“Ciò che non si può misurare non si può controllare”: lo aveva detto nell’800 il fisico e ingegnere inglese Lord Kelvin, lo ha ripetuto il presidente del Cnel Renato Brunetta ospitando e presentando a Villa Lubin il V Rapporto dell’Osservatorio del Patrimonio Culturale Privato. Si tratta di un patrimonio immenso che da cinque anni, grazie all’Associazione Dimore Storiche Italiane (ADSI), viene appunto ‘misurato’ per capirne l’enorme valore non solo culturale e artistico ma anche economico.
Si tratta di 43.757 beni privati vincolati, con “19 mila imprese dove viene svolta una attività produttiva strutturata e/o occasionale. A questo importante numero bisogna aggiungere più di 10 mila altri proprietari che hanno in programma o vorrebbero ‘aprire’ le loro dimore”. Insomma, circa 30 mila operatori del ‘Museo diffuso’ privato più grande del mondo. Così lo ha definito il professor Luciano Monti, coordinatore dell’Osservatorio e condirettore scientifico della Fondazione per la Ricerca Economica e Sociale Ets, che ha realizzato il Rapporto.
Numeri importanti e poterli misurare diventa “imprescindibile per permettere alle istituzioni di dare il giusto supporto alle Dimore Storiche e consolidare una partnership pubblico-privato consapevole e virtuosa”, ha sottolineato Brunetta che si è detto pronto anche a farsi promotore di proposte di legge da presentare in Parlamento per continuare a sostenere il settore. C’è poi una “valenza sociale incommensurabile” considerato che l’80% di questi beni è fuori città, quasi una dimora ogni quattro si trova su territori con meno di 5000 abitanti, “aree interne, soggette a spopolamento e fenomeni di desertificazione dei servizi”, quindi “valorizzare e tutelare questi immobili – ha concluso il presidente del Cnel – vuol dire trasformarli in un volano fondamentale per lo sviluppo locale, per la rigenerazione delle aree periferiche, per l’avvio di processi di ripopolamento e di rilancio economico dei territori”.
Le condizioni ci sono tutte, rilancia il presidente dell’Associazione Dimore Storiche Italiane Giacomo di Thiene, ricordando il peso della filiera che ruota intorno a questo enorme patrimonio privato, a partire dalle professionalità che coinvolge, storici dell’arte, restauratori, paesaggisti, imprese di manutenzione del verde, giardinieri e artigiani d’arte specializzati, fino agli archivisti.
Il settore muove cultura e conoscenza, nel 2023 il 56,8% di questi beni ha ricevuto studenti in visita. E muove turismo: nello stesso anno ha accolto 34 milioni di visitatori, in forte crescita rispetto agli anni precedenti. E ovviamente muove soldi: solo di interventi ordinari e straordinari, si stima che i proprietari di dimore storiche abbiano speso, sempre nel 2023, circa 1,9 miliardi di euro, contribuendo a oltre un decimo del Pil italiano. “Importi significativi – ha commentato il presidente dell’ADSI – che tuttavia presentano notevoli margini di crescita se si considerano due fattori. Il primo è rappresentato dagli spazi tuttora inutilizzati in circa ventimila immobili per un totale di 13,4 milioni di metri quadri non fruibili. Il secondo fattore è dato dagli oltre diecimila proprietari che attualmente non svolgono attività economiche nelle loro dimore ma sarebbero interessati a farlo se avessero le disponibilità economiche”.
Ma di quali dimore è composto questo grande ‘giacimento culturale’ diffuso nel territorio e come è distribuito? Si tratta di palazzi, palazzine e palazzetti (44,8%); di ville e villini (28,2%); di castelli (11%); di case, a schiera o coloniche (4,6%); di edifici religiosi (3,9%) e rurali (2,6%). Ci sono anche edifici difensivi (1,8%) e sono state censite anche le aree verdi (1,8%). La maggior parte di queste dimore (il 68,3%) sono abitate, le altre date in uso a terzi o affittate. Quanto alla distribuzione sul territorio non è facile calcolarla perché dipende da chi risponde ai censimenti. La Toscana risulta la regione a più alta concentrazione di beni storici privati con il 16,4%, e il Sud, pur essendone ricchissimo, risulta averne solo l’1,5%.
C’e poi tutto l’indotto agricolo ed enogastronomico: “Dove ci sono dimore storiche in campagna, ci sono imprenditori agricoli professionali forti”, ha spiegato il vicepresidente di Confagricoltura Giordano Emo Capodilista, intervenendo al Cnel, e sottolineando le interconnessioni fra le dimore storiche e l’agricoltura, che “condividono il territorio e la cura delle aree interne, anche attraverso un’offerta turistica che spazia dalla storia all’enogastronomia”.
Tante potenzialità dunque ma raccolte poco e male dalla politica, lamenta il presidente di ADSI Giacomo di Thiene, ricordando come questa filiera, che coinvolge settori della conoscenza, della gastronomia, della tecnologia e del turismo, fatica ad affermarsi: “La filiera dell’automobile – cita ad esempio – è subito percepibile, non c’è la stessa sensibilità sul patrimonio culturale. E la convinzione che i turisti in Italia vengano comunque, non è vera. Oggi siamo il quinto paese al mondo sul turismo, prima di noi c’è anche la Turchia. Abbiamo le solite città, Roma, Firenze e Venezia, vandalizzate nel loro tessuto sociale mentre l’entroterra resta vuoto”.
Il Rapporto sulle dimore storiche può essere uno strumento importante per sensibilizzare i nostri governi, qualunque colore abbiano. Lo studio analizza a fondo le potenzialità di questo prezioso museo diffuso, attraverso “la raccolta di dati – ha spiegato Paolo Marini, presidente per la Fondazione Economica e Sociale Ets– e la realizzazione di indicatori in grado di ‘leggere’ il territorio italiano, cogliendo specificità a livello il più granulare possibile”. Proprio con “l’obiettivo di fornire alla politica, ai media e alla comunità scientifica elementi oggettivi e spunti di dibattito circa lo sviluppo sostenibile del nostro Paese”.
Si aspettano risposte che stentano ad arrivare, il timore è che manchino non solo l’interesse e la disponibilità di soldi, ma ancor prima la sensibilità giusta per cogliere le enormi opportunità che offre questo patrimonio unico al mondo.