Firenze – Le donne all’ombra dell’ Encyclopédie: un nuovo e coinvolgente libro di Claudio Guidi , di agevole lettura e, al tempo stesso, frutto di un’approfondita ricerca su aspetti poco conosciuti del Settecento francese. Nel quinto volume delle sue opere dedicate ai protagonisti di questo secolo così denso di eventi politici e di stimoli culturali, l’autore porta alla ribalta donne legate a intellettuali come Diderot, Helvétius, Rousseau che finora sono state considerate solo in modo marginale ma che talora hanno svolto un ruolo di rilievo (con connotati ambivalenti) nella vita dei loro compagni.
Ma questo saggio va oltre perché rappresenta un grande affresco del periodo della Reggenza, del regno di Luigi XV e di Luigi XVI con rivelazioni inedite e con una ricostruzione storica basata su fonti dell’epoca. Tra le rivelazioni di questo volume quella di uno degli ultimi scritti di Voltaire nel quale definisce Jean Paul Marat “un Arlecchino che fa capriole per divertire la platea”, un’ affermazione che, se non fosse morto poco tempo dopo, gli sarebbe costata molto cara.
Cerchiamo di cogliere insieme all’autore alcuni aspetti di fondo di questo lavoro.
Perché era per una donna particolarmente difficile condividere la vita di un filosofo illuminista?
Il problema riguarda soprattutto Diderot e Rousseau, poiché d’Alembert non si è mai sposato e Voltaire ha solo convissuto con due donne, Mme du Châtelet, un personaggio di incredibile cultura, traduttrice peraltro dei Principia di Newton, poi sempre maritalmente con la nipote Mme Denis. In entrambi i casi è stato cornificato, ma non se l’è mai presa troppo, definendosi un “cornuto contento”. Riguardo ai due personaggi citati prima, la difficoltà di convivenza va compresa tenendo conto dell’abisso culturale esistente tra i due componenti della coppia. Diderot e Rousseau si innamorano di due donne molto belle, l’una sarta e l’altra lavandaia, quando sono ancora giovani e sconosciuti. Non per obiettiva colpa loro, Nanette e Thérèse non saranno mai in grado di rendersi conto della statura geniale dei loro uomini,.
Per d’Alembert la cosa migliore per un filosofo o uno scienziato è quella di non sposarsi, anche con una donna intellettualmente di rilievo, poiché gli obblighi familiari possono solo essere di ostacolo ad un lavoro che richiede riflessioni profonde, da non turbare con le banalità della vita.
Queste vicende sono anche l’occasione per un affresco della società francese nel XVIII secolo
In effetti a parte i casi considerati, che riguardano due donne di bassissima estrazione sociale, il Settecento francese offre una galleria incredibilmente vasta di personaggi femminili, soprattutto tra i ranghi della nascente borghesia, dotati di un’intelligenza e di una cultura così vaste da farle competere sullo stesso piano con i grandi protagonisti di quel secolo. Non è un caso che le regine dei salotti parigini frequentati da tutta l’intellettualità di quel secolo rispondono ai nomi di Mme du Deffand, Mme de Tencin e soprattutto Mme Geoffrin, che corrisponderà a lungo in toni amichevoli con la zarina Caterina II di Russia.
Va aggiunto che le donne di quel secolo, appartenenti ovviamente all’aristocrazia e all’alta borghesia, godono di una libertà di costumi che ancora oggi fa spalancare gli occhi dalla meraviglia, poiché non esitano a rendere la pariglia ai mariti prendendosi tutti gli amanti che vogliono, e guadagnandosi ammirazione, invece di disprezzo.
Lei si sofferma su alcuni aspetti particolari come la tortura, le cortigiane veneziane di Rousseau, la vita disinvolta in alcuni conventi…
La tortura è la macchia indelebile del Settecento francese fin quasi allo scoppio della rivoluzione del 1789 e ad esserne colpiti sono in modo particolare tutti quelli che in un modo o nell’altro mancano di rispetto alla religione. A Tolosa nel 1762 il protestante Jean Calas viene orribilmente torturato sulla ruota, poi arso sul rogo con l’accusa del tutto infondata di avere ammazzato il figlio, per impedirgli di convertirsi al cattolicesimo. Ci vorranno l’impegno e l’energia di Voltaire per riabilitare la sua memoria con una battaglia prodigiosa e con un coraggio e sprezzo del pericolo tali da suscitare l’ammirazione sconfinata di tutta Europa.
Un altro particolare precipuo del Settecento è l’enorme diffusione del fenomeno della prostituzione, una professione alla quale a Parigi si dedica una donna ogni diciotto abitanti, anche se a Venezia le cose vanno apparentemente ancora peggio, poiché secondo la testimonianza di un viaggiatore francese il numero delle prostitute è doppio che nella capitale francese. Anche il giovane Rousseau, che pure non ama gli amori mercenari, proprio a Venezia non riesce a sottrarsi a questa tentazione,
Quanto alla vita spesso allegra che si conduceva in molti conventi francesi, ne abbiamo una testimonianza diretta dalla madre di d’Alembert, che c’era stata parecchi anni prima di rinunciare ai voti. Del resto anche Diderot nella sua Religieuse ha lasciato una descrizione per molti versi allucinante di quanto vi succedeva.
