Dopo Sassuolo: Sousa, Montella e la geniale normalità

Firenze – Al Sassuolo in partenza mancavano cinque titolari: Missiroli, Berardi, Duncan, Politano e Biondini. In corso di partita sono mancati per infortunio anche Gazzola e Magnanelli, e nel finale è rimasto in campo per onor di firma un Cannavaro zoppo e frastornato. Al derelitto Palermo, nella partita precedente, di titolari ne mancavano otto. Con questi avversari deboli e dimezzati la Viola ha ottenuto in casa, sfatando la “maledizione” del Franchi, due risicatissimi e fortunosi 2-1, che agli occhi di Sousa naturalmente sono apparsi come la conferma della continua “crescita” della squadra e come l’ennesimo test psicologico, andato a buon fine, sulla “convinzione” dei giocatori nel “lavoro” e nel gioco praticato.

Non discuto sulla convinzione e la dedizione alla causa della squadra, anche se non riesco a capire cosa dovrebbero fare i giocatori per dimostrare di non essere convinti. Rifiutarsi di scendere in campo? Fare un autogol a partita? Scansarsi quando gli arriva palla? Sousa ha la grande virtù del guru: su tutto quello che dice non c’è possibilità di smentita, ma il contenuto informativo dei suoi proferimenti è pressoché zero. Quando ripete fino all’ossessione di credere nel lavoro, in cosa si differenzia da TUTTI gli altri? Di Francesco ieri ha perso perché credo meno nel lavoro e perché, a differenza di Sousa, “non vuole vincere”?

E poi mai che Sousa parli concretamente degli obiettivi e dei risultati di quel lavoro. Io, se commissiono un lavoro, non pago per quanto ha lavorato il falegname o l’idraulico, ma solo se soddisfatto del restauro di un mobile o per aver sanato la perdita di un rubinetto. Anche il conto è importante: quanto mi è costato, quanto mi sarebbe costato, a parità di esito, se quel lavoro lo avessi commissionato a un altro. Ieri sera la sequenza dei posticipi in TV ci ha fatto confrontare due “lavoratori” diversi: Sousa alla Fiorentina e Montella al Milan.

E non sarebbe male partire dal considerare le rispettive difficoltà del lavoro. Sousa ha ereditato lo scorso anno una squadra fatta e vincente, che aveva gioco e giocatori di prim’ordine, ai quali si aggiunsero, tra i titolari, gli ottimi Kalinic e Astori. Montella riprese a gennaio un Milan allo sfascio, al quale non ha potuto aggiungere nulla in campagna acquisti per la situazione societaria che non glielo ha permesso (rispetto all’organico da bassa classifica dello scorso campionato, Montella quest’anno ha in meno Boateng, Abbiati, Alex, Balotelli, Menez, Mauri e Nocerino e ha in più i soli Lapadula, Suso rientrato dal prestito al Genoa, e un paio di riserve.

Le rose delle due squadre, confrontate da vicino ieri, in impegni tra l’altro di ben diversa difficoltà, non lasciavano dubbi su quale preferire. Oltretutto il Milan giocava senza l’intero centrocampo titolare (mancavano Kucka, Montolivo e Bonaventura), ma il suo gioco (e dunque il vero frutto del lavoro) è sembrato incomparabilmente migliore: il gioco di una squadra equilibrata e duttile ma anche spregiudicata, votata a un 4-3-3 che Montella non aveva mai giocato prima ma che è evidentemente l’interpretazione migliore delle qualità (non eccelse) dei suoi giocatori.

La Roma è stata a lungo in balia degli accorgimenti tattici di Montella, alla fine tradito soltanto da un calcio di rigore sbagliato. La Fiorentina, dall’altra parte, nonostante che il lavoro di Sousa duri monotonamente da un anno e mezzo, è sembrata la solita squadra sgangherata e velleitaria, coi reparti lontani che non si muovono mai in armonia, senza continuità, fragile in difesa, con diversi giocatori che non sono impiegati al meglio delle loro possibilità, alla fine salvata dalle solite prodezze individuali (ieri Ilicic o Bernardeschi, oggi Kalinic).

L’unica cosa che accomuna i due “lavoratori” è la valorizzazione dei giovani. Certo, ne sta valorizzando molti di più Montella, ma forse solo per l’indigenza della rosa. Sousa sta invece valorizzando alla grande Chiesa (qualcuno potrebbe insinuare perché il suo pupillo Tello è talmente scarso da non apparire neanche a lui preferibile a un imberbe “primavera”). Ma per quanto riguarda il gioco? Dobbiamo essere contenti? E dobbiamo applaudire il “lavoratore” per il suo “calcio creativo” che lo consiglia, sul 2-0, di far entrare Tello al posto di Ilicic, di allargare ulteriormente una squadra già troppo (e inutilmente) larga, di regalare il centrocampo agli avversari e di rischiare di pareggiare una partita contro dieci?

Sousa continua a volerci stupire con effetti speciali. Ha coniato il 3-4-2-1 e il 3-2-3-2; ha fatto giocare giocatori (su tutti Berna, Borja e Badelj) in ruoli che non sono i loro (ma “per il bene della squadra”, che peraltro non mi è mai parsa in emergenza); ha fatto tutto quello che non fanno gli altri e soprattutto quello che non faceva Montella prima di lui. Soprattutto immola il gioco (e il buon senso) a quel centrocampo a due che è il suo marchio di fabbrica. Mi sembra rilevante osservare che ieri, per esempio, Badelj, il migliore in campo in assoluto, se non fosse stato infortunato Borja, sarebbe andato in panchina come tante altre volte, o lui o Vecino.

Io continuo a rimpiangere Montella e la sua geniale normalità. Sì, perché per essere normali ci vuole più genio che ad essere speciali. Gli speciali basta che siano diversi e che concentrino l’attenzione dei gonzi sulla loro diversità. E se poi qualcuno ha dei dubbi che la diversità sia un valore in sé, peggio per lui.

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