Chi era Giorgio Caproni? “Semisconosciuto” scrittore italiano (morto nel 1990 non chissà in quale secolo) fino a quando una sua “traccia” compare all’esame di maturità? A modestissimo parere di chi scrive, uno dei migliori poeti del ‘900 italiano, secondo solo a Montale (ma di lui molto più comprensibile anche ai non addetti ai lavori). E capace di poetica eterna e modernissima nel confronto tragico tra ricerca d’assoluto e limite del reale, tema centrale del dibattimento e dello sbattimento umano. Peraltro autore di componimenti perlopiù brevi o brevissimi (come si addice al lettore d’oggi, multimediale e con pochissimo tempo a disposizione) e intelligibile a strati.
Paradossale dunque che la stragrande maggioranza dello studentato l’abbia evitato, o peggio ne ignorasse l’esistenza, nell’era in cui basta un clic per visualizzare comodamente ed immediatamente da una quantità non meglio identificabile di fonti, qualsiasi informazione su chicchessia, grande artista passato a miglior vita o comune signor Rossi che passi per la strada. E giù un magma di ironie social. Ma è davvero così contraddittoria la situazione di cui sopra? Misconoscere l’ontos di un padre lirico nobile nel bel mezzo di un bombardamento quotidiano, coordinato e continuativo, di input personali e informazioni più o meno pubbliche?
Dalle pagine che state pazientemente leggendo, sempre lo scrivente, pone da tempi non sospetti (brutta propensione la proposizione di problemi in contesti in cui opera ed impera un entusiasta mainstream) l’interrogativo sull’utilizzo di questi fenomenali e rivoluzionari strumenti anche comunicativi e didattici che sono appunto i media virtuali, per usare una definizione inclusiva anche delle forme di espansione più private. Al netto della denunciata (già al tempo dei presocratici) crisi valoriale di famiglia, scuola, stato e società, comincia a serpeggiare in modo sempre più vibrante e meno carsica, in ambienti di ricerca e su riviste di nicchia, una piccola grande domanda. Verso quale nuova forma di identità culturale ci sta, volenti o nolenti, traghettando l’evidente destrutturazione del rapporto spazio-tempo e sapere (auto)cognitivo rispetto a quelle modalità conosciute fino a ieri?
Se è vero che l’origine di un popolo e di una nazione si fondano innanzitutto sui processi linguistici (vedi Dante ed il dialetto toscano, forma originaria della nostra lingua romanza), non venga derubricato come vezzo retorico di antimodernisti da riporto, l’occhio dubitativo con cui si guarda il predominante utilizzo di emoticon ed abbreviazioni multiple. Declinazioni neologistiche che riportano con la memoria storica (o preistorica) alla nascita della scrittura cuneiforme (prima dell’evoluzione in alfabeto quando espressioni scritte e parlate cominciarono a coincidere).
Ma tant’è, l’involontario ritorno alle dinamiche assiro-babilonesi, è visto magari da chi è convinto che Caproni non sia che il plurale per “mariti delle capre”, come una straordinaria apertura verso un’illimitata contemporaneità.