E’ stato Ciprì a portare Servillo in Sicilia

Convince il film di Ciprì senza Maresco, con un inedito e convincente Toni Servillo siculo

Una scena del film

Daniele Ciprì senza Franco Maresco? Ebbene si. La coppia di registi e documentaristi siciliani (le cui ultime fatiche erano state Il ritorno di Cagliostro del 2003 e Come inguaiammo il cinema italiano – La vera storia di Franco e Ciccio del 2004) si divide momentaneamente per permettere ad uno dei suoi due eclettici esponenti di adattare e dirigere da solo un progetto interessante e relativamente più “commerciale”. Il risultato è questo bellissimo esempio di nuovo cinema italiano dal titolo E’ stato il figlio, tratto dal romanzo omonimo di Roberto Alajmo e presentato (nonché ben accolto) all’ultimo Festival di Venezia.

Sullo sfondo di una povera periferia palermitana degli anni 70 si sviluppa la singolare vicenda della famiglia Ciraulo la quale, colpita da un aberrante omicidio di mafia, si risolleva dalla tragedia cominciando a vivere una vita più agiata grazie alla promessa di un lauto indennizzo che lo Stato dovrebbe concederle per coprire la perdita subita. La narrazione procede con sapienza, oscillando dai toni grotteschi tipici di Ciprì (e Maresco) al realismo del dramma di provincia. Protagonista, un Toni Servillo camaleonticamente siculizzato (nella gestualità come nel dialetto), padre di famiglia severo e credibile dal volto perennemente insoddisfatto. E’ lui a recitare la parte del leone. Almeno fino agli ultimi minuti del film, durante i quali è chiaro che la corona della miglior performance viene strappata a sorpresa dalla bravissima Aurora Quattrocchi.

Una pellicola di rara bellezza e intensità drammaturgica. Da guardare e apprezzare anche senza i (parziali) sottotitoli.

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