Pisa – Una ricerca condotta al dipartimento di Ricerca traslazionale e delle nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia dell’Università di Pisa apre nuove prospettive per il controllo del dolore attraverso l’uso di suggestioni di analgesia, cioè la richiesta fatta al paziente, da parte di un operatore, di immaginare che non sta avvertendo dolore. Nella pratica clinica è comunemente accettato che le suggestioni di analgesia sono efficaci nel trattamento del dolore acuto e cronico e che il loro effetto è proporzionale al grado di ipnotizzabilità dei pazienti, anche se vengono praticate nello stato ordinario di coscienza.
Durante una suggestione di analgesia, si chiede, ad esempio, ai pazienti di immaginare che l’intenso dolore che percepiscono all’addome si stia progressivamente spostando fino ad uscire dal loro corpo, o, ancora, che il dolore che sentono a un braccio si stia progressivamente riducendo a una zona sempre più piccola fino a non essere più percepibile. Suggestioni di analgesia vengono usate in clinica per il controllo del dolore cronico, e sono comunemente usate anche per alcuni interventi chirurgici, sia isolate che associate a farmaci, e per il trattamento del dolore dovuto a interventi riabilitativi post traumatici o post chirurgici.
I pazienti, opportunamente allenati, possono autoindurre analgesia, concentrandosi su istruzioni di benessere e/o di assenza di dolore e quindi gestire autonomamente l’insorgenza o l’aggravamento del dolore.
“Nei soggetti altamente ipnotizzabili – afferma la professoressa Enrica Santarcangelo, del dipartimento pisano di Ricerca traslazionale – l’analgesia da suggestioni è generalmente considerata l’effetto di un cambiamento nella relazione tra due regioni cerebrali coinvolte nel controllo dell’esperienza e del comportamento, il cingolo anteriore e la corteccia prefrontale. In realtà i risultati recentemente pubblicati indicano che l’analgesia da suggestioni non è dovuta all’ipnotizzabilità in sé, ma all’interazione tra ipnotizzabilità e alcune caratteristiche cognitivo-emotive legate al sistema limbico, una regione del cervello molto antica. Ciò implica che le psicoterapie capaci di influenzare queste caratteristiche (ansia, paura di situazioni spiacevoli, tendenza a ricercare condizioni piacevoli) potrebbero migliorare la risposta alle suggestioni di analgesia nella popolazione generale. In altre parole, anche i pazienti che non hanno un alto grado di ipnotizzabilità, che sono la maggioranza, potrebbero essere efficacemente trattati con tecniche suggestive”.
I risultati descritti sono stati ottenuti in collaborazione con Chiara Mocenni, ricercatrice del dipartimento di Ingegneria dell’Informazione e Scienze matematiche dell’Università di Siena, attraverso la Recurrence Quantification Analysis applicata all’elettroencefalogramma, un metodo che fornisce una descrizione del cambiamento dell’attività della corteccia celebrale nel tempo sia attraverso una rappresentazione visiva (Recurrence Plot) che attraverso indici quantitativi. “Grazie a questo metodo – conclude la professoressa Santarcangelo – avevamo precedentemente dimostrato che l’elettroencefalogramma delle persone con alto punteggio di suscettibilità all’ipnosi ha un andamento più regolare e prevedibile di quello dei soggetti non ipnotizzabili e che alcuni indici estratti sono in grado di discriminare le persone con alta e bassa suscettibilità ipnotica in condizioni di riposo”.