Nel determinare l’esito dei conflitti moderni un ruolo strategico fuori dal campo di battaglia è rivestito dalla diplomazia. E dalla sua azione parallela e multiforme. Ad esempio, la missione di pace del cardinale Matteo Maria Zuppi, “l’ambasciatore” speciale di papa Francesco, a Kiev e Mosca è stato il classico modello di negoziato dal basso profilo, indirizzato a trovare un punto di dialogo tra le parti: «Mi auguro che prove di dialogo ci siano, anche in maniera riservata, e mi auguro ci sia anche una grande iniziativa europea. Il dialogo è una tela che si può tessere in tanti modi. Bisogna favorire tante iniziative per ritessere la delicatissima trama della pace».
Nello specifico l’iniziativa del messo pontificio non ha potuto raggiungere decisioni o accordi concreti sul futuro della guerra, riuscendo, con un piccolo passo avanti, ad aprire un tavolo su rilevanti aspetti umanitarie. La storia delle relazioni internazionali della Santa Sede è una delle più antiche, e sicuramente ancora tra le più potenti anche se nel corso del tempo ha perso molto della sua influenza. Ma che mantiene ben saldi i pilastri della propria azione: sviluppare buoni rapporti con gli stati, difendere la libertà religiosa e contribuire alla pace nel mondo. Talvolta con successo, altre meno.
Se guardiamo al conflitto russo-ucraino, dobbiamo prendere atto che il progetto degli alleati di Kiev di isolare Putin internazionalmente non è sicuramente un piano ben riuscito e l’unica vera criticità, ad oggi, è stata la recente minaccia di implosione interna del golpe di Prigozhin. A fare acqua non solo il sistema delle sanzioni, che si è dimostrata un’arma a doppio taglio molto affilata. In generale quella che si pensava potesse diventare una solida e vasta cintura di contenimento, in grado di condizionare il conflitto si è rivelata una freccia spuntata. La pressione tanto attesa sul Cremlino ha perso di peso e concretezza con il passare dei mesi.
Per capire come ciò sia stato possibile basta prendere un atlante geografico e notare che gli stati, tolta ovviamente la Svizzera, che si sono trincerati dietro la bandiera bianca della neutralità, e quindi teoricamente più o meno equidistanti tra le parti in combattimento, non sono un numero esiguo e tantomeno non sono marginali: Cina, India, Arabia Saudita, Sudafrica e Brasile tanto per citarne alcuni. Poi ci sono invece coloro che hanno scelto di schierarsi apertamente a favore di Mosca. Nella lista dei paesi canaglia oltre alla fedelissima Bielorussia e all’insignificante Corea del Nord, troviamo l’Iran. Tre dittature spietate e completamente diverse tra loro. La prima post-comunista, la seconda comunista e la terza islamica. Ciascuna con i propri interessi in gioco, e il comune denominatore del totale sostegno all’invasione russa.
A breve termine, purtroppo, sembra che gli Stati Uniti, il Regno Unito e l’Europa possano fare ben poco per impedire a Mosca, Minsk, Pyongyang e Teheran di sviluppare legami più stretti ed elevare il livello di cooperazione militare. Il nemico alle porte dell’Occidente non è uno solo.
Alfredo De Girolamo Enrico Catassi
In foto il cardinale Matteo Maria Zuppi