Firenze – Allora aveva ragione Don Pasquale nell’opporsi con tutte le sue forze alle nozze del nipote Ernesto con Norina. Quella sgualdrina non solo sbarcava il lunario facendo lo spogliarello individuale dei peep-show, ma non disdegnava neppure le carezze di quel mascalzone, sleale finto amico del dottor Malatesta.
Questo il pensiero prevalente dello spettatore mentre usciva ieri sera 21 febbraio dal Teatro del Maggio dopo aver assistito alla prima del Don Pasquale di Gaetano Donizetti, nuovo allestimento della stagione operistica.
Non è propriamente un’interpretazione fedele alla volontà del compositore e co-librettista e la sensazione di molti (esternata anche rumorosamente alla fine) è stata che il regista Andrea Bernard, con le scene di Alberto Beltrame e i costumi di Elena Beccaro, non sia riuscito a mettere le briglie a un’ immaginazione fatta di tanta produzione cinematografica (la Stangata, un titolo fra i tanti riconoscibili) nel tentativo di rappresentare un concetto contemporaneo di opera buffa (ma c’è anche una torta in faccia).
Se Norina, certo astuta e intrigante ma davvero innamorata di Ernesto, non è quella gran zoccola, neanche Don Pasquale è un credibile proprietario gestore di un casino – night club, anche se gli affari appaiono in inesorabile decadenza. Così come il tenero e platonico Ernesto forse è qualcosa di più sul piano dei sentimenti di quell’imbelle ragazzo un po’ imbambolato che si unisce alla truffa.
Detto questo, il Don Pasquale fiorentino è uno spettacolo che regge e diverte. Merito delle voci, con una Marina Monzò (Norina) stella nascente del firmamento operistico, un ottimo Nicola Ulivieri (Don Pasquale), così come Davide Luciano (Malatesta), un Maxim Mironov dalla voce forse un po’ troppo soave (Ernesto), . Grande coro di Lorenzo Fratini e grande orchestra diretta da Antonino Fogliani.
Soprattutto merito del capolavoro di Donizetti che sancì la fine dell’opera buffa settecentesca.I personaggi e la situazione drammatica era quella della tradizione, si approfondisce la caratterizzazione dei personaggi , non più ruoli stereotipati. La beffa ordita contro il vecchio che si sente ancora “lesto e ben portante”, per dissuaderlo dal bloccare l’ideale amoroso del nipote, portando alle estreme conseguenze l’insano desiderio – vendetta di prendere moglie, diventa intreccio psicologico sul filo dell’ambivalenza di intenzioni e sentimenti sostenuto dall’invenzione compositiva del maestro.
Da qui nasce la comicità dell’opera che parte da un libretto straordinariamente divertente, nel quale la lingua italiana dà il suo meglio per sottolineare inganni e paradossi.
Su questa svolta comica si è inserito il concetto registico di Bernard per aggiornarla a una sensibilità contemporanea. C’è riuscito solo in parte, provando a inserire il più possibile del “buffo” nella storia dello spettacolo dal vivo. Forse apprezzabile come esperimento, ma ci deve ancora lavorare.
Don Pasquale Foto: © Michele Monasta