Firenze – Nella Ghirlanda Fiorentina s‘intersecano due linee d’indagine, complementari tra di loro, relative da un parte alla dinamica dell’uccisione di Giovanni Gentile e dall’altra alle posizioni assunte dagli intellettuali italiani sia rispetto al ruolo del filosofo nelle vicende politiche di quei mesi, a partire dal discorso sulla “pacificazione” tenuto al Campidoglio il 24 giugno 1943, sia rispetto alla morte stessa (avvenuta, com’è noto, il 15 aprile 1944).
Su questi due ambiti vi è un’enorme letteratura che nel corso di settant’anni ha visto affiancarsi opere di natura strettamente storica a interventi di carattere ideologico e polemico. Ho impiegato molti anni per conoscere di prima mano non solo questa sterminata mole di scritti che riguardano l’uccisione di Gentile, ma anche i maggiori contributi alla ricostruzione della figura di Gentile filosofo e protagonista di primo piano della vita culturale e politica italiana. Questo è un lavoro di ricerca e studio che si può programmare e dispiegare nel tempo studiando il materiale a casa nel proprio studio o in biblioteca. Però ben più impegnativa è stata l’impresa di individuare documenti inediti sparsi in istituzioni italiane e straniere. Senz’altro la tappa più entusiasmante di questo “viaggio” che era coronato ora da scoperte interessanti ora da frustrazioni (ad esempio, proprio il documento specifico che cercavo e che sapevo trovarsi in un determinato archivio era “scomparso” poco tempo prima) fu la National Library of Scotland ad Edimburgo dove si trovano l’archivio e la biblioteca di John Purves, l’italianista scozzese, legato ai servizi segreti britannici, dal cui taccuino del 1938 deriva il titolo del mio libro.
Non solo quel taccuino, ma le centinaia di lettere, appunti e allegati mi svelarono un sorprendente e inedito pezzo di storia della cultura italiana del primo Novecento. Comunque ancor più coinvolgenti sono stati gli incontri e le interviste che ho avuto con varie persone che in forme diverse o in ruoli più o meno di rilievo avevano partecipato agli eventi di quei convulsi mesi che precedettero la liberazione di Firenze. Con alcune di queste persone s’instaurò un rapporto di fiducia che mi consentì di approfondire aspetti e circostanze dell’esecuzione di Gentile sfuggiti alle indagini precedenti. Ricordo solo quelle scomparse nel frattempo, come Bindo Fiorentini, allora tenente di artiglieria reduce dalla campagna di Croazia, legato al Partito d’Azione; Pietro Ciabattini, allora giovanissimo milite della Repubblica Sociale; e Mario Orsecci, che abitava nella casa all’angolo con la villa Montalto (residenza di Gentile) e che fu interrogato nell’aprile 1944 come testimone dell’esecuzione.
Mi è stato spesso chiesto quanto abbia influito sull’impostazione data alla mia ricerca il fatto che io sia uno psicologo e non uno storico di professione. In effetti proprio questa mia connotazione è stata richiamata, e direi positivamente, nelle recensioni che il libro ha ricevuto e anche nelle motivazioni del premio Viareggio. Deliberatamente e al meglio delle mie capacità, ho cercato di rappresentare tutti i protagonisti di questa vicenda nella loro dimensione umana, e più nelle loro incertezze, negligenze e debolezze perché queste mi sono apparse una costante – soprattutto negli intellettuali – rispetto a una coerenza di principi e comportamenti, pubblici e privati, e tutto questo mi ha necessariamente spinto anche a riflessioni di carattere etico più generale.
Foto: Giovanni Gentile pronuncia il discorso sulla “pacificazione” in Campidoglio il 24 giugno 1943