“Noi amiamo la morte come i nostri nemici amano la vita”. Era uno degli slogan preferiti di Ismail Haniyeh, che nei meme filoisraeliani è già stato ribattezzato, da morto, WASmail Haniyeh e ha alla fine coronato il sogno della sua vita: diventare un martire. L’uomo non era uno stinco di santo, tutt’altro. Era il capo di Hamas, l’organizzazione politico-militare, che per anni ha governato col pugno di ferro Gaza (oggi il partito palestinese di ispirazione islamista è a brandelli dopo 11 mesi di guerra) ed è considerata un movimento terroristico da gran parte dei Paesi democratici al mondo.
Haniyeh viveva da anni in un esilio dorato a Doha, in Qatar. Gli è stato fatale il legame a doppio filo con l’Iran, “l’hub del terrore”, come ha giustamente definito il regime degli ayatollah anche l’eurodeputata Pd Pina Picierno. Haniyeh ha accettato l’invito a partecipare all’insediamento del nuovo presidente iraniano Pezeshkian ed è proprio lì che il Mossad lo ha aspettato e colpito, pare con due missili terra-terra sparati da chissà dove, probabilmente da una zona imprecisata dell’Iran stesso. Se al mondo ora c’è un politico bombarolo ed estremista in meno, non facciamo i salti di gioia ma non abbiamo neanche motivi di dolercene più di tanto.
Il problema però è che l’escalation in Medio-Oriente è in atto. Gli Israeliani hanno reagito al massacro di bimbi drusi nel campetto da calcio di Majdal Shams nel modo più duro possibile. Hanno prima bombardato un popoloso quartiere di Beirut dove si nascondeva il numero due di Hezbollah, Fuad Shukr, ammazzandolo. E subito dopo hanno fatto strike mandando al Creatore il numero uno di Hamas, colui che andava in tv a proclamare che la Palestina aveva bisogno del sangue dei suoi vecchi, donne e bambini perché il loro “martirio” avrebbe “acceso nel popolo palestinese il fuoco dello spirito rivoluzionario”. Insomma, un incendiario che ha finito la sua vita terrena incendiato.
La cinica sbruffonata di farsi riprendere ridacchiando mentre guardava le immagini dei massacri nei kibbutz del 7 ottobre non ha portato bene ad Haniyeh. Né a lui né ai suoi tre figli, che quattro mesi fa Israele aveva ucciso con un altro attacco missilistico a Gaza. In generale, va detto che fare la guerra a Israele non è mai una buona idea. Ora l’ayatollah Khamenei, il grande burattinaio che finanzia, arma e tira le fila di tutti i movimenti terroristici del Medio-Oriente, per lavare l’onta di non essere stato capace di proteggere l’incolumità del suo alleato e ospite palestinese ha promesso “un grande attacco diretto contro Israele”.
Netanyau, un altro che di cose da farsi perdonare ne ha parecchie (ma non accettiamo nessuna equazione tra lui e le marionette libanesi, houti, palestinesi, siriane, irachene e palestinesi di Teheran) se c’è da menare le mani non si tira certo indietro. Insomma la situazione è decisamente brutta ed è destinata a peggiorare, l’antisemitismo dilaga in Europa e il confronto militare diretto tra Israele e la teocrazia islamica iraniana sembra proprio alle porte.
Nel frattempo, mentre in Ucraina gli F-16 sono arrivati sui campi di battaglia e Putin continua a fare sparire prigionieri politici nelle carceri siberiane, è esplosa un’altra gravissima crisi in Venezuela. Perfino i sassi hanno capito che Maduro, altro amicone di Putin, ha truccato sfacciatamente l’esito delle elezioni. Milioni di Venezuelani sfilano da giorni nelle piazze, sfidando le pallottole della polizia chavista, e abbattono le statue del defunto dittatore Chavez. In Italia l’ennesima tragedia che colpisce lo sfortunato popolo latino-americano non provoca reazioni. Men che meno le provoca a Reggio Emilia, dove i nostri campioni per i diritti umani, sempre pronti a rilasciare dichiarazioni roboanti e a mobilitarsi su tutto, sul dramma del Venezuela tacciono.
Forse perché i leader chavisti, nababbi che vivono nel lusso mentre il popolo fa letteralmente la fame, amano riempirsi la bocca di slogan pseudorivoluzionari e antiamericani, che a Reggio riscuotono sempre un alto indice di gradimento. In compenso però sui social degli esponenti della sinistra radicale reggiana l’indignazione contro Israele, bollato senza troppi giri di parole come “stato criminale”, è subito eruttata. E’ vero, la sinistra radicale a Reggio è composta da partitini e associazioni dalla scarsissima consistenza numerica. Ma è comunque sorprendente la loro capacità di influenzare l’orientamento politico sia del Comune che del PD.
C’è mancato un pelo che Reggio avesse un “assessore alla pace” che solo pochi giorni fa protestava contro la presenza degli atleti israeliani ai Giochi Olimpici e invocava una presunta par condicio con gli atleti russi, esclusi (doverosamente aggiungiamo noi) dalle Olimpiadi. Non dovrebbe essere troppo complicato per nessuno, a maggior ragione neppure per un aspirante assessore, capire che in Ucraina è la Russia il Paese aggressore e che a Gaza non ci sarebbe nessuna guerra, se il 7 ottobre Hamas non avesse invaso i kibbutz massacrando a sangue freddo 1.200 civili e rapito centinaia di ostaggi, che in gran parte oggi tornano a casa nelle bare.
Così la propensione del Pd reggiano a trazione Schlein a non avere nemici a sinistra e l’irenismo di maniera dei cattodem alla Marco Tarquinio e alla Graziano Delrio diventano un lasciapassare per le posizioni più estremistiche, che in un attimo rischiano di trasferirsi da Casa Bettola a Piazza Prampolini. Cosa fare allora per richiudere il vaso di Pandora del Medio Oriente? Beh, non chiedetelo a noi di thedotcultura – 7per24: se Israeliani e Arabi si scannano da 80 anni non abbiamo certo noi la formula magica della pace. Di sicuro però sappiamo che il massacro dei kibbutz del 7 ottobre organizzato dall’Iran e realizzato da Hamas ha allontanato sine die la firma degli Accordi di Abramo che avrebbero sancito la storica pace tra Israele e Arabia Saudita. Sappiamo che Israele ha il diritto di difendersi, ma dovrebbe farlo sempre nel rispetto del diritto internazionale. Soprattutto, di certo il tifo nascosto e palese per una banda di fanatici tagliagole come Hamas, che gli antisemiti nostrani manifestano a ogni tintinnar di sciabole, produce l’unico risultato di esacerbare e prolungare la sofferenza dei popoli di quella martoriata terra.