Esattamente fra una settimana, il prossimo 25 maggio, Don Pino Puglisi sarà beatificato al Foro Italico di Palermo. Al Foro Italico perché sia la Cattedrale sia lo stadio Renzo Barbera, presi in considerazione in questi mesi come possibili location, si sono rivelati insufficienti ad accogliere le oltre 100 000 persone che parteciperanno al memorabile evento. La Chiesa-quella con la c maiuscola- ci ha messo ben vent’anni ad arrivare alla beatificazione di Padre Puglisi: è datata infatti 28 giugno 2012 la concessione di papa Benedetto XVI alla promulgazione del decreto di beatificazione per il martirio di 3P “in odium fidei”.
Quella stessa Chiesa che vent’anni fa, dopo l’omicidio di Puglisi avvenuto a Brancaccio il 15 settembre del 1993 per volontà dei capimafia di quartiere Francesco e Giuseppe Graviano, non si costituì nemmeno parte civile al processo. E’ appena uscito un libro scritto a tre mani da Augusto Cavadi, Francesco Palazzo e Rosaria Cascio dal titolo “Beato tra i mafiosi” dove è riportata la requisitoria del pm Lorenzo Matassa del 23 febbraio 1998 in cui si legge “ E’ stato detto da parte del successore di don Pino Puglisi che la Chiesa non si occupa della responsabilità penale degli uomini ma del loro destino sovraterreno. Niente di più errato, niente di più ingiusto per la memoria di don Pino Puglisi[…]Sarebbe stato atto laico di carità costituirsi parte civile perché la chiesa di Brancaccio avesse voce e vedesse riconosciuto con atto di giustizia quel denaro utile a continuare l’opera di risanamento pastorale così tragicamente interrotto dalla mafia. Ecco cosa sarebbe stata giustizia”. E ancora Pino Martinez, uno dei fondatori del Comitato Intercondominiale di via Hazon e braccio destro di Don Puglisi in molteplici battaglie civili a Brancaccio dal 1991-1993 (da quella per l’apertura della scuola media di quartiere a quella per le fognature), nel suo racconto “Noi a Brancaccio” confessa: “ Una domanda mi sono posto subito dopo l’omicidio: il Cardinale di Palermo Salvatore Pappalardo conosceva abbastanza bene la linea adottata da padre Puglisi per svolgere la sua azione pastorale in un quartiere con una forte presenza mafiosa. Era a conoscenza dei rischi che correvano il parroco e alcune persone della comunità di San Gaetano. Se il Cardinale avesse preso una chiara posizione per fare comprendere che il proprio presbitero non era solo, ma anzi godeva del sostegno della Chiesa palermitana, padre Puglisi sarebbe morto lo stesso?”.
E’ proprio questo il punto: dov’era la Chiesa dai crocifissi dorati mentre don Puglisi andava per le strade di Brancaccio a testimoniare l’esistenza di una chiesa dalla c minuscola, la chiesa delle persone, dei bisogni quotidiani, del pauperismo francescano? Quella Chiesa stava a guardare. Rosaria Cascio mi ha raccontato personalmente di essere capitata nel bel mezzo di una seduta dei massimi esponenti del clero palermitano presieduta da Pappalardo il giorno seguente l’omicidio di Puglisi: “ Capitai in quella stanza per puro caso, c’erano tanti crocifissi dorati che la metà avrebbe sfamato l’intera Brancaccio. Quando il Cardinale iniziò a dire che i funerali di Puglisi si sarebbero svolti in Cattedrale, saltai in piedi e con tutta la voce che avevo in corpo urlai: “No! I funerali avverranno a Brancaccio, in mezzo alla gente che 3P frequentava ogni giorno. Voi non sapete nulla di chi era e di cosa ha fatto per noi Don Puglisi. E’ troppo tardi accorgersene ora che è morto e voler celebrare i suoi funerali per lavarsi la coscienza”. In quel momento- racconta la Cascio- il cardinale Pappalardo scoppiò a piangere davanti a tutti e singhiozzando confessò: “L’abbiamo lasciato solo, ora è troppo tardi”. Ora, a distanza di vent’anni, la Chiesa, dopo essersi cosparsa il capo di cenere, offre a don Puglisi, beatificandolo, l’attenzione che nel 1993 non gli assicurò. Definendo oggi, attraverso la formula “in odium fidei”, i mafiosi non degni della fede cattolica. Ciò detto, è comunque troppo tardi.