Diaspora Pd, Iacopo Ghelli si dimette dall’Assemblea Nazionale

Firenze – Una lettera, sofferta, vissuta, ma anche inevitabile. Così, Iacopo Ghelli delegato dell’assemblea nazionale Pd per Firenze città, ha inviato le sue dimissioni al partito, a Roma. Al segretario nazjonale Matteo Renzi, al presidente dell’assemblea nazionale Matteo Orfini.

Motivazioni? Tante. La prima, obiettivi non (più) condivisi. A partire da questo, spiega Ghelli, “molte delle ragioni del mio impegno in un ruolo nazionale ritengo si siano sciolte una ad una”.

E se nel merito le ragioni del distacco sono tante, un elemento particolarmente interessante risiede proprio nel cuore di quello che è il ritornello più diffuso fra la maggioranza del Pd : “ma gli elettori sono con noi”.

Attenzione, dice Ghelli, la realtà registra un “vertiginoso calo di reale consenso elettorale degli ultimi anni e in particolare del 2015, dove il crollo dei voti reali espressi a favore del partito nelle tornate elettorali è stato storico”.

Un tema su cui l’assemblea nazionale del Pd è “distratta”, facendo presagire una sorta di “mutazione genetica”, avverte Ghelli. Prendendo i fatti, come può un grande partito della sinistra (che dovrebbe puntare sulla “partecipazione” ) ignorare che “nelle stesse elezioni europee del 2014 i voti raccolti sono stati esigui rispetto a quelli presi pochi anni prima da Veltroni?”. Infatti, lo scorso anno rispetto al segretariato Veltroni, “il PD prese circa due milioni e mezzo di voti in meno. Il tutto è oscurato – dice Ghelli – da un ritornello tanto ripetuto quanto inutile a risolvere il problema : “ abbiamo vinto superando il 41% “ . Quel successo percentuale non ci ha portato al governo e al contempo ha visto restringersi la nostra base elettorale rispetto agli ultimi anni”.

Una base percentuale che, se con “più umiltà” doveva essere considerata un grande risultato, “doveva anche essere vista soprattutto come punto di partenza per riaprirci al Paese con un progetto di PD in linea con l’idea fondativa”.

Un’occasione persa, dunque? Sì, senz’altro dice Ghelli, che punta poi l’attenzione su un altro elemento che “non mancherà presto di mettere sulla bilancia il suo peso”:  il “vistoso calo degli iscritti, inusuale anche per anni post congressuali”.

Un calo che Ghelli registra come una delle conseguenze, forse la più clamorosa, della modalità innovativa del nuovo corso, vale a dire, un atteggiamento che va dritto dritto verso la “politica del non ascolto”. A meno che “movimenti fortissimi come quello sulla scuola non lo obbligano, non per metodo relazionale, ma per paura del consenso smarrito, a aprire canali di ascolto”. Di converso, sostiene Ghelli, è di tutta evidenza che “questo parziale isolazionismo rispetto a parti della società vede invece una grande attenzione verso altre componenti della stessa”.

Sul tema, Ghelli è particolarmente duro: “Quella di considerare irrilevanti o poco rilevanti i fattori dell’intero consenso sociale per concentrarsi solo su quei gruppi che possono garantire il formale successo elettorale, basato non sul numero complessivo dei cittadini e sulla complessità delle loro istanze ma sulla percentuale calcolata su chi più probabilmente si presenta alle elezioni” diventa in realtà una precisa scelta politica, “che non posso condividere”, rimarca Ghelli. Quale? Eccola: “Un orientamento verso “il lobbismo d’ogni sorta che diviene (sovrappesato) fattore di orientamento rispetto alla società tutta. Ma il parere che esprimo è che il compito della politica è guidare la società e lo Stato e non le lobby o peggio , farsi guidare da esse. Il progresso a cui guardo assieme a tanti altri è quello universale”.

 

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