Firenze – Non si tratta solo del taglio al personale, delle condizioni di lavoro, della solita (purtroppo) rivendicazione di lavoratori che sono messi alle strette da contratti a termine rinnovati per quanto rinnovabili e poi, fine. Con vari pretesti: secondo quanto spiegano i giovanissimi operatori che hanno messo in piazza il disagio di chi lavora a Eataly, si parte dal “non corrispondere alla tipologia” adeguata all’azienda (?) al non avere rispettato i termini del comportamento, alla contrazione del numero dei clienti. Ma oltre a questo, che già sarebbe un motivo molto serio, c’è qualcos’altro.
Il qualcos’altro, spiegano con l’amarezza nella voce i ragazzi, è l’averci creduto. A cosa? Al fatto che Eataly, la perla di Farinetti sulla carta e nelle dichiarazioni del patron, non sia affatto ciò che dice d’essere. Vale a dire, un esperimento positivo di rispetto, armonia, lungimiranza per lavoratori e servizi offerti. Dal Manifesto dell’Armonia alle qualità che si pretendono dal personale, tutto insomma quel coacervo o quel sistema, che dir si voglia, di tradizione e modernità, relazioni e partecipazione, cordialità e professionalità che deve o avrebbe dovuto contraddistinguere Eataly. E che invece, secondo i lavoratori oggi protagonisti del presidio di via Martelli, non corrisponde affatto alla realtà.
Sogno infranto? Non esageriamo. Ma neanche la solita rivendicazione del lavoro contro il profitto. Ciò che muore o rischia di morire, in questo primo in assoluto “sciopero vero” dei lavoratori contro Eataly, è la possiblità che nel nuovo, nello sviluppo di un nuovo modo di gestire la crisi e la produzione, ci posssa rientrare anche un “nuovo modo” di rispettare e trattare i lavoratori.
Del resto, ciò che esce dalle porte patinate di Eataly sono situazioni perlomeno imbarazzanti: per esempio, l’impossibilità di creare una rappresentanza sindacale, messa su piatto anche dalla Cgil che in questo momento sta ancora cercando un confronto con l’azienda ma che non risparmia una dura presa di posizione; i turni di lavoro sempre più massacranti, il dimezzamento del numero di persone che lavoravano nel punto fiorentino e che erano anche il risultato di un riassorbimento dei dipendenti della precedente, storica libreria. Viene da chiedere in quanti, dopo aver perso il lavoro di libraio, abbiano perso quello da cuoco o da “servizio ai tavoli”.