Dopo Dad, l’analisi degli studenti che rifonda la scuola

Firenze – Scuole azienda, spazi mancanti, mancanza di comunicazione. E soprattutto, ripristino della centralità dello studente dentro il sistema scuola. Sono questi, in sintesi, alcune delle criticità più forti che emergono dalla mobilitazione studentesca delle ultime settimane, con l’appendice delle violenze con cui alcune manifestazioni sono state represse. Ma ciò che emerge, dopo le ultime, disciplinate manifestazioni, è che gli studenti, in particolare quelli medi, non ci stanno a una narazione che li vedrebbe  semplici portatori di disordini. Tant’è vero che i manifesti redatti per l’occasione dalle varie scuole dopo i giorni delle occupazioni e al netto delle proteste per “l’ultimo scherzo”, come definiscono la prospettiva di riaffacciarsi, al termine di due anni di Dad, a una prova di maturità concepita come se nulla fosse successo prima, sono portatori di qualcosa che si evidenzia come una vera e propria piattaforma per la rifondazione di una scuola che ripristini la sua funzione educativa e formativa. Prima di essere azienda, nel senso di “macchina da profitto”.

L’evidenza di questa maturità di riflessione è messa in luce dall’incontro con due studentesse del liceo Galileo di Firenze, uno dei fiori all’occhiello della formazione cittadina, che tuttavia è stato uno degli istituti in cui, secondo quanto raccontano le studentesse, si è verificato una sorta di confronto “simbolo” fra studenti e istituzione. Vale a dire, dove più faticoso è stato il canale comunicativo fra i due protagonisti della vita scolastica, dirigenza e studenti.

“I problemi della scuola in generale – dice Ginevra – sono pregressi, e riguardano alcuni punti che con il dilagare della pandemia e l’entrata di Dad sono espolosi. Il problema degli spazi è stato evidente da subito, dopo il primo lockdown: per riuscire a tornare a scuola in sicurezza sono stati “requisiti” tutti gli spazi possibili, persino, per un periodo, le palestre, a cominciare dalla biblioteca e naturalmente dall’aula autogestita”.

Una criticità preesistente che naturalmente è esplosa con il Covid. “Per questo si chiede che la scuola accolga un numero di studenti consono agli spazi, in modo da non smembrare classi, rispettare da un lato i distanziamento ma dall’altro mantenere quegli spazi necessari per le attività proposte da noi”.

La mancanza di comunicazione è l’altro grande vulnus. “Mancanza di comunicazione che si traduce in un grande caos – continua Ginevra – da un lato, comunicazione vera e propria dele modalità, con cambiamenti in corso anche repentini, a distanza di poche ore, che mettono in crisi qualsiasi organizzazione della propria vita personale ma anche scolastica. Sapere che si va in Dad, poi che si torna in presenza, poi che di nuovo invece le lezioni sono sospese, crea smarrimento e  ansia. Ci giungono circolari spesso incomprensibili e contraddittorie, che portano confusione e poca chiarezza sia a livello degli studenti, che del personale docente.  Ciò che chiediamo è una comunicazione chiara e uiforme, per quanto riguarda tutte le tematiche, per non lasciare ambiguità sul terreno che spesso ci vengono ritorte contro”.

Da questo, si giunge a un secondo livello, vale a dire, l’ascolto. Il problema dell’ascolto è forte: si rimbalza spesso su regole prefissate, che parlano esclusivamente di risultati da conseguire, di programmi da ultimare. Ma le necessità degli studenti-persone? Eppure, sono proprio gli studenti a rendere la scuola qualcosa di diverso, rispetto a un mero contenitore che emette regole da seguire, e se non le rispetti (regole confuse e contraddittorie) sei “fuori”. Fuori, in che senso? Fuori dalla scuola? Fuori di testa? Ma chi è “fuori”?

Forse, il vero problema che sta emergendo in questi giorni, è che dopo due anni di Dad la scuola si scopre impreparata a tornare alla “normalità”. Forse, il probema è che, senza la presenza, si è dimenticata degli studenti-persone. Se normalità si può chiamare quella che vede il ritorno a spizzichi e bocconi delle lezioni in presenza, come sottolinea Margherita: “Credo che a nessuno interessi, oppure nessuno comprenda realmente, cosa ci è toccato in sorte. Torniamo finalmente in presenza, una presenza a turni ovviamente, e ci si scarica addosso una maturità pensata per la scuola normale. Allora, ci si chiede: perché tutti fanno finta che non sia successo nulla?”.

Se questa è la nota più dolente delle ultime ore, tuttavia, nessuno scorda il problema dell’aziendalizzazione della scuola, che porta dritti dritti a quello che, almeno secondo i sindacati, come espresso ieri dalla Fiom Cgil, si è rivelato un vero flop, ovvero l’alternanza scuola-lavoro. Il motivo: ci si inserisce in un sistema che porta a un lavoro sfruttato e senza tutele, con una sicurezza precaria, come ha dimostrato l’incidente mortale dello studente di Udine.

Se tutto ciò può apparire eterogeneo, tuttavia, quando messe a sistema, tutte le criticità espresse si trasformano e si sono trasformate in un grande progetto alternativo sulla concezione stessa di scuola. Insomma gli studenti a valle della Dad, mettono nero su bianco proposte e riflessioni che indicano in modo chiaro come la scuola dovrebbe essere rifondata, stoppando il tentativo di continuare come se “non fosse successo nulla”. O peggio, dimenticandosi di loro.

Il manifesto del Galileo, che è stato redatto, come raccontano Margherita e Ginevra, anche dando un occhio a quelli delle altre scuole, raccoglie sia problemi dell’istituto (che tuttavia, come spazi e comunicazione, sembrano molto diffusi nella stragrande maggioranza dei casi) che un’analisi generale. Con un’aggiunta, per quanto riguarda i problemi specifici della scuola, vale a dire, le proposte.

Tirando le fila: mancanza di volontà politica nell’investire sulla scuola pubblica italiana, trasformata da luogo di formazione di cittadinanza consapevole e attiva capace di pensiero critico, in un mero luogo in cui si plasma la figura del lavoratore-consumatore in nome della logica dell’economismo imperante, accusa della Dad come metodo di fatto negatore del diritto allo studio, e negazione della sua attuazione come metodo alternativo o parallelo alla didattica in presenza, segnalazione della perdita di centralità della figura dello studente nella scuola con conseguente perdita d’importanza della salute psicofisica dello stesso.

Inoltre, sul grande tema della sessualità, parità di genere e rispetto delle differenze, gli studenti aprono un enorme capitolo ancora inevaso nell’intera storia della scuola italiana. E che sembra rimarrà ancora inevaso, se sono state avanzate proposte da parte del corpo docente di cambiare il nome, da educazione sessuale a educazone alla corporeità, a un corso che si vorrebbe tradurre in materia di studio, non relegato a qualche ora nel pomeriggio.

Giungendo alla fine, ecco cosa dicono le nostre studentesse dell’esperienza occupazione (al Galileo è durata 5 giorni, ha visto un calendario ricco di dibattiti, cineforum e confronti, l’edificio è stato restituito in ottime condizioni): “E’ stata un’esperienza che ci ha fatto riscoprire la modalità del collettivo, del senso della cooperazione, e dell’appartenenza alla scuola”. E forse anche quella consapevolezza di “contare”, di non essere semplici numeri di matricole, all’interno di un sistema scolastico che oppone “barriere burocratiche e muri di gomma” a qualsiasi bisogno espresso da quello che si scopre protagonista principale del sistema, ovvero, ciò che un tempo si chiamava il “corpo studenti”.

 

 

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