Banche dati, Fondazione Caponnetto: “Stop a ipotesi di cancellazione della Dna”

Intervista al presidente Salvatore Calleri

Più di un vero e proprio attacco, un tentativo di screditare decenni di lotta alla mafia, approfittando di un episodio, pur deprecabile, ma su cui ancora si stanno svolgendo indagini e su cui, ancora, la magistratura non si è pronunciata. E’ questa, in sintesi, la posizione del presidente della Fondazione Caponnetto, Salvatore Calleri, da noi raggiunto per chiedergli una riflessione sulla questione che sta animando le pagine dei giornali, con indagini aperte persino nei confronti di tre giornalisti d’inchiesta del quotidiano Domani, che avrebbero utilizzato notizie vere e comprovate nel loro lavoro, come, d’altro canto, dovrebbe essere d’uso del tutto pacifico. Oggetto della conversazione col presidente Calleri è invece il rischio di coinvolgere la credibilità della Procura nazionale Antimafia, culminato nel tentativo, da parte di un illustre professore in pensione, Sabino Cassese, di domandarsi se davvero la Dna ha ancora ragione d’esistere.

Indagini ancora in corso, ma la vicenda della fuga di dati e notizie attribuite a un appartenente alla Direzione nazionale antimafia, oltre alla scoperta di una sorta di dossier su politici, calciatori, uomini di spettacolo, ha fatto gridare allo scandalo. Tant’è vero che è notizia fresca la richiesta di Cassese di chiedersi se la Dna abbia ancora ragione di esistere. Che ne pensa?

“Intanto, precisiamo che in questo caso dobbiamo parlare di uso delle banche dati. ma da qui a mettere in dubbio l’esistenza stessa della Direzione nazionale antimafia ce ne corre. Ho una parola chiave della storia recente di questo Paese per definire l’atmosfera di questi giorni, che non ha a che fare né col passato degli anni ’80, né col passato degli anni ’90. Intendo dire che secondo me non ci troviamo davanti né a una nuova P2, né ad altre tendenze, di quel periodo. Sono fatti nuovi. Nel recente periodo, in Italia più volte si è assistito a ciò che chiamo , con modalità ironicamente seria, “la voglia di Spectre”.

Ci può spiegare?

“Si tratta della tendenza, tipicamente italiana, a voler sapere le faccende altrui, a schedare, a guardare, a mettere a sistema le informazioni. C’è sempre stata, e oggi ancora di più. Secondo me, ciò che succede, se è inquadrabile in qualche tipo di reato, dico se perché sono sempre garantista e ricordo ancora che le indagini sono in corso, quindi se l’indagine della magistratura troverà dei colpevoli, dev’essere inquadrata in questa voglia di Spectre, con i reati che ne conseguono; quindi, se qualcuno ha sbagliato è giusto che paghi, che siano magistrati, tutori delle forze dell’ordine, terzi soggetti che in qualche modo hanno interagito per avere notizie sui propri concorrenti, ecc.”.

Fatta questa che è in un certo senso una premessa, qual è secondo lei il punto sostanziale della vicenda?

“C’è un’altra tendenza in Italia, vale a dire che appena si può, si tenta di abolire la normativa antimafia. Le norme antimafia non si cambiano; semmai si rafforzano. Abbiamo il miglior pacchetto normativo al mondo sul tema della lotta alle mafie, non si capisce perciò perché si debba, ogni volta che c’è un qualcosa che offra il destro per colpirle, affondare il colpo”.

Si riferisce anche ai dubbi lanciati dal professor Cassese in merito alla stessa Dna?

“Mi riferisco, a due tendenze in atto: da un lato, il solito conflitto, storicamente esistente dai tempi del pool di Caponnetto, che data a quando nacque la Procura nazionale Antimafia, fra le Procure locali e la Procura nazionale Antimafia stessa voluta da Falcone, che ha ruolo di coordinare l’azione, conflitto che si può riproporre. Si tratta di un conflitto mai sopito. Dall’altro lato, il rischio è proprio quello che si chieda l’abolizione della Procura nazionale Antimafia, perché superata dai tempi. No. Non solo non è superata dagli eventi, ma è utilissima la banca dati. Bisogna essere chiari su questo punto. La banca dati va semmai dotata di regole d’ingaggio, regole d’uso, strette. Ma in un periodo in cui la mafia è 4.0, in un periodo in cui le mafie investono miliardi di euro negli hacker, serve una Procura Antimafia sempre più forte, sempre più tecnologica, e in grado di poter svolgere indagini a 360 gradi. Sono da bocciarsi qualsiasi ipotesi di revisionismo in negativo delle norme antimafia e qualunque ipotesi di cancellazione della Procura nazionale Antimafia. Ciò perché se qualcuno ha sbagliato si colpisce chi ha sbagliato in modo severo, se risulteranno responsabilità. Bene ha fatto la Commissione Antimafia a sentire soggetti fondamentali della vicenda. Il rischio è che si getti via il bambino con l’acqua sporca”.

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