Firenze – “Mah, questa cravatta mi pare un po’ troppo sprillente”.
– Scusi ,come vuole dire? La commessa mi guardò con aria interrogativa.
–Buonanotte! pensai. A 70 chilometri di distanza si parla un’altra lingua.
Questa è una conversazione di una cinquantina di anni fa quando mi trasferii a Firenze da Buti in provincia di Pisa, (più esattamente posto nell’area pisano-lucchese). Ma le cose non sono cambiate in questi anni perché nei piccoli centri si conserva l’uso del dialetto, quanto meno in conversazioni confidenziali, come forma identitaria.
In quell’occasione mi accinsi in fretta a tradurre con “colore acceso”. Ma era una traduzione approssimativa perché sprillente è piuttosto “brillante”, o anche vivace, ma sempre con il sottinteso che lo è un po’ troppo .
Il termine, per di più, ha un suono evocativo che fa pensare a “sprizzare” (uscire con impeto, zampillare) o anche ad uno “spruzzo di colore”. Si dice, infatti, occhi sprillenti. Lo steso termine è citato nel Vernacolario lucchese dove alla voce sprillare si rileva che il participio è in ente e segue la seconda coniugazione come squillente.
Poi, in un volume sul dialetto ligure https://memoriedigitaliliguri.it/Docs/Biblioteca_Digitale si parla di skilente (squillante) detto della luce e del cielo che ha il suo corrispondente nel pistoiese squillente inteso come sereno ( citando Giuseppe Flechia. Boll. Storico pistoiese 1941) si parla di cielo squillente per cielo limpido e si commenta che l’aggettivo appare ardito ma pittoresco perché associa la limpidezza alla libera circolazione del suono. Si aggiunge che accanto a squillente a Lucca si trova anche sprillente. In effetti, il celebre Idelfonso Nieri parla di brace sprillente e questo termine può riguardare sia la luce che la voce acuta.
Il dialetto ha una forte capacità espressiva. Ad esempio, il termine stintignare che nel vocabolario italiano è intransitivo e significa stentare, tirare avanti con difficoltà, nell’area pisano-lucchese diviene transitivo e vuol dire scuotere, scrollare riferito, appunto a chi è indolente.
Ho scorso, il vocabolario del vernacolo lucchese di Giacomo Paoloni trovandovi termini che si caratterizzano per ricchezza di significati, per la capacità di rendere il concetto con immediatezza. Cito,ad esempio, incignare che ho trovato anche nel vohabolario del vernaholo fiorentino ma a Firenze significa il primo taglio che si fa (ad una forma di formaggio o a un prosciutto) quindi equivale a iniziare mentre nell’area pisano-lucchese significa soprattutto indossare un vestito nuovo.Se si dice semplicemente domani incigno si capisce subito che si tratta di un abito.
Nel dialetto lucchese trovo altri termini interessanti come sparaciato, che dà un senso di disordine difficile da tradursi nell’italiano corrente, e lessora che però da noi non equivale semplicemente a ragnatela (infatti, a Buti si utilizzano entrambi i termini); intuitivamente associavo lessora a polvere, anche nel colore Come poi mi ha scritto un mio amico,sono ragnatele ma non tanto quelle geometriche e singole bensì quelle intricate, fitte e appiccicose che si trovavano soprattutto nelle stalle.
Viceversa, altri termini specificamente lucchesi, come bamboretto o linchetto non si trovano nemmeno nelle aree limitrofe.
Nel dizionario livornese di Marco Catarsi trovo acchinarsi che è più forte di chinarsi e non ha niente a che fare con inchinarsi mentre ciottoli(per stoviglie) ha un valore onomatopeico che ci fa sentire il rumore delle stoviglie e Limàre [limà] · è assai più vivo di uggiare o di “chiedere insistentemente qualcosa”. Onomatopeici e, quindi, assai incisivi sono anche auncare e sciagattato che si trovano in tutta l’area della costa.
Ma l’annotazione più rilevante l’ho letta nel forum che fa seguito al Vocabolario pisano diario di sopravvivenza (di Bruna in Pisa Town). Vari interlocutori, evidentemente giovani, scrivono di non aver mai sentito la parola attrasso che è difficile tradurre senza perderne il forte senso evocativo.
Una parola che è invece in comune fra Pisa e Lucca è pillaccoroso, termine interessante dal punto di vista semantico perché riesce a far giungere alle nostre orecchie il senso dell’aggrovigliato, del cavilloso; di qualcosa insistito oltre misura. Inoltre, in Modi di dire di una volta a cura di Del Rosso Rossano troviamo pillaccoroso, come uno noioso ,pedante
Per quanto riguarda il livornese, In TuscanyPeople (https://www.tuscanypeople.com/de-livornese-dialetto-toscano/) trovo interessanti spiegazioni sul fatidico de’ che potrebbe essere una deformazione di un “di’” imperativo del verbo dire: ma potrebbe derivare anche da possa derivare da “decco” arcaismo per “ecco”. L’articolo suddetto sottolinea che il de’ livornese è privo di uno specifico significato ma ne possiede molti a seconda di come viene posto nella frase ma anche di come viene pronunciato. TuscanyPeople porta un curioso esempio: se uno chiede “Vado bene per il Santuario di Montenero?”, e il livornese risponde “Dé…”, (se gli occhi sono semichiusi e il sorriso di scettico compatimento) significa che ci si trova lontanissimi mentre se si esclama “Dé!” vuol dire che siamo sulla strada giusta. Insomma uno dei molti esempi dell’espressività del dialetto.
Termino con una riflessione: Ma alle fatte fine-mi viene da dire- in tempi di “esco il cane(ecc. ecc)” oppure di “mi ha imparato a guidare” e nel tempo in cui si parla di browser, backup, webinar, cashback, lockdown (solo i soliti francesi parlano in modo casereccio di confinement) ecc. queste ricerche sul dialetto possono sembrare delle leziosità anacronistiche
Eppure, riflettendo su come alle fatte fine sia molto espressivo con una valenza diversa rispetto a in definitiva o al semplice infine (perché la traduzione più esatta mi pare essere in conclusione o, meglio ancora, tutto sommato ovvero un tirare le somme di un discorso) trovo conferma sul fatto che le nostre radici culturali trovano nelle espressioni dialettali un terreno particolarmente fertile come forma colloquiale e confidenziale attraverso una ricchezza di termini e significati. E se un tempo poteva apparire una manifestazione di campanilismo quindi di separatezza, oggi, proprio perché favorisce l’approccio intersoggettivo e amicale in un mondo sempre più impersonale, esso agevola la coesione sociale.
Immagine: i dialetti toscani (Treccani)