutamente non credibile e soprattutto alto debito pubblico rispetto al Pil. Difficile dare torto a queste “streghe”, quando basterebbe leggere il report completo di S&P sui motivi del declassamento ed annuire costantemente con un sorriso sforzato; fra i motivi  vi è anche la figuraccia fatta durante l’Opa di AirFrance su Alitalia (ricordate?) in cui l’Italia (governo e sindacati) diedero prova di non essere esattamente pronti per il nuovo millennio.

Le agenzie di rating comunque, costituiscono un elemento importante per determinare il  rischio-paese (insieme ai CDS visti la settimana scorsa). Altri due elementi sono da considerare in merito: l’ormai popolarissimo spread e la curva dei rendimenti dei titoli di stato.

Ormai il cosidetto spread è diventato argomento comune alla stregua del calcio o del gossip, lo si sente ovunque: al supermercato, al bar, in discoteca. Ma cosa significa esattamente? Spread infatti, signfica “differenziale”, ossia la differenza che passa fra due valori. Nel nostro caso i due valori sono il Bund tedesco ed i nostri Btp (entrambi Titoli di Stato a 10 anni).

Perchè viene utilizzato il Bund? Semplicemente perchè è considerato il titolo meno rischioso di tutta l’Eurozona (a livello mondiale, si considera il Treasury americano) ed è definito come risk-free (ossia a rischio zero, sebbene questo concetto non sia totalmente vero) poiché il rischio di un default tedesco, e quindi il mancato pagamento del capitale investito nel Bund è talmente remoto che viene considerato pari a zero. Lo spread viaggia di pari passo con la curva dei rendimenti, ossia quella curva matematica che traccia il livello dei rendimenti dei titoli di Stato italiani, partendo da quelli con scadenza a 3 mesi, fino ad andare a quelli con scadenza a 30 anni.

Nello spread viene presa come parametro di riferimento la scadenza a 10 anni poichè è considerata abbastanza lunga per fare proiezioni a lungo termine, ed è meno condizionata dalle notizie di mercato (rispetto per esempio ad un BOT a 3 mesi) e si può meglio definire la possibilità di un paese di dichiarare default o meno. Maggiore è il valore di questo rendimento (per l’Italia ora è all’incirca a 5.7%, mentre quello tedesco è a circa 1.8%) peggio è per il paese che ha emesso questo titolo. Mi spiego meglio: man mano che il rischio di un paese aumenta, gli investitori pian piano evitano di comprare i titoli di quel paese, poichè il rischio di insolvenza diventa sempre maggiore e quindi il rendimento non è piu considerato adeguato. L’unico modo per lo Stato per “piazzare” in ogni caso questi titoli è quindi quello di aumentarne il rendimento, in modo da convincere l’investitore a comprare in ogni caso il Titolo. In questo modo però, si innescano due problemi: il primo è che in questo caso, lo Stato dovrà pagare interessi maggiori (i 5,7% Italiani attuali per esempio) per i titoli “venduti” agli investitori con un conseguente aumento della spesa pubblica che grava come un macigno sul debito (per noi una vera spada di damocle), il secondo è che man mano che questo rischio aumenta, i rendimenti salgono talmente tanto che gli investitori non accettano questi titoli nemmeno per rendimenti veramente elevati (ed è il caso della Grecia), per cui lo Stato non riesce piu a reperire liquidi sul mercato innescando un problema di liquidità.

E’ bene evidenziare questo punto, perché questo è il rischio che più dovrebbe preoccupare l’Italia e non, come erroneamente riportato da moltissimi media, il rischio default. In caso l’Italia dovesse affrontare un problema di liquidità, l’Eurozona potrebbe avere serissimi problemi a concedergli un bail-out(prestito) come già fatto per Grecia, Portogallo ed Irlanda, vista la mole di debito da emettere dell’Italia.

Tutto ciò ci riporta allo spread e chiarisce meglio la situazione: visto che il rendimento dei titoli italiani aumenta, aumenta anche lo spread. Tutto così semplice? Non proprio. Visto che siamo in un periodo in cui la paura sui mercati è assai elevata, gli investitori corrono sempre più verso i cosiddetti beni rifugio: franco svizzero, oro e per l’appunto bund tedesco. Per cui gli investitori non solo “scappano” dai titoli di stato italiani, ma comprano titoli di stato tedeschi (nonostante abbiano rendimenti netti al tasso dell’inflazione addirittura negativi); questo significa che la curva dei rendimenti dei Bund scende, per cui si allarga anche in questo caso lo spread. Pure ipotizzando che i rendimenti italiani rimangano stabili, assisteremmo in ogni caso all’aumento dello Spread.

Tutto questo, significa che lo spread è spesso un indicatore assai incompleto e in alcuni casi fuorviante: se domani il rendimento tedesco scendesse di 10 punti, mentre quello italiano “solo” di 5 punti, assisteremmo ad un aumento dello Spread di 5 punti nonostante si sia verificato un calo dei rendimenti dei titoli italiani (che è quello che vorremmo sempre vedere attualmente).  Trovo per cui sbagliato ragionare sullo Spread come un parametro isolato,ma dovrebbe essere sempre accompagnato dall’effettivo rendimento dei titoli di stato.

Per cui ora abbiamo un panorama piuttosto completo, i CDS, i rendimenti dei titoli di Stato, lo spread e le agenzie di rating, sono tutti parte di un puzzle che contribuisce a determinare il rischio di un paese di andare in default.

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