M.me de Tencin… un personaggio straordinario…
A questa madre “bella e scellerata” di d’Alembert, come la definisce giustamente Diderot, è dedicato un lungo capitolo del libro, poiché il personaggio è per molti aspetti titanico, anche se spesso repellente sul piano umano. Basti solo dire che, una volta messo al mondo il figlio ed averlo abbandonato in un brefotrofio, si è in seguito sempre rifiutata di vederlo, anche quando d’Alembert era diventato uno degli intellettuali più famosi d’Europa.. Rimane il fatto che questa donna libertina, ha compiuto un percorso incredibile, riuscì a far diventare cardinale il fratello ed a corrispondere intensamente con Papa Lambertini, che ne piangerà la morte. Fa anche spalancare le porte dell’Académie Française all’amico Marivaux, spiana la strada verso il letto di Luigi XV a Mme de Pompadour e diventa una scrittrice di successo, con tre romanzi che suscitano l’ammirazione dei contemporanei.
Perché la vita di corte nel Settecento era fatta soprattutto di intrighi?
La causa di questo comportamento va vista nella peculiarità della vita condotta nella reggia di Versailles, dove tutti i mezzi erano leciti per conquistarsi il favore di Luigi XV, che ha regnato per quasi sessant’anni dal 1715 al 1774. A favorire questo comportamento è la struttura di potere dell’Ancien Régime, nel quale tutto dipende dal favore del sovrano, che può essere facilmente mutevole e precipitare chiunque nella disgrazia da un momento all’altro. Da qui la corsa sfrenata di tutti i personaggi più ambiziosi per procurarsi benemerenze, elargizioni, cariche e vantaggi di ogni tipo,. Non è che con il bisnonno di Luigi XV le cose nel secolo precedente fossero molto diverse, ma il Re Sole aveva una personalità fortemente dispotica, per non dire tirannica, ed era dunque difficilmente influenzabile ed in ogni caso per nulla manovrabile.
E ci furono due donne che dettero una lezione d’umiltà a Napoleone….
Domanda quanto mai opportuna, che consente di evidenziare ancora una volta la straordinaria natura e l’indomito coraggio di alcune di quelle grandi donne vissute in quel secolo per tanti versi incomparabile e irripetibile. L’occasione è buona per spendere qualche parola su Mme Helvétius, bella e intelligente moglie del grande filosofo, perseguitato dall’Ancien Régime e morto assai prematuramente. Nella sua casa di Auteil, alle porte di Parigi, riceverà non pochi esponenti di notevole rilievo e fautori del grande rivolgimento come l’abate Sièyes, che le presenta il giovane Napoleone di ritorno dalla vittoriosa campagna d’Italia . Nel corso di una passeggiata serale nel suo modesto giardino, Napoleone con la sua tipica sicumera le esprime la sua meraviglia nel vederla abitare una casa praticamente priva di parco, per sentirsi rispondere che “voi non sapete, generale, tutta la felicità che si può trovare in tre arpenti di terra!”. Ancora più bruciante la rimessa a posto che il generale corso deve subire da parte di Sophie de Condorcet, vedova dell’illustre matematico suicidatosi per non finire sulla ghigliottina, all’osservazione di Bonaparte che le donne non devono occuparsi di politica: “Avete ragione, generale, ma in un paese in cui si taglia loro la testa mi sembra naturale che vogliano sapere perché”.
Pesa su Rousseau la questione dei figli abbandonati.
Una delle cose più incomprensibili di quest’uomo geniale è come abbia potuto scaricare con una serenità d’animo spaventosa i suoi cinque figli al brefotrofio, una decisione che quando verrà conosciuta lascerà inorriditi tutti quelli che lo conoscevano. Diderot commenterà in maniera impeccabile che “stimavo lo scrittore, ma non stimavo l’uomo”. In effetti è difficile dargli torto, quando si leggono le arzigogolate spiegazioni con le quali Rousseau giustifica l’abbandono dei figli, sostenendo tra l’altro che con “il fracasso dei figli tra i piedi” non sarebbe mai riuscito a scrivere un rigo.
In una lettera ad una nobildonna sua amica, che esterrefatta gli rimprovera quanto ha commesso, Rousseau se ne esce con l’aberrante affermazione che in fondo i brefotrofi esistono, dunque non c’è ragione che impedisca di servirsene. Bisogna comunque riconoscere che la pratica di abbandonare i figli nella Parigi del tempo è diffusissima, poiché il 40% dei neonati finiscono agli Enfants-Trouvés. Non bisogna tuttavia credere che a far ricorso a questo espediente fossero solo i poveri disgraziati e le ragazze madri timorose di uno scandalo, poiché ad utilizzare l’espediente erano anche non poche nobildonne e signore dell’alta borghesia.