Firenze – Sono ben 250mila le persone che in Toscana soffrono di diabete, l’8% dei cittadini toscani. Una percentuale che è in realtà sottostimata. “Ci sono ancora molti pazienti che non hanno diagnosticato la patologia – dichiara il Dott. Graziano Di Cianni, Direttore U.O.C Diabetologia e Malattie Metaboliche ASL Toscana Nordovest – Spesso la presenza di glucosio in eccesso nel sangue si scopre in maniera casuale, analizzando altre patologie, dato che il diabete è una malattia asintomatica. Le persone più colpite sono gli obesi e quelle sopra i 65 anni”.
La diffusione della Covid-19, da un lato, ha portato a forti raccomandazioni riguardo a un certo tipo di prevenzione, relativa soprattutto all’igiene e ai contatti interpersonali. Ma dall’altro ha fatto perdere di vista altre patologie croniche che affliggono gran parte della popolazione italiana e mondiale. Il diabete di tipo 2 in Italia colpisce quasi 5 milioni di persone (dati ISTAT 2016: circa 4 milioni di soggetti con diabete noto e più di 1 milione che non ha percezione della malattia). Durante il lockdown anche per i pazienti diabetici ci sono state poche visite e un incremento della telemedicina e della digitalizzazione. Solo dalla fine di maggio gli ambulatori hanno riaperto e l’attività è ripresa regolarmente. “In questi mesi – sottolinea il Prof. Bruno Solerte, Professore di Medicina Interna all’Università di Pavia – il paziente diabetico è stato spesso oggetto di particolare attenzione in quanto soggetto fragile esposto all’infezione da Sars-Cov-2, viste anche le gravi conseguenze, soprattutto a livello cardiovascolare e nefrologico, a cui è esposto. Il diabetico, infatti, è molto a rischio a causa del suo substrato biochimico che attira il virus, così come avviene negli anziani. Questa tipologia di soggetti deve pertanto essere controllata più attentamente”.
Anche il diabete può essere definito come una pandemia. Pur non avendo vaccini, possiamo fare prevenzione intervenendo sugli stili di vita, che, se non corretti, possono diventare fondamentali nel determinare la malattia insieme ai fattori genetici che predispongono al diabete di tipo 2. Quest’ultimo infatti è molto sensibile alle buone abitudini quali una sana alimentazione e un’attività fisica regolare che riducono in maniera significativa l’insulino resistenza creando un migliore assetto metabolico. Fare movimento, diventa dunque uno strumento di gestione del diabete ancora più efficace della terapia farmacologica. Il lavoro muscolare infatti consuma zucchero abbassando di conseguenza i valori glicemici e migliorando in modo considerevole la sensibilità all’insulina”.
“Bisogna abbandonare l’approccio generico e sviluppare un impegno regolare, strutturato – ribadisce la dott.ssa Ghelardi – Noi medici specialisti dobbiamo impegnarci a spiegare al paziente come fare questa attività: in generale si consigliano almeno 150 minuti a settimana di attività fisica aerobica di moderata intensità, suddivisa in tre giornate. Importante non fare passare più di 2 giorni senza muoversi. Ci deve essere un incremento graduale nel tempo. Si può anche partire con una camminata tra i 20 e i 40 minuti, fatta con ritmo sostenuto. Anche piccole attività casalinghe possono aiutare, come alzarsi da una sedia per 20 ripetizioni, fare i pesi con le bottiglie d’acqua o altri movimenti semplici, purché ben strutturati e svolti regolarmente”.
Il lockdown ha condizionato anche l’altro cardine dello stile di vita che influisce sulla prevenzione e sulla cura del diabete: l’alimentazione. In questo caso, la pandemia ha avuto effetti alterni: non mancano infatti casi in cui l’alimentazione ha beneficiato della quarantena. Attenzione nella spesa, regolarità nei pasti, cottura di piatti più sani sono diventate spesso pratiche diffuse. Per questi soggetti adesso l’importante è non perdere le buone abitudini.
“L’alimentazione è fondamentale per mantenersi in salute, controllare il peso e correggere l’eventuale iperinsulinismo – evidenzia Nadia Cerutti, responsabile dell’UOSD Medicina a indirizzo dietologico di ASST Pavia – Tra le diete, un posto di primo piano lo merita come sempre quella mediterranea: sembra ovvio, ma analizzando le conoscenze reali dei pazienti emerge una scarsa conoscenza. Con questo approccio si intendono alimenti di origine vegetale, cereali integrali, tutti cibi che siamo sempre meno abituati a mangiare, spesso perché richiedono tempi lunghi nella preparazione. Bisogna poi puntare sulla qualità degli alimenti: ciò non implica necessariamente costi superiori, anzi, in alcuni casi, come ad esempio i legumi al posto della carne, economicamente può venirne fuori un risparmio. La dieta mediterranea e i cibi che il nostro territorio ci mette a disposizione devono essere sempre il primo punto di riferimento. Esistono anche terapie dietetiche, come la dieta chetogenica, da prescrivere a pazienti particolari mediante protocolli specifici da seguire sotto stretto contatto medico”.