Diritti, il bilancio di marzo ancora desolante per le donne

Prato  – Il terzo mese dell’anno  si avvia ormai alla conclusione ma vale la pena tracciare un bilancio su ció che si è detto, promosso e fatto a livello istituzionale, pubblico o privato nel nostro Paese in occasione della Giornata Internazionale dei diritti delle donne che cade l’8 marzo. Anche perchè,al di là delle confortanti parole spese in loro favore ed ascoltate in consessi diversi, si assiste,invece, a continue discussioni anche in luoghi deputati se è giunto il momento di togliere alcuni diritti già acquisiti invece di aggiungerne nuovi o di renderli più inclusivi con il risultato,ormai evidente,che su certi temi che riguardano soprattutto  le donne, il nostro Paese indietreggi piuttosto che avanzare.

Eppure gli echi delle lotte e delle manifestazioni degli anni ’70 non sono poi tanto lontani nella coscienza dei cittadini di ieri e di oggi perchè furono proprio quelli gli anni che,nella società italiana, portarono venti di cambiamento riformando un sistema soprattutto quello legislativo che con urgenza si doveva necessariamente adeguare alla società democratica italiana così come descritta dalla carta costituzionale. E la storia delle conquiste femminili si arricchisce proprio in quell’epoca caratterizzata da importanti battaglie: dalla maggiore libertà e parità nel lavoro,nella famiglia e nella società. Senz’ombra di dubbio fu l’approvazione della legge sul divorzio del 1970 che aprì  la strada alla riforma del diritto di famiglia che, nel 1975, fisserà pari responsabilità tra i coniugi e maggior equilibrio tra diritti e doveri riguardo genitori e figli. Mentre per la parità sul lavoro e le leggi a tutela per le madri lavoratrici bisognerà attendere il 1977. Intanto nel decennio che va dagli anni ’70 agli ’80 furono le donne che avvertirono la necessità di riaffermare il potere sul proprio corpo e la conseguente scelta della maternità imponendoli poi nel dibattito pubblico.Esse scesero in piazza per manifestare a favore della depenalizzazione dell’aborto: i movimenti femministi e quelli emancipazionisti furono un tutt’uno e si unirono ai movimenti studenteschi per affermare  la libera scelta della maternità che verrà  poi regolamentata con la legge 194 del 1978. Mentre per ottenere una legge contro la violenza sulle donne bisognerá attendere  vent’anni più tardi e solo dopo una serie di tappe legislative.Dalla prima del 1996 che cominció a considerare la violenza contro le donne un delitto contro la libertà personale, (mutando la   vecchia norma che la collocava fra i delitti contro la moralità pubblica ed il buon costume), a quelle del 2001 e del 2009. Ma il vero passo avanti fu quando l’Italia  nel contrasto alla violenza di genere approvó ratificando nel 2013 la Convenzione di Instabul, a cui seguirono la legge contro il femminicidio nel 2013 e il Codice Rosso nel 2019,mentre nel 2010 era decollato  nella struttura ospedaliera di Grosseto in Toscana il progetto pilota del Codice Rosa dedicato agli accessi ospedalieri alle donne e minori vittime di violenza.

Oggi complice una sfavorevole congiuntura internazionale, con una crisi sanitaria, economica, energetica, ambientale e geopolitica post Covid, le risposte che arrivano dal Governo di destra -centro e che investono la coscienza individuale, civile e collettiva sulla violenza , aborto, procreazione assistita, diritti delle donne nella società civile e nel mondo del lavoro, eutanasia e unioni civili, appaiono controverse. Come ad esempio la bocciatura della maggioranza in commissione Giustizia alla Camera di un emendamento, che proponeva di introdurre un nuovo strumento operativo per proteggere le donne vittime di violenza. O gli accesi toni sulla 194 scoraggiando le donne che vogliono esercitare il diritto all’aborto e difendendo,invece l’obiezione di coscienza mettendo così sullo stesso piano la libertà di abortire con quella dei medici di fare obiezione.

Non è da meno il contesto mondiale per cui si assiste in molte parti del pianeta alla totale negazione dei diritti delle donne attraverso i matrimoni forzati, le mutilazioni,abusi sessuali, femminicidi, ingiustizie socio-economiche e culturali. E così accade che non troppo lontano da casa nostra, in Iran, nonostante l’alta alfabetizzazione delle  donne, esse vedano sempre più assottigliare  i propri diritti: maltrattate,uccise in piazze,avvelenate o fatte scomparire da agenti o corpi paramilitari al servizio del regime teocratico di Theran. Le cose non vanno meglio  per le donne afghane costrette dal governo  talebano a non andare più a scuola e a coprirsi il viso in pubblico;mentre per le etiopi  da secoli esse sono le vittime silenziose di una sottomissione istituzionalizzata come accade per tantissime donne  in gran parte dell’Africa.

Ancora lunga poi è la strada per una piena parità delle  donne cinesi. Con statistiche che rivelano maltrattanenti domestici  specie nelle zone rurali e che si vedono negare dai giudici il divorzio anche in caso di cartelle cliniche attestanti le lesioni da esse subite.  A ció si aggiunga il dramma delle “donne di guerra”: quelle cioè che vivono sulla propria pelle la drammaticitá  dei conflitti e che oggi  hanno il volto delle donne ucraine. Sono loro le eroine che quotidianamente con forza e coraggio, si mobilitano e si battono per i diritti e la libertà,facendosi portavoce,pur nella sofferenza, del riscatto della propria gente.

Ecco perchè sarebbe giunta  l’ora di ritrovare grazie a politiche illuminate nuove istanze che rimettano  la donna al centro delle dinamiche della societá contemporanea sempre che questa società voglia continuare a definirsi concretamente progressista, vincente,lungimirante ma soprattutto realtà determinata a non cedere sui diritti acquisiti ma volta ad includerne  nuovi senza discriminazione alcuna, nè passi indietro.

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