“E se ne andò triste, perché aveva molti beni” (Matteo 19, 22)
Cavriago, addì 22 marzo nell’anno del Signore della crisi 2013; le celebrazioni per il centenario della nascita del Monaco di Monteveglio, padre costituente, grande uomo di Chiesa e spiritualità, per anni protagonista della vita politica nazionale don Giuseppe Dossetti, vivono i titoli di coda. Nell’aula grande del Multiplo, nome più adatto ad un prodotto dolciario Ferrero, fatto calare su una splendida villa settecentesca oggi adibita a sala culturale del popolo, un centinaio e oltre di persone assistono alla performance dialettica di alcuni “eredi di Dossetti”, così definiti in modo agghiacciante nell’introduzione. Tra loro, in cattedra, il prof Alberto Melloni e il pluriparlamentare Pierluigi Castagnetti. Tra gli astanti, pubblico non pagante, un dossettiano deluso, anzi decisamente tradito. Il dossettiano tradito resta sgomento già al primo colpo d’occhio, nel constatare come, a differenza delle personali previsioni, ancora un considerevole numero di persone non abbia raggiunto un livello di indignazione tale da farla desistere dal presenziare a spettacoli di retorica circense, totalmente scollegata da una parte alla traduzione nell’attualità, dall’altra alla testimonianza dei cattedratici, maestri di pensiero. Quando si parla di don Dossetti, in un contesto in cui le statistiche parlano ormai di milioni di italiani in piena povertà, non è più concesso scherzare. La composizione antropologica della sala però, nonostante il genius loci busto di Lenin incomba poco distante, non è più quella tradizionale statalista-arci-partigiana bensì esattamente la stessa che, tempo fa, “gremiva” le stanze di collegamento Acli-Dc-Azione cattolica-parrocchia; esattamente gli stessi, con più canizie e meno speranze. Il reportage del dossettiano tradito però non è fedele, è decisamente parziale e vi risparmia gli excursus sul Dossetti e la Chiesa povera e sul Dossetti profetico nel denunciare (in tempi già più che sospetti) l’ultimato scollamento tra etica e politica. Quel che conta, in questa probabilmente inutile lamentazione geremiaca, è la sensazione di profondo disagio e fisico fastidio nell’assistere al cianciare bergogliano-pauperistico da parte di un ecclesiologo di professione (dunque a pagamento) e di un ex onorevole che in 20 anni di Parlamento, quelli per intenderci in cui la nostra democrazia rappresentativa si è trasformata nella più oscena delle tirannie partitiche, non si è mai degnato di intervenire pubblicamente contro quella Casta che ha concorso come poche altre ad umiliare ed impoverire questo disgraziato Paese. L’altra sera nell’ex Bulgaria della val d’Enza, si è consumata la più tragica delle metamorfosi kafkiane: un’eredità spirituale incalcolabile in piece teatrale, in questo caso farsesca. Qualcuno vuole adeguarsi all’imitatio Dossetti? Ecco come: dopo aver incamerato in questi anni milioni e milioni di euro pubblici, l’onorevole Castagnetti, che resta comunque persona seria, devolva o restituisca ai poveri almeno i due terzi del patrimonio progressivamente ricevuto, calcolabile, al lordo delle entrate dicevamo in svariati milioni di euro, ivi compresa liquidazione e pensione sonante. Epilogo: in fondo alla sala, contro il muro, don Giuseppe Dossetti junior che applaude timidamente in mezzo a una sala non fragorosa. Il don Dossetti vivente rappresenta la linea di sangue della personalità celebrata; si capisce che fatica a far coincidere le istanze metastoriche ma evidentemente deve. Sa bene, meglio di altri, che mai come oggi il dossettismo non ha bisogno di vaniloquio ma di testimonianze