Ecco come ricordo il giudice Paolo Borsellino

Firenze – “Verità non vendetta. Le risposte che mancano”. E’ questo il titolo di una delle tante manifestazioni per ricordare un servitore dello Stato. E’ passato poco meno di un quarto di secolo e restano tante domande a cui non sono mai arrivate le giuste risposte. Il sacrificio di un uomo, un giudice, una storia di legalità. Ventiquattro anni trascorsi da quel 19 luglio del 1992 . Il giudice Paolo Borsellino era andato in Via D’Amelio a Palermo a prendere la sua mamma per accompagnarla dal medico. Alle 16,58  una fortissima esplosione uccide persone, abbatte case, fa saltare in aria auto.

Tutto per uccidere un simbolo della lotta alla mafia. Ho avuto il privilegio di intervistare il giudice Paolo Borsellino per un quotidiano regionale agli inizi degli anni 90. Dalla Procura di Marsala stava per tornare a Palermo. Oggi, come spesso mi è capitato da quando non c’è più e sento parlare di lui, risento la sua voce. Quel tono pacato con cui riusciva a pronunciare piccole e grandi verità.

Fui diretto quella volta. Gli chiesi se aveva paura di tornare a Palermo. La sua risposta fu onesta e sincera, come lo è stata la sua straordinaria vita. Mi disse di si. Che la paura era un sentimento umano.” E’ normale che esista la paura, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un ostacolo che impedisce di andare avanti”.

E’ un episodio che mi ha segnato perché ci è capitato tanto volte di avere paura ma è difficile immaginare che un uomo come Paolo Borsellino, nonostante la paura continuava la sua battaglia contro il male. Un’intervista tra quelle che non dimenticherò mai nella mia esistenza. Incancellabile. Piena di vita, anche se annunciava la morte.

Le sue parole non possono e non devono essere dimenticate:Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”.

La paura forse per Paolo Borsellino era anche la quasi certezza che l’avrebbero eliminato: “Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”.

Vivere e lottare sapendo che il destino era segnato. Ventiquattro anni dopo ancora ci sono misteri che non sono risolti, legati alla morte di Paolo Borsellino e che mai si risolveranno.

Una strage difficile da dimenticare. Persero la vita oltre al giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta, Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli.
La mafia aveva ucciso Falcone dopo Borsellino.

Ma noi in questa ricorrenza, in questo giorno di riflessione non possiamo non trovare il senso della speranza. La voglia di pensare che come diceva Paolo Borsellino “la Sicilia un giorno sarà bellissima”.

C’è un’altra intervista che mi porto dentro. Quella fatta al giudice Antonino Caponnetto Capo del Pool Antimafia. Mi piacevano tantissimo i messaggi che era capace di lanciare ai giovani: “Ragazzi godetevi la vita, innamoratevi, siate felici ma diventate partigiani di questa nuova resistenza, la resistenza dei valori, la resistenza degli ideali. Non abbiate mai paura di pensare, di denunciare e di agire da uomini liberi e consapevoli”.

Ma sulla tragica uccisione del giudice Borsellino aveva fatto dichiarazioni molto precise. Cercato risposte che non sono arrivate: “Ancora oggi aspetto di sapere chi fosse il funzionario responsabile della sicurezza di Paolo, se si sia proceduto disciplinarmente nei suoi confronti e con quali conseguenze”.

Se potessi incontrare ancora Paolo Borsellino mi piacerebbe chiedergli cosa pensa della Sicilia di oggi, delle sue contraddizioni, dei silenzi, delle eccellenze, dei giovani costretti a scappare al nord o all’estero. Di tutto quello che non funziona e di quello che la nostra Sicilia potrebbe essere. Ma non posso chiederglielo. Perché non c’è più. E non avremmo mai voluto celebrare questa e tante altre ricorrenze. Ma siamo consapevoli che è il tempo di andare oltre le parole, occorrono gesti concreti, risposte, verità. Già verità… troppo nascoste…Verità sepolte, come un giudice onesto.

 

 

 

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